Pubblichiamo due missive inviate al sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Al momento non vi è stata risposta. Vengono perciò proposte all’attenzione pubblica per farne materia di riflessione e di iniziativa politica. Esse sono state spedite poco prima della formazione del governo giallo-verde (21 maggio) e subito dopo lo sbarco della Aquarius a Valencia (18 giugno). Milano, aperta e inclusiva – a partire dalla manifestazione “20 maggio senza muri” fino all’iniziativa “Ricetta Milano” di sabato scorso -, può diventare il motore resiliente “che recuperi il senso di una giustizia ragionevole e anche il motore di un risveglio politico che blocchi le presenti seduzioni autoritarie”. Ma è essenziale assumere una posizione netta e un ruolo preciso relativamente al problema dei “lavoratori clandestini”, affrontando in termini espliciti e concreti la contraddizione “clandestinità-lavoro”. Potrebbe, la città di Milano, porsi alla testa di un movimento che chieda la risoluzione per via di legge di tale incredibile incongruenza? Nel bacino della Città Metropolitana si muove “una miriade di colf, badanti, addetti e addette ai servizi e ai sottolavori più sommersi, che se impediti potrebbero compromettere seriamente l’organizzazione produttiva e riproduttiva di innumerevoli famiglie e non ci sono dati che consentano di pensare a una facile sostituzione”. Si può immaginare la creazione di un largo fronte comune per una sanatoria che avverrebbe “per autocertificazione congiunta del datore e del lavoratore, esentati da qualsivoglia sanzione penale o fiscale, purché connessa a una contemporanea regolarizzazione del rapporto di lavoro ed eventuale pagamento di oneri forfettari”?

*****

Gentile Sindaco Giuseppe Sala,

ieri, durante la cerimonia per l’inaugurazione della Casa Chiaravalle, le ho strappato alcuni momenti di scambio di opinioni circa il problema dell’annunciata guerra agli immigrati (così denominati) clandestini. Mi ha colpito la sua cordialità e disponibilità che mi hanno incoraggiato a stendere, certamente in modo affrettato e impreciso, queste note che le invio certo dell’attenzione e che spero anche, in qualche modo,  possa ritenere condivisibili.

Con stima e cordialità,

Giuseppe Manenti

 

Manifestare non contro, ma per

Gli tsunami vanno previsti per non esserne travolti e trovare forme di tutela che possono anche essere migliorative dello stato di cose precedenti.

La formazione del nuovo governo con la nomina di M. Salvini agli Interni potrebbe avere, nel caso volesse attuare tutti i suoi predicati circa il problema dell’immigrazione, conseguenze nefaste.

Propongo uno scenario distopico, ma non per questo irrealistico, almeno in qualche suo passaggio.

La paura di essere rimpatriati spingerebbe anche gli immigrati ospitati nei centri, ad abbandonarli e a collocarsi in una zona d’ombra, aggravando il senso di insicurezza e di insopportazione della popolazione che viene a contatto con questo fenomeno.

Le paventate retate operate dagli organi di polizia nei confronti di immigrati senza permesso di soggiorno, individuati sommariamente dal colore della pelle e dall’evidenza di povertà, già di per sé in odore di razzismo, avrebbero come corollario incidenti a non finire e anche gravi, a seconda anche delle modalità utilizzate dalle forze dell’ordine, con conseguente confusione nella verifica dei permessi di soggiorno per il relativo rilascio dei possessori.

La caccia al clandestino con necessariamente un numero ingente di forze in campo, finirebbe per configurare  uno scenario da pogrom.

Tutto ciò potrebbe dare tacita autorizzazione a quelle aree di popolazione che ha già dimostrato di essere incline alla violenza e ad avere propositi forcaioli e a gruppi pronti a dare una mano alle forze dell’ordine   aizzando caccie autorganizzate che trascinerebbero la situazione fuori controllo.

Il tutto condito dalle manifestazioni contrarie delle forze democratiche o di sinistra con il corollario di scontri e di ulteriori tensioni, con la possibilità poi che una popolazione colorata, sottoposta a continui controlli, a meno di non imporre un contrassegno visibile ai regolari, non si associ in modo massiccio ad attività di contrapposizione.

