#omaggio a Toni Negri 7

Ho amato Toni ancora prima di conoscerlo e studiarlo. A 15 anni, un ragazzo di provincia, lo difesi nello scompartimento di un treno da un berlingueriano forcaiolo – dissi che stavano perseguitando le idee, impedire a una mente di pente di pensare, criminalizzando i giovani – gli altri mi guardarono davvero stupiti, il comunista diventò paonazzo. Francamente non ero estremista a 16 anni, tutt’altro. Mi interessavano soprattutto Cure e Joy Division. Però ero libertario e istintivamente stavo con Toni e gli autonomi e i punk. Erano più rabbiosi di me e mi facevano anche un po’ paura, ma a avevano il fascino dell’eresia e di idee così nuove e sovversive che il potere cercava di sopprimerle. Dell’autonomia del ’77 sapevo poco e niente a parte che a Roma gli autonomi si erano scontrati contro il sindacato di Lama e l’avevano cacciato e che il pci e la fgci odiavano gli autonomi, che quindi a me che venivo da famiglia socialista stavano simpatici.

Ho iniziato a leggere i testi negriani solo nel ’90 quando entrai nella redazione di Decoder e Giampi Capisani, ex redattore di Rosso e amatissimo da Toni, mi prese sotto la sua protettiva a colpi di cooperazione sociale e Grundrisse. Poi l’incontro con la redazione di Klinamen, giovani negriani della Statale mia età, completò quell’influsso. Andai in America a studiare alla New School. Era uscito The Labor of Dyonsus in inglese che portava Toni in inglese: incontrai così Michael Hardt, gentilissimo, nella Lower East Side. Tornato in Italia, scrissi una cartolina a Toni che era rientrato in Italia dicendo che era insopportabile che fosse tenuto in carcere e citando Bogdanov (chissà perché). Ricevetti da Harvard un manoscritto parziale di Empire prima di Seattle e capii subito si trattava di un testo eccezionale che aveva anche un valore commerciale non secondario. Per ostilità ideologica, l’editore si rifiutò di acquistarlo. Io però ero ormai 100% no global nel segno di Toni Negri e Naomi Klein. Ho letto e riletto ogni riga della trilogia H&N: Impero, Moltitudine, Comune – sono un negriano della seconda fase, quella della secondà metà della sua vita a cavallo fra Novecento e Duemila. Nel 2001 facemmo la prima MayDay Parade e fu un successo inaspettato. Il Bulk, il mio centro sociale, apparteneva alle Tute Bianche. Nel 2003, andai alla loro assemblea al Rivolta e dissi a Luca Casarini, guarda so come la pensate sul rifiuto del lavoro, ma questo primo maggio incentrato sulla soggettività precaria funziona è una vostra roba, unitevi a noi e facciamolo sempre più grande trasformiamolo in EuroMayDay. Grazie anche al movimento della Sapienza, riuscimmo ad avere la benedizione di Luca e Toni e già nel 2004 la MayDay fu una cosa gigantesca e transazionale. Fu nell’autunno di quell’anno che incontrai finalmente Toni prima a Milano a un convegno sulla svolta chavista e lulista del Sudamerica e poi a Venezia, a un tavolo con Andrea Fumagalli e Cristina Morini. Fu come sempre fulminante su capitalismo avanzato e politica internazionale, sul lavoro precario, cognitivo, intermittente, ma mi deluse un po’ sull’ecologismo. Infatti ero lì per fare un discorso a tutta l’ala negriana dei Disobbedienti che stava rompendo con Fratoianni e Rifondazione per andare nei Verdi. Feci un discorso sulla necessità di abbandonare il comunismo perché si era trasformato in un peso sulla mente dei vivi che non riusciva più ad aprire prospettive radicali di fronte alla trasformazione sociale, tecnologica, biopolitica della società. Comunisti erano stati i nostri inquisitori, comunista era la centralità della classe operaia a scapito della classe precaria, comunista era l’antieuropeismo cui ci opponevamo ecc. Papi Bronzini mi guardò allarmato (come dire, questi ti menano), Toni fu il primo ad applaudire entusiasta e gli sguardi disorientati si trasformarono in un tripudio. Tutte e tutti parlano della generosità di Toni, che era immensa, anche con intelletti non proprio da Champions League come il mio.

Max Guareschi diceva che in ogni nazione c’era un referente intellettuale negriano che ti apriva un mondo. Per quello che ho potuto constatare è assolutamente vero. Toni venne anche a Liegi nel 2008 a darci coraggio prima della nostra azione di contestazione dell’elite europea riunita ad Aquisgrana per il Premio Carlo Magno. Mi manchi Toni, maestro altissimo e generoso, creatore di un movimento basato sull’amore per l’intellettualità e le classi subalterne, le sole cose in cui ho sempre creduto. Ti ho parlato l’ultima volta al Cantiere, dove discutevi delle soggettività da cui ripartire dopo Trump e Brexit, ma anche Indignados e Municipalismo Radicale, altri due movimenti che devono tantissimo alla figura di Antonio Negri, gigante transnazionale in un paese di nani fascistoidi.

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