Le difficoltà di ricostruire un percorso di conflittualità sociale a Taranto sembrano essere enormi. In ogni ambito assembleare sembra che trovino posto solo ed esclusivamente posizioni e/o metodologie di proposte vertenziali rinunciando a qualsiasi forma d’inchiesta sul territorio.

L’occupazione indotta dall’industria militare, siderurgica e petrolifera si è progressivamente alimentata di manodopera sottopagata proprio perché provenienti dalle zone agricole e dai paesi territorio circostante. Si sono in tal modo ulteriormente separate le problematiche dei lavoratori -salario e perennità del reddito – da quelle, lancinanti, di una collettività sociale cittadina costretta a vivere in un inquinamento che devasta le vite ed annienta il futuro. Questa politica occupazionale ha inoltre eliminato le caratteristiche produttive legate alla agricoltura, alla pesca, ecc. imponendo la centralità della produzione militare-industriale in cui si sono innestate massoneria e malavita organizzata, legate indissolubilmente all’indotto clientelare e corrotto delle istituzioni. Si è creato insomma un contesto di contraddizioni e diversificazioni sociali che indebolisce le potenzialità di reazione e di lotta. Questi meccanismi si erano resi evidenti sin dall’insediamento dell’Italsider che, alla fine degli anni 50, ha visto generare speculazioni edilizie legate alla curia e alla imprenditoria locale. Quest’ultima chiese spudoratamente ai gestori dell’Italsider di limitare persino i salari per poter contenere i costi del lavoro nei vari comparti (https://www.tarantobuonasera.it/spalla/48369/litalsider-e-laffare-dei-terreni/).

A Taranto basta andare pochi chilometri fuori dai muri perimetrali, che già si percepisce una cadenza dialettale molto diversa, tipica della gente salentina, nonostante la città, nella storia, sia sempre stata la porta del Salento. Una condizione questa, che ha generato negli anni non poche difficoltà nel riconoscersi “comunità”. Le contraddizioni sociali che sono emerse hanno contribuito ad offuscare, comprimere, e frammentare ogni tipo di relazione sociale efficace capace di battersi per un futuro diverso da quello imposto. Differenze sociali sempre pronte a pregiudicare percorsi mobilitativi contro problemi di redditualità e di salute.

Di recente alcuni genitori del famigerato quartiere Tamburi (confinante coi muri dell’immenso complesso siderurgico), a seguito delle decisioni che hanno visto negare ai loro figli il diritto allo studio e alla frequenza scolastica, hanno autoconvocato un’assemblea pubblica. Da un punto di vista delle conflittualità sociale questo è un evento significativo. Le scuole elementari chiuse d’ufficio sono situate a ridosso delle cosiddette “collinette ecologiche” (un ennesimo eufemismo ingannatore della com neolib per indicare le zone di accumulo di scorie industriali “sporche”) poste in sequestro per concentramento di sostanze inquinanti . Questi istituti e le case circostanti, avevano subìto negli ultimi anni disposizioni comunali di chiusura nei “Wind Days”, per evitare che le polveri mortali dell’Ilva penetrassero negli interni degli stabili del quartiere. Per ora non si sa se i ragazzi potranno ri-frequentare le scuole chiuse.

In tale situazione il Comune dice di voler intervenire affinché gli istituti possano riaprirsi nel prossimo anno scolastico, ma la cosa pare molto improbabile (http://www.comune.taranto.it/index.php/13-istruzione-cultura-pari-opportunita/7541-scuole-deledda-e-de-carolis-predisposto-il-piano-per-la-ripresa-delle-attivita-didattiche). La gravità del problema inquinamento resta sia per gli alunni che frequentano i plessi scolastici interessati, sia per i cittadini che abitano il circondario, nonché per tutto il resto della città e della provincia. L’iniziativa assembleare è partita quando un gruppo di genitori, avendo riscontrato malesseri nei propri figli, ha provveduto ad inoltrare un esposto alla ASL e al Comune. Le istituzioni, appresa l’emergenza, a seguito della scoperta di un incremento delle tossicità emanate dalle colline ecologiche, avevano disposto la definitiva chiusura delle scuole, spostando gli alunni in altri istituti scolastici. Questo ha creato non pochi disagi tra i genitori e soprattutto problemi per i ragazzi che hanno subito una discontinuità delle normali attività scolastiche. A seguito di ciò, i genitori hanno deciso di occupare una delle due scuole chiuse, chiedendo invano un incontro con il Sindaco, per avere chiarezza sulla emergenza decretata da lui stesso. Ma né lui né alcuna istituzione è stata disponibile. In risposta i genitori hanno deciso di occupare un altro istituto dove si tenevano gli scrutini di fine anno. Benché abbiano in seguito accettato la ripresa delle normali attività scolastiche, legate allo scrutinio, anche in questo caso nessuna “autorità” si è posta come interlocutore. Un comportamento sprezzante nei confronti delle famiglie e dei bambini.

