Prima di ogni altra cosa, il libro di Giorgio Griziotti – di cui Effimera ha da poco pubblicato un estratto – è un flusso narrativo di liberazione immaginifica: se la forma-saggio non ha ancora trovato una modalità efficace per aprire la giustizia climatica alla sua propria futuribilità, ecco che conviene affidarsi a una fabulazione speculativa. Il richiamo a Donna Haraway da un lato e ad Antonio Caronia dall’altro è evidente, come rileva nella sua bella Prefazione Giuliano Spagnul. A me però è parso di cogliere anche eco più sfumate di cli-fi (climate fiction), nelle parti più ispirate dal punto di vista letterario, e soprattutto un legame piuttosto netto con ciò che Wu Ming definiva oggetti narrativi non identificati, profondamente anarchici nel montaggio e intimamente critici nell’approccio. Insomma: lasciate ogni velleità di lettura usuale della crisi ecologica, o voi che entrate; provate piuttosto a farvi intrattenere dalla setticemia di Gaia, se vi riesce – magari gingillandovi con Time Glasses, Tecnologie degli Affetti Multispecie e Interfacce Transp.

L’impressione è che l’autore abbia individuato i nodi politici che noi – la Sfera Autonoma – non riusciamo a sciogliere qui e ora, per svolgerli nel tempo e permetterci di immaginarli come potrebbero essere, in qualche modo liberandoci dalla paralisi che spesso (troppo spesso) sembra imprigionarci. Non tutti gli sviluppi sono positivi – anzi, agli happy endings Griziotti preferisce il metodo dell’ambivalenza che attraversa ogni congiuntura – ma tutti ci costringono ad abbandonare posture consolidate per costruire interpretazioni adeguate non tanto a una maggiore comprensione, quanto a una più efficace azione politica.

Riprendo un passaggio di Spagnul, perché credo che meglio di così non si possa dire:

“Questo testo è l’opera di un ex-militante che mette sul tavolo la propria esperienza per attivare un’immaginazione capace di traghettar(lo)ci verso un attivismo che non sia la semplice copia della vecchia militanza. Un attivismo in grado di vedere il futuro come l’opera di chi è capace di rivoltarsi contro tutto ciò che è dato come acquisito e consolidato, compreso il proprio credo” (p. 12).

Detto ciò, veniamo all’escamotage che dà il la al racconto: il narratore, aduso al lavoro notturno – proprio come Héctor German Oesterheld, “genitore 1” dell’Eternauta, consegnato alla leggenda del fumetto dalla matita del “genitore 2”, Francisco Solano López – riceve l’inattesa visita di un uomo abbigliato come un rivoluzionario degli anni Sessanta e Settanta, con tanto di passamontagna. Ghrighiz era il suo nome di battaglia, ed era caduto vittima di un potente incantesimo: allorché si trovava a magnificare le gesta della sua generazione, va da sé ben più eroiche di quelle di giovinastri e Gen Z, ecco che una millenial witch gli aveva scagliato uno spietato ‘OK BOOMER!’ sui Social, trasportandolo in una dimensione senza tempo attraverso cui poteva esplorare qualche frammento di futuro. Il narratore ci descrive così tale condizione:

“Il vero sortilegio della fatwa OK BOOMER non consisteva solo nella perdita di ogni riferimento temporale, ma soprattutto nella maledizione di dover percorrere le epoche future con la visione e i valori dell’epoca della sua militanza. Da quanto traspariva, al di là del racconto e del linguaggio usato, avevo davanti a me l’immagine dell’infelicità” (p. 15).

In questa dolorosa discrasia tra lo sguardo novecentesco del Boomernauta – più volte commentato dal simpatetico narratore, tra analisi approfondite e battute divertentissime – e le vicende di futuri prossimi e reconditi si apre e prende forma il contributo di Griziotti allo spazio politico dischiuso dalla giustizia climatica negli ultimi anni. Senza anticipare nulla di una trama fitta di eventi e colpi di scena – in cui il Gov Q succede al Gov Neolib, l’Impero di Mezzo e quello di Sbieco si scambiano colpi bassi, dalla Lunga Primavera si passa al Man2Man sotto lo sguardo privo di scrupoli dei Tecno-tycoon che dovranno infine guardarsi dai Semio-hackers – vorrei sottolineare due nodi politici che le peregrinazioni del Boomernauta mi hanno aiutato a mettere a fuoco in modo diverso dal solito. In primo luogo, il tema del rapporto tra umani e non-umani, nonché delle alleanze possibili tra segmenti dei due insiemi: non credo di esagerare se dico che la protagonista della seconda e della terza parte del libro è la agency più-che-umana, che il tempo-viaggiatore si sforza di descrivere in opposizione a ogni antropocentrismo. In secondo luogo, la dimensione ecologica del capitalismo digitale: da questo punto di vista alcuni capitoli mi sembrano rappresentare una prosecuzione della riflessione avviata da Griziotti – in forma saggistica – in Neurocapitalismo (Mimesis, 2016), liberamente scaricabile in rete. Non solo fuori da ogni tentazione tecnofila o tecnofoba, come già qualche anno fa: il Boomernauta qui s’interroga pure sui limiti del contro-uso delle tecnologie – per esempio l’Intelligenza Artificiale Intersezionale – invitandoci ad assumere (anche) il punto di vista di Gaia malata quando parliamo di tecnologie. Se cercavate una critica radicale al modo mainstream in cui la transizione ecologica viene installata su quella digitale – si dia una scorsa al PNRR per il più triste degli esempi – bene: l’avete trovata!

Insomma, un gran bel libro: procuratevelo e godetene. Però c’è un però. Non è chiaro se il Boomernauta abbia partecipato o meno al World Congress for Climate Justice di Milano (12-15 ottobre 2023), né se il narratore ne sia stato edotto e abbia deciso – chissà perché – di non farne menzione. Il fatto che nel racconto del tempo-viaggiatore non si accenni alla Prima Internazionale Climatica, quella che potrebbe consentire alla Sfera Autonoma di riconquistare la centralità politica di un tempo, è quantomai sospetto. Se volete la mia opinione, eccola: tanto Griziotti quanto Ghirighiz non volevano privarci della piacevole suspense che precede la rivoluzione. E quindi mo’ ci tocca viverla! – con qualche buona idea in più.

 

Immagine di copertina: “Gaia” by Mearone – Wikimedia commons

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