Lui accarezza lo sguardo tuo,

tu ti abbandoni al gioco suo.

E io, tra di voi, se non parlo mai,

ho visto già tutto quanto.

Ed io tra di voi, Charles Aznavour

 

Ci sono alcuni aspetti di Marx che costituiscono, per me, una fonte di ispirazione e di discussione, nel presente, tra noi, ora e qui. Ci ritroviamo sempre più numerose e numerosi a ragionare su come l’analisi delle forme assunte dal capitale necessiti di essere più strettamente congiunta a un’analisi delle forme delle interiorità o delle sfumature soggettive che il capitale va affermando (o meglio: prova ad affermare) come progresso della sua propria riproduzione.

“Vite, parole e corpi”: effettivamente è esattamente su questo crinale che interseco da un lato una lettura di Marx meno economicista e più attenta all’umano e ai corpi; dall’altro una radice che spinge ad approfondire la nuova/antica, eterna eppure cangiante, materia del lavoro, le sue forme (astratte e concrete) e le differenti prospettive da cui guardarle.

La mia lettura è debitrice al  retroterra femminista e alle interpretazioni neo-operaiste del lavoro come fatto sociale. Incrocia inoltre il pensiero di alcuni autori marxisti “eretici”, come Luciano Parinetto in Corpo e rivoluzione (1976) e Giorgio Cesarano in Critica dell’utopia capitale (1979). Molti ulteriori preziosi spunti derivano dai due libri di Roberto Ciccarelli usciti quest’anno (Forza Lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, 2018 e Capitale Umano. La vita in alternanza scuola lavoro, 2018).

I nuovi paradigmi socio-economici hanno oggi più esplicite incidenze sugli esseri umani, al punto che essi introiettano modelli tipici dell’impresa (competizione intesa sempre più esplicitamente come concorrenza; efficienza intesa come produttività dell’uomo-donna impresa; reputazione intesa qui come brandizzazione dell’individuo medesimo, attraverso la sua vetrinizzazione). Interrogarsi sulle soggettività oggi significa comprendere meglio anche il paradigma di ri-produzione contemporaneo e le inedite profondità dello sfruttamento a cui è sottoposto il capitale umano, provando a capire come si può interrompere il processo di cui è schiavo l’uomo/donna-impresa, l’individuo performante e solitario concepito dalla generalizzazione della precarietà. Intendo un soggetto sempre incarnato e ancorato ai processi storici ed economici, fluidi, nei quali è immerso. Intendo anche rivendicare una postura di pensiero che rigetta ogni dicotomia tra cultura e natura, tra il sentire del corpo e quello della ragione.

 

Lavoro produttivo-lavoro improduttivo

Valeria Bruschi, Antonella Mazzupappa, Sabine Nuss, Anne Steckner

[1], quattro studiose marxiste della fondazione Rosa Luxemburg in Germania, nel riferire che Marx si trova spesso criticato per aver dequalificato la sfera “riproduttiva” come “improduttiva” nonostante la sua indispensabilità per il capitalismo, sostengono che bisogna tenere presente che i termini produttivo o improduttivo non vengono usati come un giudizio da Marx, cioè nel senso di buono e cattivo, necessario o superfluo, importante o inutile, ma come categorie analitiche. In effetti, nel Capitolo VI inedito del libro I del Capitale, Marx lo specifica chiaramente: “Il fatto di essere produttivo è una determinazione del lavoro che nulla ha a che vedere, in sé e per sé, col particolare contenuto, con la particolare utilità del lavoro stesso o con il particolare valore d’uso in cui questo si rappresenta”[2].

Marx sviluppa la dialettica tra lavoro produttivo lavoro improduttivo e definisce il “lavoro produttivo” mettendosi nei panni del capitalista, per il quale esso è solamente quello scambiato “contro denaro come denaro e contro denaro come capitale[3]. E ancora in questa ottica Marx sostiene che ogniqualvolta il lavoro “è consumato per il suo valore d’uso, non in quanto generatore di valore di scambio, è consumato improduttivamente[4].

