All’inizio di febbraio 2023 (precisamente il 9 febbraio) il regime di Daniel Ortega e Rosario Murillo (da poco elevata da portavoce a copresidente) ha ordinato che 222 prigionieri politici – la maggioranza dei quali in carcere, e altri agli arresti domiciliari come Cristiana Chamorro, ex candidata alle presidenziali del 2018 e monsignor Alvarez vescovo di Matagalpa – venissero prelevati all’alba dalle loro celle, fatti salire su autobus, trasportati in aeroporto, caricati su un aereo di una compagnia statunitense e deportati a Washington. Mentre volavano verso l’esilio il governo, in tutta fretta, ha approvato la legge 1145 “Legge speciale per regolamentare la perdita della nazionalità nicaraguense”  che modifica l’articolo 21 della Costituzione del Nicaragua per applicarla alle persone accusate con l’articolo 1055.

Noncuranti del fatto che proprio l’articolo 21 della Costituzione, chiamata “Legge della difesa del diritti dei popoli all’indipendenza, sovranità e autodeterminazione per la pace”, sancisse che “ningun nacional puede ser privado de su nacionalidad”, la sentenza e stata letta – non riesco ad immaginare con quale coraggio – dal Presidente del Tribunal de Apelacion de la Circunscription di Managua, Ernesto Rodriguez Majìa: la condanna è l’esilio in quanto “traditori della patria”, la privazione dei diritti di cittadinanza civili e politici, la confisca di tutti i beni.

Tutto questo senza che tali accuse fossero state precedentemente portate a conoscenza degli accusati e discusse in un tribunale, in un confronto tra accusa e difesa. Non solo: il vescovo di Matagalpa, monsignore Rolando José Alvarez che sulla scaletta dell’aereo insisteva a ripetere, “No, non voglio lasciare il mio paese” e si rifiutava di salire, è stato immediatamente trasportato in carcere e condannato con un processo farsa a 26 anni e quattro mesi di reclusione, a pagare una multa di 58.000 cordobas pari a 1555 dollari, comunque spogliato della nazionalità ed espulso a vita da ogni incarico pubblico ed elettorale.

Non contenti, il 16 febbraio, con un altro provvedimento simile, il regime privava della nazionalità nicaraguese altre 94 persone alcuni già all’estero ed altri ancora residenti in Nicaragua. Tra gli ostracizzati ci sono scrittori come Gioconda Belli e Sergio Ramirez, il vescovo di Managua Silvio Baez, Carlos F. Chamorro, direttore del canale Confidencial, e altre personalità politiche, imprenditoriali e religiose. Tra loro la scrittrice femminista Sofia Montenegro e l’attivista Azhalea Solìs che insieme ad altre 16 persone hanno visto la casa dove risiedono da più di 30 anni circondata dalla polizia, perquisita ed espropriata.

Difficile classificare questa ultima invenzione della, per ora, coppia regnante in Nicaragua, Rosario Murillo e Daniel Ortega, come ennesima decisione dispotica oppure invenzione teatrale o gesto disperato per tentare di risolvere la grave crisi verso cui, tenacemente, hanno portato il paese dall’aprile del 2018, quando la popolazione si sollevò contro il governo e scesero in piazza tutte le compagini della società: le università, disgustate dalla mancato azione del governo per spegnere l’incendio alla pressoché ultima foreste tropicale rimasta nel paese, la straordinaria riserva Indio-Mais; i campesinos, contro gli espropri delle terre in vista del fantomatico Gran Canal che doveva far concorrenza a Panama; le donne, alle quali era negato persino l’aborto terapeutico e infine i pensionati, scesi in piazza contro la riforma delle pensioni e violentemente attaccati della “Turba”, le bande della gioventù sandinista che Ortega ha trasformato in una sorta di guardia personale.  Persino molti industriali parteciparono alle proteste poiché i loro affari stavano andando a rotoli grazie ai variopinti e imprevedibili provvedimenti del regime e, soprattutto, al clima di odio e paura che si respira nel paese e allontana i turisti, a causa di una crisi economica che sta portando l’intero Nicaragua alla disperazione.

Un paese attonito e sorpreso dagli avvenimenti che si fanno sempre più aggrovigliati. Cosa succede dentro le segrete stanze? Negoziati e pressioni da e con gli Usa però negati recisamente da entrambe le parti. Perché Ortega ha tenuto a precisare pubblicamente che la decisione degli esili di massa era di Rosario e non sua? Forse il comandante in capo non era d’accordo? Perché dopo quattro anni senza farsi vedere, il 23 di dicembre 2022 Daniel Ortega è uscito, fatto raro, dal Carmen, la residenza presidenziale, per recarsi a Masaya nell’abitazione del fratello, l’ex comandate dell’Esercito sandinista e ex ministro della difesa dei governi Ortega e di Violeta Chamorro, il generale in pensione Humberto Ortega? E come mai, subito dopo ha nominato la consorte, Rosario Murillo, copresidente?

