Il mio intervento si intitola “La misteriosa curva della retta lulista” e toccherà, sinteticamente, i problemi dello sviluppo capitalista in Brasile, a partire dalla relazione tra governi ed il cambiamento del mondo del lavoro vivo, con l’obiettivo di investigare le coordinate di una crisi di rappresentanza che, in Brasile, si potrebbe definire, simultaneamente, una crisi del sistema di partito, della crescita economica e della società urbana ed ambientale. Ho preferito dunque dividere il contesto, in tre brevi e concise parti schematiche, o in tre diversi momenti.

Nella prima, parlerò degli anni ’90, con il proposito di chiarire il significato del termine “neoliberismo” in Brasile. Nella seconda parte, mi soffermerò a parlare del governo di Lula, focalizzando l’attenzione sulla formazione di una nuova composizione sociale, che si può definire lulismo. Per terminare, parlerò della crisi del lulismo, ovvero lo scoppio della crisi di rappresentanza politico-economica, così come delle opzioni del governo Dilma che si è definitivamente allontanato dalla capacità di rinnovare l’istituzione con le forze produttive ed il nuovo ciclo di lotte, che hanno avuto come apice, le lotte massicie di giugno a ottobre del 2013.

PRIMA PARTE: IL NEOLIBERISMO DEGLI ANNI NOVANTA

Una forma di schematizzazione quasi automatica ci porta a chiamare i governi degli anni ’90 (Collor, Itamar e Cardozo) “neoliberisti” in contrasto con i governi chiamati “progressisti” di Lula e Dilma negli anni successivi; la realtà brasiliana non è esattamente così. Questa dicotomia, non solo ignora le condizioni specifiche della realtà brasiliana, come anche il fatto che esistono continuità e discontinuità molto più complesse nella svolta verso il lulismo.

È vero che il principale governo del periodo, il governo Cardozo, dal ’95 al 2002, ha adottato apertamente il discorso neoliberista, tuttavia, nella maggior parte delle volte è stato un discorso pragmatico e cinico. Il segno lasciato da Cardozo non è stato propriamente la “de-regolamentazione”, ma una persistente regolamentazione, chiamata “Piano Real” (real è il nome della moneta brasiliana). Un’azione centralizzata del governo federale rivolta contro la frammentazione delle istanze di governabilità. Il Piano Reale ha forzato una riorganizzazione politico economica, basata ed indirizzata al mercato mondiale, con sussidio in settori strategici e riequilibri fiscali.

Negli anni Novanta, il Piano Real di Cardozo ha introdotto dosi di “shock di capitalismo”, mediante:

1) Alleanza tra imprenditori fra i più dinamici, e le vecchie oligarchie agrarie, entrambe alleate in una modernizzazione autoritaria “dall’alto”; che ha rotto definitivamente gli ultimi fardelli nazionali-sviluppisti (nacional-desenvolvimentista) ereditati dalla ditattura militare;

2) Globalizzazione per riqualificare la produzione, riqualificazione in maniera predatoria e ultra competitiva: darwinismo imprenditoriale, tesi di “distruzione creativa” e privatizzazioni statali ereditate dallo nazionale-sviluppismo (nacional-desenvolvimentismo) – grandi imprese minerarie, grandi industrie, apertura del capitale della Petrobras.

Nel piano di organizzazione del lavoro, il Piano Real di Cardozo, ha imposto alterazioni a livello legislativo lavorativo, smantellando i quadri normativi della sicurezza sociale. Tuttavia, nonostante tumulti puntuali che accompagnarono tutto il periodo, ciò, non portò ad un movimento forte per far cadere il governo che durò 8 anni. Questo si deve al fatto che il neoliberismo, con le dovute parentesi, paradossalmente ebbe la capacità di favorire una composizione sociale che gli fu relativamente favorevole e lo sostenne politicamente. I motivi sono:

1) Controllando l’inflazione che in Brasile si alternava tra super e iperinflazione, che storicamente é stato un meccanismo brutale di trasferimento di rendita da poveri a ricchi.

2) Differentemente dai paesi occidentali, non c’era un welfare da difendere da parte della maggioranza della popolazione; in Brasile non c´è mai stata una società fordista, con politiche keynesiane. I diritti sociali per la maggioranza delle persone, erano appena “costituzione formale” e non materiale. I più pregiudicati dalla politica neoliberista sono state le classi medie urbane, una sottile frazione per la quale i diritti sociali non erano appena promesse. Questi gruppi cercarono trincee corporative e articolarono discorsi a favore dello stato, che invece non presentò mai qualcosa di democratico, questo perché, tornò a mantenere una situazione favorevole per pochi. Per i poveri, alcune privatizzazioni sono state relativamente benefiche, per esempio, citandone una, la telefonia, cui, le nuove regolamentazioni permisero un accesso quasi universale.

