Pubblichiamo un testo di Franco Berardi che recensisce il libro, curato da Giulio Milani, Noi siamo l’opposizione che non si sente. Scrittori, poeti, artisti, che si oppongono al disegno politico innestato sull’emergenza, Edizioni Transeuropa. Bifo è tra gli autori e le autrici che hanno preso parte a questo progetto

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Quando Giulio Milani mi propose di collaborare a un libro di opposizione contro il green pass e più generalmente contro le politiche sanitarie che i governi del mondo stanno imponendo a popolazioni sempre più disorientate, spaventate, depresse, ho riflettuto a lungo. Fin dall’inizio della sindemia ho evitato di prendere posizione sull’alternativa del diavolo che la diffusione del Covid ha proposto all’umanità agonizzante: credere nel vaccino, obbedire agli ordini, combattere contro il virus, oppure credere nella libertà individuale, e nell’esistenza di una cospirazione totalizzante. E vorrei continuare a evitarlo perché io non credo né in questo né in quello.

Non credo, perché cerco di pensare. E poiché chi crede smette di pensare, mentre chi pensa non crede.

Alla fine, però decisi di collaborare al libro perché considero inaccettabile (e anche autoritaria) la censura, la persecuzione, lo stigma aggressivo con cui le persone per bene hanno isolato e criminalizzato i dissidenti. Un effetto dello stigma perbenista è la creazione di una minoranza non tanto piccola di vittime disperate e aggressive, di lavoratori costretti a inocularsi un vaccino che li terrorizza perché debbono mantenere la famiglia, oppure marginalizzati, licenziati, affamati da un potere che non ha certo difeso la salute dei cittadini quando tagliava i finanziamenti alla sanità pubblica, e che oggi continua a privatizzare precarizzare, tagliare.

Decisi di collaborare a questo libro perché mi fidavo dell’onestà intellettuale dei suoi autori, e per questo non lessi gli articoli scritti dagli altri collaboratori. Li ho letti adesso che il libro è in circolazione (Noi siamo l’opposizione che non si sente, edizioni Transeuropa).  E sono contento di avere compiuto la scelta giusta. Il libro è a mio parere importante, anche se non tutte le opinioni che posso leggervi sono per parte mia condivisibili. Ma leggendolo si respira l’aria di una comunità che non ha smesso di pensare, di ascoltare, di immaginare. Cosa rara, di questi tempi di obbedienza dogmatismo e paura.

Alcune affermazioni che trovo in questo libro mi paiono espressione di un’angoscia fobica che non condivido, ma comprendo benissimo. Come l’articolo di Luca Fassi, che ha un attacco di riso quando vede in TV i notturni carri militari di Bergamo, ma poi scrive: “ogni sera, dopo il tramonto, le palpitazioni si fanno più forti, faccio incubi violenti.”

Più avanti lo stesso Fassi scrive: “Io credo questo sia l’inferno, e il Covid il Popobawa, lo spirito che causa infarti agli abitanti di Zanzibar durante le epidemie di paralisi del sonno. Colpisce solo chi non crede nella sua esistenza.”

E Donatella Bisutti, in un articolo letterariamente bellissimo afferma la sua certezza nel complotto con parole che paiono correre sul filo dell’auto-ironia.

“con l’idea del complotto ogni cosa trova il suo posto, come il tassello di un puzzle, e questo permette se non di tranquillizzarci almeno di recuperare una percezione del cervello umano come quello di un essere raziocinante. Solo credere alla realtà di un complotto può restituirmi la fiducia nel potere della ragione…”

Sagge parole che però significano il contrario di quel che sembrano dire.

Solo il complotto ci permette di pensare che la ragione sia al potere, ma la verità è che la ragione è al potere soltanto nei deliri di onnipotenza dei tiranni (nel nome della Ragione) e dei paranoici (che credono che il mondo sia governato dalla Ragione… da una qualche Ragione, perdio).

Infatti la stessa Bisutti scrive anche: “Quest’idea (del complotto) è l’unica che riesce a dare una logica a quello che stiamo vivendo, che altrimenti sarebbe un delirio senza senso.”

Ecco appunto: un delirio senza senso. Proprio questa è la realtà in cui viviamo, perché non ammetterlo, perché non accettare la lezione, perché insistere cocciutamente nella ricerca di una razionalità (buona o cattiva che sia) che con ogni evidenza è morta?

È sconsolante la fede nel complotto come è sconsolante la fede nel progresso. Il progresso ha distrutto ormai le condizioni stesse della vita umana e della vita animale sul pianeta. Ma lo sappiamo da almeno un secolo: il progresso del capitalismo prepara la distruzione della civiltà sociale, non perché i cattivi hanno concepito ed attuato un loro complotto, ma più semplicemente (anzi molto più complessamente) perché si adeguano alla logica dell’accumulazione di capitale, che significa sottomissione di ogni molecola di vita al dominio del profitto.

