Nella Storia della bambina perduta, ultimo libro della tetralogia L’amica geniale, Elena Ferrante affida alle sue protagoniste un susseguirsi di lucide riflessioni sulla storia di Napoli, sul suo senso, sulle tracce che il suo svolgersi tumultuoso ha lasciato sul tessuto vivo della città. Dalla voce narrante di Lenù riceviamo il pensiero secondo cui Napoli è la metropoli europea che più di tutte smentisce l’idea di un lineare cammino verso il meglio. Questa fiducia, qui, “si era rivelata con tanto anticipo del tutto priva di fondamento. Essere nati in questa città

[…] serve a una sola cosa: sapere da sempre, quasi per istinto, ciò che oggi tra mille distinguo cominciano a sostenere tutti: il sogno di progresso senza limiti è in realtà un incubo”.

Esistono questioni di attualità nella politica napoletana che, una volta analizzate con chiarezza, restituiscono la stessa immagine di una contraddizione profonda, in cui il mito moderno del progresso si rivela maschera di interessi particolari e di gruppi di potere ben definiti. La più importante di queste riguarda il quartiere di Bagnoli, territorio che ha ospitato per un secolo alcuni dei maggiori impianti siderurgici nazionali, localizzati in quel luogo proprio con l’idea di trainare la modernizzazione di Napoli. Di quell’area industriale oggi rimangono gli scheletri delle fabbriche sopravvissuti alla dismissione, mentre da oltre vent’anni la politica locale e nazionale fallisce nel tentativo di ricostruire la vita di un quartiere ferito dal disastro ambientale, conseguenza diretta dell’inseguimento del progresso. Si tratta di una fase in cui una piccola minoranza di personale politico e affaristico ha speculato sulla promessa di un futuro radioso che seguita a non realizzarsi.

Sarebbe sbagliato però finire per dare forza alla mitologia opposta, quella dell’immobilismo meridionale. La storia della produzione di acciaio a Bagnoli, della sua fine e delle sue conseguenze ci parla dei danni causati da regimi di accumulazione dal sapore coloniale, ma anche di nuove forme di resistenza urbana capaci di dare centralità alla cura collettiva dei territori e di rinnovare le pratiche di democrazia diretta. Osservare questa storia per intero ci consente di far emergere l’inadeguatezza di una certa idea di sviluppo, figlia di un’ideologia modernizzatrice che svela oggi il suo lato più tragico. È proprio davanti ad esso, tuttavia, che la partecipazione politica autonoma e dal basso prende forza e riesce a indicare soluzioni.

Il ciclo dell’emergenza fra sviluppo industriale e crisi ecologica

La storia delle grandi trasformazioni urbane, delle maggiori opere pubbliche e dell’industrializzazione nel Mezzogiorno si è sviluppata insieme a quella della legislazione speciale “meridionalista” e dell’istituzione del relativo Commissariato, che iniziarono ad essere usate in modo sistematico a partire dal marzo del 1904, con l’emanazione della legge n. 140 per la Basilicata. Sebbene questi interventi venissero giustificati con la necessità di venire in aiuto agli enti locali del Sud – incapaci, da soli, di trainare i loro territori al di fuori di una condizione di arretratezza – essi ebbero l’effetto di ridurre l’autonomia di questi ultimi, dal momento che prevedevano l’attribuzione di poteri speciali a organi o personalità direttamente responsabili di fronte al governo centrale. La costruzione dell’impianto Ilva (poi Italsider) di Bagnoli fu ispirata dagli studi di Francesco Saverio Nitti, consultato dal governo Giolitti per l’elaborazione del “Disegno di legge recante provvedimenti per il risorgimento economico della città di Napoli” (emanato l’8 luglio del 1904). Esso costituiva una parziale eccezione in questo quadro, dal momento che non prevedeva la centralizzazione di poteri amministrativi nella figura del commissario.