Evidentemente, la domanda del femminismo guardando a questi passaggi è stata: si può definire “produttivo” un lavoro finalizzato al plusvalore e non al benessere della società? Anche dal punto di vista capitalistico: si può veramente considerare “improduttivo” un lavoro che produce “servizi” invece che beni materiali? Perché non viene considerato produttivo quel lavoro-ombra che contribuisce alla creazione di plusvalore, poiché consente all’uomo di ripresentarsi in fabbrica pulito e cibato senza che ciò comporti costi aggiuntivi? Carlo Vercellone aggiungeva: “Il lavoro può non produrre plusvalore ma va comunque riconosciuta la produzione di valore di cui è capace”[5].

Questi interrogativi (e altri) risuonano e sono noti. Ma nel presente se ne sviluppano altri e in direzioni nuove. In un orizzonte di profondissima complessità poiché la creazione di valore non passa più dalla mediazione del solo lavoro produttivo, del solo lavoro vivo venduto dall’operaio salariato perché produca capitale. Tutte diverse sono le possibili fonti dello sfruttamento che produce capitale. E, ancora una volta, altrettanto differenti le vie di fuga, le rivoluzioni che debbono essere immaginate. Nulla può essere ripetuto, né da un punto di vista dei soggetti, né da un punto di vista delle forme dello scontro che verrà agìto.

Marx stesso lascia aperta la porta a un possibile cambiamento di assetti. E infatti nel medesimo testo afferma: “Con lo sviluppo della sottomissione reale del lavoro al capitale e quindi del modo di produzione specificatamente capitalistico, il vero funzionario del processo lavorativo totale non è il singolo lavoratore, ma una forza-lavoro sempre più socialmente combinata, e le diverse forze-lavoro cooperanti che formano la macchina produttiva totale partecipano in modo diverso al processo immediato di produzione delle merci o meglio, qui, dei prodotti – chi lavorando piuttosto con la mano e chi piuttosto con il cervello, chi come direttore, ingegnere, tecnico etc, chi come sorvegliante, chi come manovale o come semplice aiuto”[6].

Perciò, “un numero crescente di funzioni della forza lavoro si raggruppa nel concetto immediato di lavoro produttivo, e un numero crescente di persone che lo eseguiscono nel concetto di lavoratori produttivi, direttamente sfruttati dal capitale e sottomessi al suo processo di produzione e valorizzazione”[7].

Forse allora, oggi, tutti i lavori sono apparentemente consumati improduttivamente, se li osserviamo dal punto di vista della generalizzazione della gratuità del lavoro, che “maschera il vero rapporto”[8] cioè la possibilità di essere trasformati in denaro per il capitale. E d’altra parte traspare sempre meglio come tutte le attività siano complessivamente produttive, cioè generatrici di accumulazione. Osserviamo l’apparente paradosso di una generalizzazione del plusvalore nell’era del tramonto della occupazione salariata e con ciò una tensione del capitale contemporaneo alla generale mortificazione del lavoro vivo. Questa è, insomma, vita messa al lavoro, nelle sue diverse declinazioni.

È la conoscenza implicata in questi processi (penso ai diritti di proprietà intellettuali)? È la riproduzione (i nostri scambi, affettivi, sociali, emotivi, sessuali) parte di questa dinamica estensiva della capacità capitalistica di estrarre valore (ancora una volta senza distribuire alcunché)? Sono le differenze soggettive la materia prima della cattura, soggettivamente applicate da nuovi processi produttivi, estesi socialmente, parti della “macchina” della produzione sociale diffusa nella fabbrica diffusa? Come vanno interpretate le forme di attuale, sempre più comune, mercificazione del welfare e delle forme di assicurazione sociale?

Per fare un esempio: le interazioni in rete – il free digital labour – garantiscono produzione di valore e cioè garantiscono al sistema di mantenersi in piedi, ignorando i problemi relativi alla crisi della misura salariale o al declino dei consumi generati dalla precarizzazione e dall’impoverimento di massa[9]. Le nuove tecnologie sollecitano e utilizzano il processo ri-produttivo (tempo libero, scambi umani, socialità). Un caso immediato e diretto di socializzazione del lavoro con profitti conseguenti, senza alcuna necessità di mediazione salariate o statuale. Salta – dicevamo – il ruolo di mediazione rivestito dal lavoro produttivo salariato nel capitalismo, e ciò riporta in luce l’essenza (la forza lavoro che agisce in tutte le attività) e ci conduce verso l’economia dell’interiorità, illuminando il ruolo del lavoro emozionale, del valore-vita. Cioè di una vita che viene resa produttiva.