Quale miglior brodo di coltura per atti di terrorismo da cui, anche per la efficace opera della nostra intelligence, siamo stati esentati?

Non procedo, ma lascio la parola al Saggio sulla lucidità di J. Saramago per vedere come il concatenamento di eventi, provocati da una decisione sbagliata, porti allo tsunami.

Si potrebbe ragionevolmente risolvere il problema senza neppure opporsi aprioristicamente agli intendimenti genericamente proclamati dal programma del Governo  in fieri.

Non esistono, ovviamente né un censimento, né tantomeno una anagrafe dei clandestini in generale né dei lavoratori clandestini su cui preliminarmente occorre focalizzarci.

L’ultima sanatoria generale del 2002  aveva fatto emergere circa 700.000 unità e nel frattempo sono entrati in Italia clandestini o in attesa di regolarizzazione 1.000.000 stranieri stimati, ma se solo nei lavori domestici, a fronte di 860.000 regolari, 6 su 10 sono irregolari, abbiamo circa 500.000 lavorator* irregolari di cui la gran parte stranieri non in possesso di permesso di soggiorno, a cui vanno aggiunti i lavoratori dell’agricoltura, dell’edilizia ecc. Cito dati a memoria che in seguito possono essere più dettagliati e più elaborati, ma stimo che un provvedimento di emersione di questi lavoratori stranieri potrebbe interessare all’incirca 1.000.000 di persone e questo sarebbe l’unico censimento ragionevolmente attuabile.

Questa sanatoria potrebbe avvenire per autocertificazione congiunta del datore e del lavoratore esentati da qualsivoglia sanzione penale o fiscale, purché connessa a una contemporanea regolarizzazione del rapporto di lavoro ed eventuale pagamento di oneri forfettari.

Il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, realizzato dalla Fondazione Leone Moressa, stima in 14,9 miliardi il valore aggiunto prodotto dagli immigrati non in regola, con però  un mancato gettito pari a 6,5 miliardi. Questo per sottolineare che incassare 6,5 miliardi piuttosto che spenderne per rimpatri forzati e massicce operazioni di ordine pubblico, sia preferibile e più sensato.

A questa sanatoria dovrebbero però essere affiancate pene molto più severe e certe nei confronti di datori o lavoratori che scegliessero la clandestinità, ma indurrebbero anche i lavoratori se aiutati da un indispensabile accompagnamento, a denunciare i datori renitenti. In questo modo si darebbe anche un colpo significativo al fenomeno del lavoro nero con un esempio culturalmente importante e trainante per tutto il comparto.

A ciò ritengo che vada anche associata una riforma generale del sistema di accoglimento in cui c’è di tutto, ma in maggioranza il peggio e si debba passare a una rapida integrazione nel lavoro anche socialmente utile, poiché è insensato e  diseducativo anche per il cittadino italiano, costringere persone all’inerzia e all’arte di arrangiarsi.

Non ritengo che questi punti siano esaustivi, né formulati al meglio, ma dopo un rapido scambio di battute con il Sindaco di Milano all’inaugurazione della Casa di Chiaravalle e la sua dichiarata disponibilità su questa problematica, voglio solo, con questi appunti, proporre un programma di lavoro.

Ritengo che il Sindaco di Milano abbia data ampia prova sia con ricorrenti dichiarazioni, sia nell’azione politico-amministrativa, di profonda sensibilità nei confronti del problema dell’immigrazione proprio nel quadro di una visione della città di Milano inclusiva ed aperta capace di proporre sviluppo in luogo di arroccamenti e chiusure, capace anche di guardare e rivolgersi ben oltre i confini della città e verso l’Europa

Proprio per questo ritengo che il Sindaco abbia l’autorevolezza, la capacità e la visione politica per diventare l’attrattore e la guida di un movimento che vada a proporre e sostenere interventi legislativi volti a risolvere ed armonizzare la contraddizione: clandestinità-lavoro, prima che sia troppo tardi.

La condizione in cui versa attualmente la Sinistra nel suo complesso, per collasso e frammentazione non la pone in grado di governare questa emergenza, né conviene lasciare alle sole manifestazioni di protesta generose, ma inefficaci, l’onere di questo intervento. Occorre chiamare a raccolta tutte le organizzazioni che si occupano di immigrazione, ma anche politici e personalità della cultura,  disponibili a porre all’ordine del giorno l’approfondimento, la discussione e l’elaborazione di un intervento pubblico di pressione e di proposte che non abbiano il colore della contrapposizione, ma che siano interlocutorie e dialettiche e abbiano la forza della ragione e la verità della scienza.