La figura di Nitti, nato a Melfi, aiuta a chiarire il ruolo che certi strati sociali del Sud hanno avuto nel sostenere le politiche sviluppiste nel Mezzogiorno. Siamo abituati a concentrarci sulla formula dell’alleanza fra gli industriali del Nord e i latifondisti del Sud, mentre è stata spesso meno considerata quella parte di borghesia urbana che dal 1799 al 1860, passando per i moti del 1820-21 e del 1848, si era a più riprese battuta contro il regno borbonico. Lo stesso padre di Nitti era stato un volontario garibaldino, mentre gli zii erano stati condannati a morte per aver partecipato all’insurrezione del ’48. Si tratta di un ceto i cui rappresentanti intellettuali e politici erano da un lato imbevuti della cultura europea figlia dell’illuminismo, dall’altro estremamente distanti dal sentire della gente comune. Quando, nel 1849, i parlamenti vennero chiusi e Ferdinando II costrinse l’opposizione a scegliere fra la forca e l’esilio, questa distanza si tramutò in vero disprezzo verso le “plebi” cittadine, colpevoli di essere rimaste inerti o di essersi schierate a favore della reazione. La narrazione della questione meridionale comincia proprio con questi esuli che, rifugiatisi al Nord, diffusero una rappresentazione rancorosa e negativa dell’intera società meridionale, ritenuta ormai irrimediabilmente estranea al cammino della civilizzazione europea. Dopo la conquista militare del 1860, questi liberali e progressisti tornarono a Napoli o uscirono dalle carceri per diventare parte dell’intellighenzia del nuovo regno. La colta borghesia duosiciliana era finalmente riuscita a vincere la sua lotta secolare, e occupò con piacere i seggi parlamentari dell’Italia unita. Nei decenni che seguirono, i membri di questa classe avrebbero contribuito a formulare le politiche di modernizzazione del Sud, coerentemente col fatto che i loro genitori lo avevano descritto come luogo di pura barbarie, che avrebbe potuto riscuotersi solo attraverso interventi esterni.

All’inizio del secolo scorso, la politica nazionale dovette ammettere che i quarant’anni precedenti non erano bastati a colmare la distanza che separava le due Italie. Si decise, dunque, che il progresso del Sud dovesse passare per una industrializzazione a tappe forzate. Il quartiere di Bagnoli ospitava già alcuni impianti quando, nel 1905, cominciò la costruzione dell’acciaieria, che avrebbe occupato una superficie di 120 ettari. L’apertura avvenne nel 1910, e l’impianto venne ulteriormente sviluppato nel secondo dopoguerra, con la costruzione dell’altoforno Cementir, con la successiva colmata a mare (una piattaforma di cemento calata sul litorale, destinata ad aumentare l’area dello stabilimento), e con la costruzione del Pontile Nord per l’attracco delle navi pesanti. Questa espansione era coerente con quanto accadeva in tutte le regioni meridionali, investite dagli interventi straordinari finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno. Il livello di continuità ideologica delle politiche economiche dedicate al Sud è davvero notevole: le guerre mondiali, il fascismo, la lotta partigiana e l’avvento della repubblica non sono bastate a scalfire l’idea che il Meridione andasse modernizzato a colpi di eccezionalità, attraverso la creazione di grandi poli industriali calati dall’alto.

A Bagnoli, il primo chiaro segnale di incompatibilità fra le grandi fabbriche e il quartiere che le ospitava si ebbe nel 1985: dopo l’accertamento dei danni alla salute umana prodotti dall’amianto, l’impianto Eternit dovette chiudere. Il grande sogno dello sviluppo industriale si sarebbe definitivamente infranto nel 1992, con la chiusura e la dismissione dell’intero distretto, ormai irreversibilmente in crisi. Quel che rimane di un secolo di industrializzazione imposta dall’esterno, di sottrazione di potere politico ad abitanti di territori considerati incapaci di autogovernarsi è solo la pesante eredità del disastro ambientale. Dopo 26 anni, lo spazio fisico del quartiere e i corpi delle e degli abitanti portano ancora i segni dell’inquinamento atmosferico, degli incendi, del generale deterioramento del paesaggio, degli sversamenti dei residui della lavorazione del ferro, con conseguenze a lungo termine ancora non completamente chiarite.