In conclusione, con il Piano Real, la moneta si è trasformata in materiale politico di disputa. Tuttavia, il carattere autoritario e l’assenza di una politica di composizione, ha portato il governo Cardozo ad una crisi destituente, l´incapacità di construire un patto sociale ampio, crisi accelerata a causa dei disordini economici globali provocati dalle lotte degli anni 2000.

SECONDA PARTE: GOVERNO LULA E LULISMO (2003-2010)

Nel 2003, Lula ha assunto e ha mantenuto la marca neoliberista della politica economica e monetaria, che ha continuato a essere regolamentata su base di una sorta di trepiedi (cambio fluttuante, mete d’ inflazione, adeguamento fiscale per generare surplus primari). Inoltre, la politica di alleanza di Lula non è stata neanche alterata, tra settori imprenditoriali più dinamici e gli oligarchi.

Durante la campagna elettorale, Lula ha firmato una “Lettera ai brasiliani” che in verità era diretta ai capitalisti e ha promesso che non ci sarebbero stati cambiamenti strutturali, fra questi, la riforma agraria, che effettivamente da quell’epoca non è più avanzata.

Però, il governo Lula, è stato innovatore in alcuni campi rispetto alle idee di Cardozo, le riassumo:

1) La massificazione delle politiche sociali di trasferimento diretto della rendita, principalmente quelle del programma Bolsa Familia e l’aumento graduale del salario minimo. La Bolsa Familia, particolarmente, è una politica gender-oriented, perchè sono le donne che prendono la rendita dirittamente, senza mediatori, senza intermedio della strutura di autorità locale, chi sono in molti caso mafiose. Queste politiche generano una scalata di effetti micro e macro economici, riorganizzando catene produttive a partire “dal basso” e propiziano pratiche di autonomia e contro potere economico. La popolazione povera ha conquistato mobilità produttiva e ha reinventato con termini propri la “socialità” per un’economia viva ed inedita per il Brasile.

2) Politiche di accesso alle università, politiche di affirmative action, ma anche appoggio alla costruzione di cisterne per affrontare la siccità del Nordest, elettricità rurale e molto importante, l’accesso al credito. Queste politiche sono entrate in un circolo che definirei virtuoso se aggiunte a quelle anteriori, qualificando di fatto la mobilizzazione produttiva.

3) Una nuova relazione fra governo e movimenti. Riflessi di questi atti, sono stati i Forum Sociali Mondiali, l’incorporazione dei movimenti della cultura viva, delle periferie, degli amerindiani e blacks, dei discendenti dei quilombi, dei giovani e della cultura digitale, principalmente nell’ambito del Ministero della Cultura, con il Ministro Gilberto Gil, in una concezione tropicalista (il tropicalismo fu un’espressione brasiliana del ciclo delle lotte del 1968) della politica ed il dialogo con i movimenti indigeni ed ambientalisti con Marina Silva come ministro dell’Ambiente di Lula.

Il risultato di tutto ciò, in termini di composizione sociale, è quello che oggi possiamo chiamare “lulismo”.

Il risultato eletorale di quanto sopra esposto è stata la chiara migrazione dei voti dei più poveri a Lula, in quanto gli strati medi urbani, rappresentati per lo più dal discorso statista keynesiano classico, sono passati all’opposizione. Non si può appiattire il processo ed assumere l’ambivalenza fondamentale del lulismo, fra le pressioni dello sviluppo capitalista e la mobilitazione produttiva dei poveri, nelle proprie dinamiche costituenti. Questa visione del doppio gioco del lulismo è stata elaborata sistematicamente nei lavori di Giuseppe Cocco e nei testi della rete UniNomade in generale.

TERZA PARTE – GOVERNO DILMA (2011-2014)

Dilma era a capo della Casa Civile di Lula e rappresentava il massimo vettore statista sviluppatore del governo. Nella stessa maniera che il neoliberismo è servito come corazza ideologica al governo Cardozo, il neokeneysianismo è servito al governo Dilma, che nei discorsi ha sempre enfatizzato costantemente il primato della crescita economica, l’industrializzazione nazionale ed il pieno impiego. Nonostante alcuni tentativi infruttuosi di Dilma, il sistema macroeconomico si è mantenuto praticamente inalterato, includendo di fatto la piena autonomia del Banco Centrale. Nel piano delle politiche delle alleanze, si è mantenuto inalterato lo schema della modernizzazione con uno sfondo oligarchico.