Le analisi marxiane, per me colte dal punto di vista delle interpretazioni che pongono l’accento sulla produzione sociale contemporanea, cioè anche sui nuovi paradigmi produttivi e sulle nuove forme di organizzazione-disorganizzata dei lavori (plurali) della soggettività precaria, vanno strettamente connesse al tema della soggettività, introdotto dal femminismo. Ida Dominijanni ha ragione a scrivere: “È stato il femminismo – non con ma nonostante il ‘68, come scrisse Carla Lonzi – a portare la questione della soggettività alle dovute conseguenze, sul piano della teoria e della pratica”[10]. Una soggettività sessualmente incarnata che va a riempire le generalizzazioni a cui necessariamente si è piegato il concetto di classe. Anche se è necessario ricordare che il giovane Marx aveva ammesso il sesso come una emergenza della differenziazione, parlando di una “essenza differenziata dell’essere umano[11].

Questi collegamenti teorico-pratici sono, potenzialmente, straordinariamente ricompositivi da un punto di vista delle prospettive politiche.

 

Economia dell’interiorità

Siamo all’oggi. Da un lato notiamo quantità sempre più grandi di plusvalore estorto, dall’altra il soggetto emerge all’interno di una ideologia del dominio che spinge per cristallizzarne il senso in direzione di un saper-essere (pienamente sfruttabile) che prova ad abolire i confini tra interiorità ed esteriorità, immaginazione e produzione, senso e scopo, valore e profitto, consenso e ricatto. Il soggetto emerge nella precarietà e diviene oggetto della cattura in una fabbrica ininterrotta che tenta il recupero della critica – della opposizione, del dissenso, del conflitto – sotto forma di integrazione delle qualità specifiche delle differenze.

Se oggi noi possiamo tentare un discorso sull’alienazione che si approfondisce, sul valore che si trasforma, sui lavori plurali che debbono tenere conto della dimensione mediatrice del linguaggio e del corpo, lo possiamo fare anche perché Marx ci ha mostrato un metodo, il significato della materia, il senso del circostante e le tensioni che contiene, pur non in direzione lineare e statica. Il divenire dell’individuo come lavoratore è esso stesso un prodotto storico. Esiste un meccanismo storico che costringe oggi alla svendita della potenzialità creativa che è parte del movimento stesso della vita in cambio della garanzia di sopravvivere, nella ripetizione di condizioni minimali fissate e valorizzate.

E nelle differenti fasi noi arriviamo, dice Giorgio Cesarano, “da una economia della esteriorità lavorata, materiale, a una economia dell’interiorità elaborata”[12]. E, nelle differenti fasi, ci rapportiamo oggi con complicanze ulteriori, con il lavoro linguistico, che “rappresenta la tendenza alienante della specie, la sua vocazione alla rigidità, alla serialità, alla abolizione della vita come espressione del movimento organico totale e alla fabbricazione di una vita assolutamente identificata come condizione generica di produzione”[13].

Questo soggetto, questo soggetto imprevisto, mostra una tendenza insopprimibile alla libertà, nonostante tutto. Tuttavia noi innegabilmente abbiamo un problema con la soggettività immersa nel capitalismo contemporaneo. E se non lo cogliamo, se non andiamo a scavarlo nel cuore dei processi, possiamo tentare di uscirne solo con (utili) indicazioni etiche o idealitistiche, con appelli morali? Questo esistente è dovuto a questa produzione.

Abbiamo un problema (ancora il VI capitolo, libro I del Capitale) con “l’attività di questa forza-lavoro collettiva e cioè con il suo consumo produttivo immediato da parte del capitale, che è auto-valorizzazione del capitale, produzione immediata di plusvalore; quindi trasformazione immediata dello stesso in capitale”[14].

E addirittura notiamo come il capitale pretenda di trasformare l’essere umano in se stesso capitale[15], assumendo davvero esplicitamente (come è sempre stato) l’intera esistenza umana come campo da cui è possibile generare accumulazione (uomo impresa o capitale umano). Marx si è posto sull’analisi di questo crinale sin dai tempi della Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, commentando relativamente alla proprietà fondiaria, “soggetto la cosa, predicato, l’uomo”[16].