È proprio per individuare le responsabilità e distribuire i costi degli impatti ambientaliche, dalla metà degli anni Novanta, l’area dell’ex Italsider e l’intero quartiere di Bagnoli iniziano a transitare in una fase di gestione emergenziale, fatta di sequestri giudiziari, controversie legali fra imprese ed enti locali, lentezze burocratiche e azioni in deroga. Da allora il dibattito è stato dominato dalla necessità della bonifica e della riqualificazione del territorio, questione che ha mosso potenti interessi speculativi sull’area, sommati a quelli delle stesse società responsabili della contaminazione dei suoli, del mare e delle falde acquifere. Mentre la popolazione di Bagnoli si è trovata stretta fra la scomparsa delle attività produttive e la permanenza degli impatti ambientali, si è consumato il fallimento di Bagnoli SPA e Bagnoli Futura SPA, le società che avrebbero dovuto provvedere alla bonifica e al rinnovamento dell’ex area Italsider. Allo stesso tempo sono emerse le contraddizioni fra la necessità del risanamento ambientale e la possibilità per politici ed imprenditori di trasformare il territorio stesso in una fonte di guadagno. La piattaforma della colmata a mare è l’emblema di questa contraddizione, rappresentando allo stesso tempo il maggiore ostacolo alla bonifica del litorale e un ghiotto boccone per i costruttori, fra l’altro già presenti nell’area nella forma del gruppo Caltagirone, proprietario dell’area ex Cementir. In più, ammontano già ad alcune decine i dirigenti di enti locali e di Bagnoli Futura SPA indagati per l’ulteriore sversamento di rifiuti tossici nel sottosuolo. Già nel 1999, con il ritrovamento di amianto interrato nell’area dell’ex Italsider, si era ipotizzata l’infiltrazione dei clan nello smaltimento di rifiuti nella zona oggi commissariata.

La situazione ha ricevuto una scossa importante nel novembre del 2014, con l’emanazione del decreto “Sblocca Italia”, il cui articolo 33 affidava il programma di risanamento ambientale a un Commissario straordinario. La legge, definita “un attacco all’ambiente senza precedenti” dalle centinaia di comitati, organizzazioni e movimenti che si mobilitarono nella campagna “Blocca lo Sblocca Italia”, era stata proposta dal governo Renzi come fondamentale elemento di innovazione e sviluppo. Come di consueto, questa retorica modernizzatrice è servita a riprodurre logiche estrattive nel governo e nello sfruttamento dei territori, soprattutto a Sud.

Un elemento di parziale innovazione si poteva individuare nella modalità del commissariamento di Bagnoli, nel fatto che in esso la questione dello sviluppo fosse riproposta nella forma del risanamento ambientale e della riqualificazione del quartiere. La relazione tra gestione commissariale e questione ecologica rivela, tuttavia, i tanti cortocircuiti della logica sviluppista calata sul Meridione dal principio del secolo scorso: da un lato, l’affidamento del destino di Bagnoli a un commissario di nomina governativa è stato motivato sulla base dell’emergenza ambientale, ma d’altro lato le cause profonde degli impatti ambientali nel quartiere vanno cercate in questa stessa storia di legislazione straordinaria per il Sud. I passati interventi speciali per l’industrializzazione stanno ora producendo nuova eccezionalità, necessaria proprio per fronteggiare le conseguenze socio-ambientali di questo modello di sviluppo. La legislazione speciale è stata inaugurata per modernizzare aree considerate sottosviluppate e si è riprodotta per risolvere i danni causati dalla modernizzazione. L’ipotesi che la soluzione alla crisi sia economica che ecologica possa trovarsi nella fine della gestione straordinaria e centralizzata dei territori del Sud è stata finora ignorata dai governanti italiani.