Non c’è alcun bisogno di immaginare un complotto, se siamo in grado di comprendere che il dominio sulla nostra vita è nelle mani automatiche del profitto. Per un secolo abbiamo lottato contro il dominio dell’astratto sul concreto, del valore sull’utile, del bene comune contro il profitto privato.

Abbiamo perso.

È doloroso, disperato, tremendo, ma non c’è via d’uscita. E la volontà, quella buona o quella cattiva, non può più niente.

Cop26 di Glasgow ce lo sta dicendo con chiarezza abbacinante: dobbiamo scegliere tra morire di cancro o morire di fame, come disse una donna del quartiere Tamburi di Taranto, la quale concluse che è meglio morire di cancro che di fame.

Nel libro poi c’è qualcuno che senza alcun dogmatismo fa emergere i dubbi e le contraddizioni del discorso dominante. Come Lello Voce, che in un articolo dal titolo “Noterelle sul tempo del Carogna-virus”, scrive:

“perché decidere che la colpa è dei non vaccinati visto che il virus muterebbe comunque e i vaccini salvano dalla morte e dalla malattia grave (e chi scrive ne è entusiasta) ma non dal contrarre la malattia e diffonderla, e anzi producono pletore di portatori sani sguinzagliati ovunque e con la falsa certezza di essere sani e non dannosi per gli altri?” (pag. 203)

E poche pagine più avanti scrive: “Una sola cosa non si fermava e non si è mai realmente fermata: la produzione.”

Occorre infatti ricordare agli intemerati perbenisti che, mentre oggi si emargina o si licenzia chi non ha il green pass, nel marzo e aprile del 2020, quando il terrore correva nella metropoli, gli operai dovevano comunque alzarsi alle sei, affollarsi in mezzi pubblici e lavorare senza mascherina gomito a gomito otto ore al giorno.

Consiglio ai conformisti di leggere questo libro e di meditare.

Molti probabilmente giungeranno alla conclusione che chi dubita della validità indiscutibile del vaccino è vittima di una fobia. Forse è proprio così. Chi dubita della parola di Mario Draghi soffre di una fobia, chi dubita dell’infallibilità della scienza è vittima di una fobia, chi dubita dell’onestà assoluta di Pfizer e di Johnson e di Moderna è vittima di una fobia. Ammettiamolo. Ma se anche fosse così, solo dei bruti possono pensare che le fobie si curano con il terrore, con il ricatto, la minaccia, la persecuzione.

E i bruti sono purtroppo la maggioranza.

Quando il libro è uscito mi hanno invitato a presentarlo. Questa non me l’aspettavo, e là per là ho detto sì.

Poi ci ho ripensato. Dovrei andare in un luogo della città che ben conosco, dove oggi pomeriggio si affolleranno alcune decine di amici non vaccinati che ad alta voce pronunceranno discorsi interessanti oppure no.

Io sono vaccinato, ma non credo (non credo non credo) nell’assoluta certezza della copertura vaccinale. E sarei a disagio (per la prima volta in vita mia) in una sala piena di compagni ed amiche.

Debbo forse nasconderlo? Debbo sfidare la mia fobia?

Ho deciso di non sfidarla, ma provo disagio ad ammetterlo.

Provo disagio comunque, in ogni istante.

Non mi sento a mio agio di fronte all’atteggiamento di molte amici e compagne che per paura si sono trasformati in guardiani inflessibili dell’ordine sanitario. Hanno ragione quando dicono che il virus è pericoloso e quando dicono che il vaccino è una protezione. Ma mi rattrista vederli trasformati in obbedienti soldatini pronti a obbedire a ogni ordine che provenga dal governo Draghi, pronti a credere nella bontà di quel che Big Pharma produce e impone a carissimo prezzo a coloro che hanno i soldi per pagare mentre agli altri il vaccino è vietato perché il brevetto è proprietà privata e la proprietà privata viene prima di tutto.

Ma neppure mi sento a mio agio  di fronte all’atteggiamento di molti amici e compagne che minimizzano il pericolo del virus, o l’utilità del vaccino, e che magari vedono in tutto questo il segno di un complotto volto a sottomettere il genere umano a un potere totalitario. In questo atteggiamento mi scoraggia soprattutto la riduzione semplice semplice: se c’è il male ci deve sere una volontà che produce il male.

Invece no. Il male c’è, eccome, ma non è il prodotto di una soggettività onnipotente. È forse il prodotto di un sistema economico fondato sullo sfruttamento che ha ormai eroso ogni spazio di autonomia della mente e del corpo, e si prepara a eseguire la soluzione finale. È forse il prodotto di un’evoluzione che ha deciso di togliere di mezzo questo animale intelligente ma idiota che si chiama uomo.

Non lo so da cosa il Male sia prodotto. So che ha vinto.

E che io sono stanco di fingere, e la sola amica che aspetto è la morte.

Possibilmente non subito, e possibilmente non per effetto di un virus che abbiamo scatenato per avarizia, per conformismo e per imbecillità.

Quell’avarizia, quel conformismo quella imbecillità che hanno un solo nome: capitalismo.

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