Di ciò chiedo al Sindaco di farsi promotore col linguaggio e le modalità che riterrà più opportune.

Giuseppe Manenti

Milano 21.05.2018

****

A distanza di quasi un mese dal primo messaggio, scritto nell’imminenza  della nomina del Governo, si può comprendere che nelle more successive  convulse e con scarsa trasparenza da parte dei partiti, si siano sospese  le valutazioni necessarie per decisioni di interventi pubblici significativi, ma ora quanto era paventato si è determinato negli stessi termini previsti allora.

Infatti il diktat del Ministro degli Interni nei confronti della nave Aquarius, convalidato dall’intero Governo senza alcuna eccezione di legittimità nemmeno formale, già svela una attitudine impositiva assolutamente estranea a qualsiasi considerazione di condivisione umana, ma appare solo interessata alla esibizione di forza atta ad eccitare l’immaginazione di quel popolo che richiede dal capo semplici e sbrigative soluzioni ai problemi.

La sloganistica coniata in questo periodo, assertiva e  apparentemente esaustiva, assume concretezza operativa con questo atto passando dal “a casa loro” per i migranti, alla “sua famiglia” per quanto riguarda Regeni, fino alla legittima difesa “in casa propria”: il tutto in un quadro individualistico e privatistico-proprietario in cui scompare ogni forma di diritto e di superiore valore sociale.

Riappare sotto traccia il “me ne frego”, quando non si sono ancora sgretolati dai muri tutti gli slogan che hanno conculcato le menti italiche, ma che ora serpeggiano più rapidi e pervasivi sui media.

Il quadro dei nemici si arricchisce con sempre più soggetti e particolari, finché non sarà offerta una guida forte, sicura e indiscutibile.

Alcune città portuali hanno manifestato, almeno con dichiarazioni simboliche di accoglienza, la loro contrarietà al primo maramaldeggiare del Ministro degli Interni, ma credo che Milano, a partire dalla manifestazione “20 maggio senza muri”, “per nuove politiche di accoglienza e integrazione, per nuovi diritti di cittadinanza”, voluta, promossa e sostenuta dall’amministrazione comunale post-arancione del sindaco Giuseppe Sala, abbia il diritto-dovere di procedere su questa strada.

Nel bacino della Città Metropolitana si muove una miriade di colf, badanti, addetti e addette ai servizi e ai sottolavori più sommersi, che se impediti potrebbero compromettere seriamente l’organizzazione produttiva e riproduttiva di innumerevoli famiglie e non ci sono dati che consentano di pensare a una facile sostituzione.

Milano aperta e inclusiva può diventare il motore resiliente che recuperi il senso di una giustizia ragionevole e anche il motore di un risveglio politico che blocchi le presenti seduzioni autoritarie.

Ribadisco che, non tanto le considerazioni, ma le proposte erano sommarie, abbozzate e riformulabili sia nella strumentazione politica che nelle modalità e le forze sociali e sindacali coinvolgibili, tuttavia penso che per la città di Milano, una simile iniziativa sarebbe conseguente al percorso già da tempo iniziato e la porrebbe al centro dell’attenzione democratica di tutto il paese e non solo. (Vedi ad es. la presa di posizione della città di New York sugli immigrati e  lo scontro del Governo della California con l’amministrazione Trump sui temi ambientali).

Posso anche pensare che le mie argomentazioni non interessino o vengano ritenute fuorvianti, ma gradirei quantomeno una risposta, a meno che, anche Palazzo Marino abbia il Castello kafkiano come modello insuperato.

In ogni caso questa mia è da ritenere un atto politico e non  un mero  messaggio privato, per cui anche in assenza di seria considerazione, è mia intenzione farne materia di iniziativa politica pubblica.

Giuseppe Manenti

Milano 18.06.2018

 

Immagine in apertura: la manifestazione “Ricetta Milano”, tavolata multietnica di tre chilometri, organizzata sabato 23 giugno al Parco Sempione a Milano

Print Friendly, PDF & Email