 

Bagnoli in movimento: il quartiere dichiara l’emergenza dal basso

La prima persona ad essere designata per ricoprire il ruolo di commissario per Bagnoli fu Salvatore Nastasi, uomo delle istituzioni, sopravvissuto a diversi cambi di governo e già commissario a Napoli per il teatro San Carlo, nel 2007. Nominato per un triennio il 3 agosto 2015, avrebbe accompagnato il governo Renzi nella formulazione di un piano fatto di turistificazione, enormi commesse private, nuove costruzioni e interventi di bonifica molto parziali nel litorale. Davanti alla nomina commissariale di una ristretta “cabina di regia” (con Governo, Regione e Comune) per il risanamento del quartiere, movimenti e comitati hanno reagito dichiarando “l’emergenza dal basso”: il 30 settembre 2015, al termine di una popolata manifestazione, centinaia di persone hanno occupato gli uffici della X Municipalità realizzandovi una grande assemblea pubblica, con lo scopo di rendere finalmente possibile una discussione collettiva e autonoma sul destino del quartiere. Nasceva così l’assemblea popolare di Bagnoli Libera, che ha continuato a riunirsi con regolarità, redigendo un programma di politiche economiche e ambientali che riflettesse i bisogni e i desideri della popolazione locale.

La spinta verso la democratizzazione dei processi decisionali sul territorio di Bagnoli e nell’intera città di Napoli è venuta solo dall’azione diretta dei movimenti sociali. Da diversi anni esistevano nel quartiere diverse reti e organizzazioni di abitanti e attivist* (fra cui gli spazi liberati del Lido Pola e della casa del popolo Villa Medusa, oggi riconosciuti come beni comuni emergenti della città di Napoli), impegnate nella mobilitazione sulle questioni occupazionali e ambientali, nella riappropriazione di beni sottratti alla cittadinanza e nel monitoraggio della bonifica. L’assemblea territoriale di Bagnoli Libera nasce proprio dalle battaglie che l’anno preceduta, come la campagna “Una spiaggia per tutti” – che raccolse 13mila firme nel 2012, dando supporto popolare all’attuazione del piano regolatore che prevedeva la realizzazione di una spiaggia pubblica nell’area ovest di Napoli – o come le iniziative di sensibilizzazione e azione diretta condotte dal comitato Bonifichiamo Bagnoli a partire dal 2013. Queste realtà di movimento sono state in grado di elaborare una critica approfondita alla logica sviluppista prima e speculativa poi che ha attanagliato la zona. Nella loro analisi, il cuore del progetto del commissariamento deciso dal governo Renzi stava nella “possibilità di poter intrecciare affari e consensi, di poter schiacciare l’opposizione alle proprie politiche nell’angolo e porsi come capofila degli interessi privati di carattere speculativo, rispecchiando una atavica propensione della borghesia imprenditoriale e criminale a muoversi sotto l’ombrello opaco e autoritario dello Stato, attraverso dispostivi emergenziali e autoritari come i tanti già sperimentati sui nostri territori, dalla gestione dei rifiuti, all’acqua, allo sviluppo urbano e industriale”[1]. Il territorio sottratto al controllo democratico diventa preda di affarismi che ne perpetuano la precarietà sociale e ambientale.

Un importante risultato di Bagnoli Libera è quello di aver dato grande centralità politica a un quartiere considerato ormai periferico rispetto al funzionamento dell’economia cittadina: per due anni, nel 2016 e nel 2017, la manifestazioni del primo maggio realizzate dai movimenti napoletani si sono tenute proprio a Bagnoli, concludendosi con momenti di occupazione dell’area dell’ex Italsider e dell’ex base Nato, aperte e restituite alle e agli abitanti del quartiere almeno per una giornata. L’opposizione al commissariamento e alla speculazione, la proclamazione del principio per cui le imprese che hanno inquinato devono pagare la bonifica e la rivendicazione di un potere decisionale diffuso nella città, inoltre, hanno animato sia il corteo di contestazione all’allora premier Renzi, in visita a Napoli il 6 aprile 2016, sia la manifestazione svoltasi a Roma il 23 settembre dello stesso anno, quando la protesta del quartiere giunse fin sotto i palazzi del governo.