Durante tale mobilitazione, però, la partecipazione della popolazione del quartiere è stata limitata nonostante la determinazione, la chiarezza e la capacità analitica dei genitori più attivi. La ridotta adesione potrebbe imputarsi ad una certa rassegnazione che è venuta a consolidarsi a seguito della delusione provocata dal comportamento del M5S. Quest’ultimo era stato plebiscitato alle politiche (47,86% dei votanti) essendo riuscito “consapevolmente” ad assorbire la conflittualità generata dal grande movimento di protesta per la chiusura dell’Ilva, iniziato il 2 agosto del 2012 e condotto dal Comitato Cittadini Liberi e Pensanti. In seguito andando al governo il M5S non ha mantenuto l’impegno di chiudere l’Ilva ed inoltre non ha fatto nulla in merito al problema delle fonti inquinanti. In conseguenza alcuni componenti dei Cittadini Liberi e Pensanti, eletti nel M5S, sono ora fuoriusciti dal movimento.

Le mobilitazioni del 2012 videro dissolversi gran parte delle differenze sociali, imponendo la cacciata dei sindacati confederali (che si sono sempre schierati contro la chiusura dell’Ilva) dalla piazza centrale della città. Ma, purtroppo, nonostante la forte presenza socialmente trasversale dei cittadini, non si era riusciti a consolidare la conflittualità sociale emergente in un movimento di rifiuto del meccanismo di delega e di rappresentanza. Una volta al potere il M5S ha integrato le istituzioni, come le sole in grado di cambiare le cose e tradito le reali aspettative che la piazza rivendicava.

In tali condizioni di rassegnazione riemergono le differenze nelle varie gerarchie sociali, rinforzate dall’azione dei media locali e nazionali, che opacizzano il problema più grave: quello della salute.
La roadmap delle istituzioni trascura l’impellenza di questo problema vitale e genera spazi per attivare corruzioni e clientele. Ecco alcuni degli ultimi fatti legati al quotidiano:

  • L’11 luglio un altro operaio morto alla Arcelor Mittal (ex Ilva) per incuria e trascuratezza degli impianti: lavorava su una gru caduta in mare a seguito di una tromba d’aria nonostante che il maltempo fosse stato previsto. Tra l’altro sulla gru, strutturata a traliccio per permettere di essere attraversata dal vento ed evitare di essere sottoposta a grosse sollecitazioni, era stato messo un telo per evitare la dispersione delle polveri, ma ciò, evidentemente, ha rafforzato la forza del vento facendola cadere. Arcelor Mittal, il nuovo gestore, si è insediato nella fabbrica senza metterci un solo euro e ha fatto poco o nulla per preservare la salute dei lavoratori. Inoltre, a quanto pare, vengono disattese anche le manutenzioni concordate con le organizzazioni sindacali. Queste ultime, come al solito, si sono anche mostrate molto ambigue riguardo ai 1400 lavoratori in cassa integrazione dal 1 luglio scorso. Infatti la proposta sindacale, poi rifiutata, prevedeva che i lavoratori si distribuissero la CIG in maniera circolare, anche se ciò comportava scambi di mansioni incompatibili con la sicurezza del personale e degli impianti.
  • A seguito dell’ordinanza della magistratura, la direzione dell’impianto siderurgico (composta da Arcelor Mittal e dall’Amministrazione Straordinaria ex-Ilva) ha subito fatto richiesta di sospensiva del provvedimento di “procedura” di spegnimento dell’altoforno 2. L’altoforno era stato messo sotto sequestro sin dal 2015 con un ordine della Procura di Taranto per non avere rispettato le prescrizioni sulla sicurezza legate alla morte di un giovane operaio. La direzione nella sua arroganza si è detta certa che la magistratura rivedrà il provvedimento nonostante il rigetto deciso dal Gup nei giorni scorsi.
  • Rispetto alla decisione del parlamento di sospendere l’immunità penale relativa ai reati di inquinamento concessa alla direzione il ministro Di Maio ha lasciato intendere che a fronte di un cospicuo scudo fiscale, Arcelor Mittal sarebbe disponibile a ritirare la minaccia di chiusura della fabbrica al termine di scadenza della immunità concessa dai governi precedenti (6 settembre prossimo). Questo lascerebbe via libera al proseguimento dei processi di inquinamento ed avvelenamento della città.
  • Da ultimo vengo a sapere da un operaio che la direzione ha predisposto un chip elettronico inserito nelle tute da lavoro. Secondo la direzione questo dispositivo servirebbe solo al controllo degli abiti indossati che devono essere regolarmente lavati e igienizzati da ogni residuo inquinante, ma restano dei dubbi sul regime di controllo dei dipendenti.

Questi sono solo alcuni degli aspetti di come il potere politico centrale, quello locale ed Arcelor Mittal siano conniventi a discapito di una popolazione locale presa in ostaggio della vita da decenni.

Paradossalmente solo il cinismo di Arcelor Mittal potrebbe “salvare Taranto”. Secondo una prassi consumata, il gruppo dopo aver succhiato incentivi e sussidi pubblici sembra già alla ricerca di pretesti, ovviamente legato al mercato, per chiudere gli impianti abbandonando al loro destino i lavoratori. Di fatto il suo statuto di co-gerente in leasing e non proprietario, le faciliterà la mossa finale lasciando l’ennesima cattedrale industriale a degradarsi sul posto come una ferita avvelenata.

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