Luciano Parinetto, diversi anni fa, commentava, su questo passaggio, la forma mostruosa di riproduzione neppure più animale imposta dal capitalismo: “l’uomo non genera eredi a se stesso ma alla terra. È il fondo che mediante l’uomo figlia a se stesso il primogenito. Non è il padre che lo fa erede bensì il fondo agrario che lo eredita”[17].

Possiamo dunque, a partire da Marx, proprio oggi, proprio qui, parlare di un capitalismo antropomorfo? Capitale umano, infatti, ci dice Roberto Ciccarelli che è andato a recuperare prima l’origine, la forza lavoro, energia originaria (differente) dei corpi, fuori dal genere e fuori dalla divisione sessuale del lavoro, che “mobilita elementi e soggetti eterogenei in una rete di relazioni con esseri umani macchine, infrastrutture, codici e simboli, prodotto storico che non è fatto irreversibile”[18]. Essa viene assoggettata tramite sottrazione di tempo, tempo della vita che si trasforma in tempo di lavoro, tempo lavorato. Il lavoro di vivere.

Occorre insomma analizzare i fenomeni, le cause e gli effetti. Una sintomatologia di quel che ci accade, per usare un efficace sottotitolo di un bel libro di Paolo Vignola, di qualche anno fa (L’attenzione altrove. Sintomatologia di quel che ci accade, Orthotes, 2013). Il soggetto è indotto oggi a operare in condizioni di produzione generale dove il lavoro linguistico è essenza e strumento insieme, con un nesso stretto che lega la produzione di lingua e la produzioni di merce. Ebbene, questo soggetto viene prodotto perché assuma carattere specificamente economico.

Anche il corpo è potenziale strumento della produzione governata da una ragione a esso aliena. È il furore di un’ideologia produttivista che non si ferma neppure di fronte alla prospettiva della vita abolita per sempre, neppure di fronte alla catastrofe ecologica.

La vita soffre per causa della sua stessa produttività che viene sollecitata fino nei lati più intimi: dal consumo alle biotecnologie, alla costante spesa di se stessi in ambiti relazionali funzionali al lavoro, alla ingiunzione a essere giovani, belli, felici. Insomma, ortopedie funzionali all’assoggettamento, così che il capitale umano possa compiersi.

Perciò possiamo parlare di una economia dell’interiorità e di un lavoro emozionale che ha al proprio centro le differenze soggettive e dove il tentativo è non più quello di acquistare al lavoratore, alla lavoratrice una parte di attività fecondante il suo proprio capitale ma di evocare l’inveramento di una sorta di rapporto erotico tra lavoro e capitale, con il capitale che “assorbe in sé lavoro vivo come se in corpo ci avesse l’amore[19]. Il fine è indurre, scrive Marx, “una prostituzione generale come fase necessaria del carattere sociale delle disposizioni, capacità, abilità e attività personali. In termini più compiti si dice: l’universale rapporto di utilità e utilizzabilità”[20].

 

Questioni per il presente

Insomma, se il capitale è un rapporto, siamo, ancora e sempre, di fronte due tensioni opposte. Da un lato, il rischio è quello di trovarsi alla fine così avviluppati dal carattere sociale richiesto dalle disposizioni lavorative attuali da perdere la vita, nel senso di trovarsi paradossalmente alienati dalla propria stessa esistenza divenuta lavoro. L’accumulazione diventa, sempre più precisamente, amore alienato accumulato – aggiornando la definizione di Mary O’Brien che si riferisce al solo lavoro domestico, di cura[21].

D’altro lato, lo sviluppo delle forze produttive cui il capitale è costretto per intrinseca logica di sopravvivenza prepara nel concreto le basi materiali per la liberazione definitiva della vita dal lavoro alienato e dall’esserci, dal dover-essere forza produttiva. La riflessione e la ricerca sulle possibilità di recupero delle capacità autonome di un sistema sociale oggi fondato sull’“etero-regolazione generalizzata”[22] rappresenta un groviglio politico centrale, il nucleo intorno al quale ricominciare a concepire un individuo integrale e un mondo di nuovo desiderabile. Questo è un primo punto politico: diceva Maria Luisa Boccia, “dalla dialettica tra assoggettamento e soggettivazione nasce la politica”[23].