La forza delle assemblee popolari

La reazione della stampa mainstream e dei portavoce del governo è rimasta quella collaudata fin dal 1861. È stato detto e scritto che le lotte erano espressione dello spirito plebeo che cova indomabile nella città di Napoli, e che quindi non si trattava neanche di lotte sociali, ma di manifestazioni lazzaresche messe in scena da chi è incapace di comprendere la via di uno sviluppo che, di nuovo, deve essere imposta dall’alto. Proprio nel novembre del 2014 il giornale Il Mattino (non a caso una proprietà di Caltagirone) ha inaugurato la campagna contro i movimenti con un editoriale firmato da Paolo Macry, intitolato: “Gli antagonisti di sinistra, ecco chi sono i nuovi reazionari”. Vi si scriveva che i movimenti sociali napoletani, essendosi storicamente opposti “alla messa a profitto dell’area di Bagnoli” e ad altri progetti analoghi, dimostravano che “il cuore dell’antagonismo è ormai il rifiuto di ciò che una volta si sarebbe chiamato progresso”.

Si trattava, semplicemente, della riproposizione dei discorsi sull’arretratezza culturale del Sud e sul suo mancato sviluppo economico, una retorica dai tratti coloniali da sempre usata per imporre politiche economiche dall’alto, senza sottoporle alla discussione democratica nei territori. La strategia di Bagnoli Libera invece, che ha puntato tutto proprio sull’estensione di questo diritto di discussione e intervento, si è dimostrata politicamente vincente: le assemblee popolari hanno acquisito un peso crescente, accumulando e diffondendo conoscenze storiche e tecniche sul disastro ambientale e sui modi per fronteggiarlo. Queste pratiche aperte ed inclusive, la costruzione di nuove istituzioni al di fuori dei canali classici della rappresentanza, hanno portato i movimenti ad ottenere importanti vittorie. L’amministrazione ha progressivamente aderito alle proposte emerse dalle assemblee popolari, e molte di queste sono state rispettate nell’accordo firmato fra Comune, Regione e Governo nel luglio 2017: questo prevede, infatti, la bonifica integrale del litorale, la rimozione della colmata a mare, la realizzazione di una grande spiaggia pubblica attrezzata e del parco verde, il contenimento della nuova edilizia commerciale.

Bagnoli Libera ha comunque messo in luce il fatto che il testo dell’accordo non prevede sufficienti forme di coinvolgimento popolare nella fase di attuazione del piano e non chiarisce in che modo saranno reperite le risorse necessarie per la rigenerazione urbana. C’è il rischio, inoltre, che le mire speculative si siano ri-orientate verso l’isola di Nisida, attraverso la progettazione di nuove strutture ricettive per turisti e di un ampliamento del porto, in una sorta di compensazione per l’accordo sfavorevole ai costruttori. Ma la più seria delle questioni irrisolte è la permanenza della gestione commissariale. L’articolo 33 dello Sblocca Italia resta in vigore, nonostante i 5 Stelle avessero millantato una ferma opposizione al decreto. Come recita il comunicato di Bagnoli Libera successivo all’accordo istituzionale, “questa battaglia non è finita. Non ci possiamo accontentare di un buon piano se sui nostri territori, da Bagnoli alla Val di Susa, si continueranno a riprodurre meccanismi di espropriazione della decisionalità degli abitanti e dei territori”[2].