C’è chi suppone un dissidio interno alla famiglia. Humberto, che a parte qualche sortita critica su Ortega dal Costa Rica, si è sempre limitato a curare i propri affari, ha esordito in un’intervista rilasciata il 20 febbraio 2023 alla CNN in lingua spagnola : “Il vescovo Alvarez è una personalità rilevante in Nicaragua, ho ascoltato con attenzione il suo discorso e in generale lo considero in linea con la tolleranza che un governo democratico deve rispettare”, dichiarazione che deve aver fatto rizzare i capelli a Rosario che ha una antipatia manifesta per Alvarez .

Il sospetto che circola è che per salvare capre e cavoli, affari e potere, Humberto e famiglia Ortega tentino di scaricare sulla consorte di Daniel tutte le responsabilità del disastro economico, politico e sociale del paese. Sarebbe una mossa degna di uno stratega, lo “scacco alla regina” già molto odiata nel paese anche perché da anni ammorba radio e televisioni, più volte al giorno, con i suoi incredibili sermoni su patria, dio e Ortega. Scaricare sulla “perfida” Chumuca (così la chiamano in Nicaragua) tutte le responsabilità del disastro, riuscire a farlo digerire dalla popolazione e spacciarlo, con incredibile faccia di bronzo, alla Comunità internazionale come una verità dolorosa ma manifesta consentirebbe al “nostro” di ripulire la famiglia con un sol colpo da maestro: dallo scandalo degli affari sporchi realizzati da tutta la famiglia, dalla responsabilità del disastro economico, dai 400 morti del 2018. E con ciò anche di ripulire la bandiera logorata del Frente Sandinista de Liberación Nacional dalle responsabilità del malgoverno e spianargli la strada per le elezione nel prossimo 2026.

L’obiettivo sarebbe riuscire a salvare, a conservare, patrimonio e potere. Chi c’è dietro Humberto? Potrebbe esserci addirittura l’esercito del Nicaragua, istituzione potentissima che forse inizia a temere di diventare oggetto di sanzioni economiche come è già successo alla polizia. Da tempo si mormora che l’esercito scaricherebbe volentieri Daniel, ma non può farlo senza sporcare anche sé stesso, ormai è troppo compromesso. Dunque Rosario deve “morire” e Daniel, di fatto dichiarato “incapace di intendere e volere” potrebbe cavarsela con un esilio dorato, forse.

Di preciso non sappiamo se tali ipotesi possano essere vere, ma di questi tempi a pensar male si fa sempre bene. Certo, i conti possono non tornare e l’ambiziosa copresidente non è tipa da mollare la presa sul potere. Le piace pensarsi madre della patria, capace di proteggerla con le sue qualità esoteriche e con le sue ingegnose invenzioni, come quest’ultima condanna all’ostracismo di tutti i suoi nemici. Nel suo delirio, ha la visione di un paese da comandare come una madre, benevola con chi le piace e spietata con chi la contesta. In fondo, Daniel è suo ostaggio da anni, da quando ha smentito la sua stessa figlia che accusava il patrigno di averla violentata per anni nella minore età. Se l’operazione smacchiatura riuscisse, sarebbe il modo per intortare ancora una volta il popolo del Nicaragua sbandierando parole gloriose come “patria” e “rivoluzione”. In realtà, hanno le mani sporche di sangue nicaraguense.

Lo scrittore ed ex guerrillero del Frente Sandinista de Liberation Nacional, Sergio Ramirez, adesso demonizzato come “traditore della patria” ha dichiarato: “Nicaragua es lo que soy y todo lo que tengo, y que nunca voy a dejar de ser, ni dejar de tener, mi memoria y mis recuerds, mi lengua y mi escritura, mi lucha por su libertadpor la que he empenado mi palabra. Mientres màs Nicaragua me quitan, mas Nicaragus tengo.” [Il Nicaragua è quello che sono e tutto quello che ho, e che non smetterò mai di essere, né smetterò di avere, la mia memoria e i miei ricordi, la mia lingua e la mia scrittura, la mia lotta per la libertà per la quale ho impegnato le mie parole. Più Nicaragua mi prendono, più Nicaragua ho].

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