Un secondo punto politico. Che cosa richiamano le lotte delle donne, nella contemporaneità? Esse espongono proprio l’aspetto spettacolare e completamente ricompositivo della generalizzazione del lavoro sociale e dunque della generalizzazione del plusvalore. Scoperta, per molti, dell’oggi. Per le donne, sapere di sempre. A guardarla dall’osservatorio delle donne l’esperienza del lavoro è già da sempre anche questo. Crea attenzione il fatto che a essere sotto attacco sia il lavoratore salariato. Ma forse non ci si è mai messi davvero bene nei panni dell’altra, non lo si è mai guardato bene dalla prospettiva dell’altra. Di più e meglio si dovrebbe provare a farlo per capire bene la confusione di piani che si sta operando e, da lì, ragionare sulle possibilità ricompositive che fornisce tale condizione che va rendendosi comune. Per agire di conseguenza, con lotte biopolitiche all’altezza della sfida. Recuperando il corpo-mente come macchina di desiderio. L’opposizione al capitale è essenzialmente un’opposizione di corpi.

 

Testo integrale della relazione al convegno internazionale “200 Marx. Il futuro di Karl”, Roma, 13-16 dicembre 2018, Macro Asilo

 

Note

[1]Valeria Bruschi, Antonella Mazzupappa, Sabine Nuss, Anne Steckner, Ingo Stützle, PoliluxMarx. A Capital Workbook in Slides, vol. I, Monthly Review Press, 2013, pag. 119

[2]Karl Marx, Il capitale: Libro I capitolo VI inedito. Risultati del processo di produzione immediato, La Nuova Italia, Firenze, 1969, pag. 79

[3]Ibidem, pag 82

[4]Ibidem, pag. 148

[5]Carlo Vercellone, relazione al convegno “200 Marx. Il futuro di Karl” Macro Asilo, Roma 13-16 dicembre 2018

[6]Karl Marx, Il capitale: Libro I capitolo VI inedito, cit., pag 74

[7]Ibidem, pag 74

[8]Ibidem, pag. 82

[9]Giorgio Griziotti, Neurocapitalismo. Mediazioni tecnologiche e linee di fuga, Mimesis, Milano 2016

[10]Ida Dominijanni, “Sintomatologia di un sentiero interrotto”, in Ilaria Bussoni e Nicolas Martino, Èsolo l’inizio. Rifiuto, affetti e creatività nel lungo ’68, ombre corte, Verona 2018, pag. 101

[11] Karl Marx, “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”, in Opere filosofiche giovanili, Rinascita, Roma, 1950, pag. 122: “Sesso femminile e sesso maschile sono entrambi un genere, una essenza, l’essenza umana […] sono opposte determinazioni di una essenza. Sono la differenza di una essenza al suo più alto punto di sviluppo. Sono l’essenza differenziata. Sono ciò che sono soltanto come determinazione differenziata, e come questa differenziata determinazione dell’essenza. Veri reali estremi sarebbero il polo e il non polo, il genere umano e l’inumano. La differenza qui è una differenza dell’esistenza; là una differenza dell’essenza, didue essenze”.

[12]Giorgio Cesarano, Critica dell’utopia capitale, vol. I, Varani Editore, Milano, pag. 76

[13]Ibidem, pag. 153

[14]Karl Marx, Il capitale: Libro I capitolo VI inedito, cit., pag 74

[15]Cristina Morini, Il mestiere di scrivere. Feconde corrispondenze d’amore,Opera Viva magazine, 8 dicembre 2018

[16]Karl Marx, “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”, in Opere filosofiche giovanili, Rinascita, Roma, 1950, pag. 143

[17]Luciano Parinetto, Corpo e rivoluzione in Marx. Morte, diavolo, analità, Mimesis, Milano 2015 (I ed. 1976), pag. 30

[18]Roberto Ciccarelli, Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi, Roma 2018, pag.82

[19]Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica all’economia politica, II, La Nuova Italia, Firenze, 1970, pag. 400

[20]Ibidem, pag. 105-106

[21]Mary O’Brien, The politics of reproduction, London, Routledge&Kegan Paul, 1981, pag. 26

[22]André Gorz, Ecologia e libertà(a cura di Emanuele Leonardi), Orthotes, Napoli 2015, pag. 73

[23]Maria Luisa Boccia, relazione al convegno “200 Marx. Il futuro di Karl” Macro Asilo, Roma 13-16 dicembre 2018