Il governo Dilma ha risolto varie ambiguità del precedente governo Lula, principalmente:

1) Le politiche sociali massicce che hanno determinato la mobilizzazione produttiva del governo Lula non sono state approfondite dal punto di vista qualitativo. L’intesa prevalente è che sarebbero state politiche del tipo “porta di uscita”, secondaria e transitiva rispetto alla strategia del pieno impiego, prioritaria al governo.

2) Il vettore economista e sviluppista (desenvolvimentista) è diventato egemonico in relazione alla possibilità di riqualificare il ciclo di sviluppo, con una concentrazione della sfera decidente nella cupola del governo.

3) La relazione differenziata fra governo e movimenti si è chiusa. Da un lato, a causa di svuotamenti dei movimenti più legati e stretti al governo che sono stati trasformati in cinghia di trasmissione delle decisioni prese per la cupola del governo, che ha così pregiudicato la vitalità dei movimenti stessi. Dall’altro lato e per altro conto, a causa dello smontaggio delle politiche innovatrici nel campo culturale con la restaurazione della logica verticale, così come l’esclusione dal governo dei vettori ambientalisti ed indigeni (indigenistas), processo iniziato con la rottura con Marina Silva nel 2008 a causa della megacentrale a Belo Monte.

Il culmine di questa chiusura è avvenuto con la risposta data dal governo Dilma durante le rivolte del 2013 e durante i protesti che sono avvenuti tra giugno 2013 e la Coppa del Mondo del luglio 2014. La risposta del governo è stata quella di criminalizzare movimenti ed attivisti. A Rio de Janeiro, per lo meno 73 collettivi sono stati inclusi in un´indagine riguardanti organizzazioni criminali, oltre a sindacati, politici dell’opposizione di sinistra, “midiativistas”, intellettuali ed avvocati popolari.

La capacità di radicalizzare il patto sociale lulista dipendeva della capacità di apertura della dinamica istituzionale all´impulso costituente della composizione di classe. È esattamente questa la capacità rigenerativa che viene bloccata dal governo Dilma. Questo blocco è anche il blocco strutturale dell’antagonismo di classe che va via via aggiungendo forza organizzativa al di fuori del proprio governo. Questo blocco non lo si deve attribuire a una tendenza di retrocesso intrinseca all’espansione capitalista nel Brasile, ma alle scelte e strategie adottate dal governo Dilma. In questo senso, l’incapacità di rinnovarsi con una nuova composizione di classe è determinante dell’esaurimento delle forze politiche ed economiche del governo attuale.

CONCLUSIONE

Lo sviluppo capitalista nel modello lulista ha favorito la formazione di una nuova composizione di classe.

Mentre, buona parte della sinistra brasiliana si riduceva a chiedere uno stato più presente dentro un’ideologia neokeynesiana, la mobilitazione produttiva dei poveri ricreava forme di lotta e pratiche di autonomia in termini propri.

La crisi di rappresentanza in Brasile, pertanto è una crisi del modello lulista che durante la presente decade si è allontanato dalle trasformazioni delle quali ha preso parte e ha favorito negli anni 2000. La crisi della crescita non chiede più uno stato e non più questa dialetica “neoliberismo-sviluppismo”, ma più democrazia, vale a dire, moltitudine e comune antagonista, e alternative costituenti, le stesse che il governo Dilma ha combattuto e criminalizzato. Quindi, l’incapacità di partecipare al processo di una nuova mobilitazione democratica e produttiva ha portato il governo Dilma all’incapacità di riqualificare l’economia per un nuovo ciclo di sviluppo.

L’enorme distanza aperta tra la retta tracciata da parte del governo e la misteriosa curva lulista, la curva clinamica delle lotte constituenti, una curva non riconosciuta ed indesiderata da parte del governo, spiega lo scoppio delle lotte massiccie del 2013, che furono il potenziamento di alternative “fuori e contro” e lo svuotamento del proprio governo come vettore di trasformazione, convertito in un mero gestore delle crisi e rappresentante di un’economia di crisi. Si può dunque dire che se il Brasile si avvicina alla logica propria del neoliberismo e la vede come forma di crisi, è a causa del progressismo dei governi di sinistra, a causa dei propri errori e colpi di scena autoritari – e non semplicemente a causa di vittorie di qualche blocco storico della destra.

Chi comanda la restaurazione del consenso neoliberista, contro le vie d’uscita aperte dalle lotte basata sulla nuova composizione di classe, il “lulismo selvaggio”, è la stessa sinistra progressista.

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