La continuità del commissariamento e le sfide del presente

Le lentezze nel passaggio alla fase esecutiva del piano, ma soprattutto la campagna elettorale e la nascita del nuovo governo hanno prodotto una fase di stallo, rotta prima da Bagnoli Libera, che questa estate ha ottenuto un incontro con la ministra per il Sud Barbara Lezzi, ricevendo anche l’impegno per un ulteriore incontro pubblico tenutosi il 26 ottobre 2018, e poi dal governo, che nel frattempo aveva nominato il nuovo commissario straordinario, Francesco Floro Flores. Perfino gli esponenti napoletani del Movimento 5 Stelle hanno rivolto pesanti critiche a questa decisione, dissociandosi dalla nomina, decisa a livello nazionale, di un imprenditore con forti interessi nell’area flegrea. Floro Flores è membro del cda della Cassa depositi e prestiti, unica proprietaria della holding Fintecna, concessionaria dei suoli dell’ex Italsider, che dal 2013 è stata impegnata in un contenzioso col Comune di Napoli relativo proprio agli oneri della bonifica. Fra le sue attività figurano la gestione della grande sala per concerti Arena Flegrea e del giardino zoologico, entrambi situati in prossimità dell’area commissariata ed entrambi fittati a fronte di un prezzo irrisorio corrisposto al Comune di Napoli. Il conflitto d’interessi è evidente, e mostra come la componente a 5 Stelle del governo giallo-verde abbia coscientemente deciso di disattendere le sue promesse rispetto alla cancellazione dell’art.33 dello Sblocca Italia, favorendo invece gli interessi di quel sottobosco d’interessi privati cresciuto all’ombra del commissariamento.

Nel rivolgere il suo invito a partecipare all’incontro con la ministra per il Sud, Bagnoli Libera ha ricordato che il futuro di Bagnoli è ancora tutto da scrivere, e la combattività dimostrata durante il recente confronto ha dato sostanza a queste parole. La ministra ha esordito assumendosi la responsabilità di quello che accadrà a Bagnoli, dal momento che farà parte della cabina di regia con il nuovo commissario, e ha promesso di ascoltare movimenti, associazioni ed altre realtà del quartiere ipotizzando delle “pre-cabine” di ascolto per le varie istanze. Questa proposta è apparsa ridicola agli occhi delle e dei partecipanti delle assemblee territoriali, dei collettivi e dei comitati presenti all’incontro. Da parte loro è stata ribadita l’opposizione a ogni commissariamento, considerato un imbroglio contro la democrazia. Hanno denunciato l’inadeguatezza del modello di sviluppo che la gestione commissariale continua a favorire, fatto di rapporti preferenziali con privati e imprese che non operano davvero per il bene del quartiere e che di certo non hanno interesse a riempire Bagnoli di beni liberamente accessibili, come la spiaggia pubblica e il parco verde. È stato messo in luce il fatto che le timide azioni di tutela del territorio svolte negli ultimi quattro anni hanno avvantaggiato solo le discoteche e gli altri locali privati che occupano il litorale, mentre i finanziamenti per le maggiori opere di bonifica rimangono incerti e pianificati solo vagamente.

Queste posizioni sono state ribadite al momento di un ulteriore confronto, avvenuto a gennaio a Roma, nella sala del consiglio dei ministri. La posizione del governo è più che mai lontana dal principio “chi inquina paga”, non presenta garanzie rispetto al rischio di privatizzazione dei suoli commissariati ed esprime una sostanziale continuità rispetto alle scelte del governo precedente, nonostante il Movimento 5 Stelle abbia millantato per anni posizioni ecologiste e di vicinanza rispetto alle mobilitazioni territoriali. Oltre che a Taranto, in Val di Susa e nel Salento, l’inganno è più che mai chiaro anche a Napoli, ed è a partire da questa consapevolezza che sono state convocate le più recenti assemblee popolari di Bagnoli Libera.

La ministra del Sud può ostentare un atteggiamento aperto nei confronti dei movimenti, ma da essi non potrà aspettarsi alcuna morbidezza finché non riporterà il quartiere a un’amministrazione ordinaria, fuori da leggi speciali e accentramenti di potere. I confronti avvenuti hanno chiarito che sul futuro di Bagnoli esiste almeno una certezza: davanti a ogni tentativo di decidere il loro destino a porte chiuse, il quartiere e la città continueranno a resistere.

Note

[1] “Primo maggio a Napoli: liberiamo Bagnoli, liberiamo la città!”, Bagnoli Libera, 20 aprile 2016.[2] “Bagnoli: Quando troppi parlano, se ‘mbrogliano ‘e lengue”. Bagnoli Libera, 21 luglio 2017.
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