Logica finanziaria versus logica economica
La conclusione della trattativa tra Bruxelles e Atene (la capitolazione greca) è l’esito di una scelta politica che di economico non ha nulla. Anzi irride profondamente qualsiasi razionalità economica, quella razionalità dell’homo oeconomicus che viene ritenuta alla base di qualsiasi scelta economica efficiente e continuamente sbandierata dai manuali di economia politica, dalla stampa e dagli stessi politici di governo per giustificare decisioni che di economico hanno invece ben poco.
L’accordo imposto alla Grecia con il ricatto della stretta di liquidità prevede per 10 anni un avanzo primario del 3,5%, la costituzione di un fondo di garanzia patrimoniale da alienare (leggasi privatizzare) del valore di 50 miliardi di euro (poco meno del 25% del Pil Greco, una cifra che in Italia equivarrebbe a più di 450 miliardi!), misure fiscali che incidono negativamente sulla domanda interna grazie all’aumento dell’Iva (con il duplice effetto di colpire 1. settori –turismo, in primo luogo, da cui “la Grecia –come giustamente rileva Paolo Pini (http://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/europa-e-mondo/grecia-verso-una-lenta-agonia-ma-leuropa-e-ancora-riformabile/) – trae un flusso positivo di risorse estere per compensare almeno in parte il saldo negativo complessivo della bilancia commerciale” e 2. penalizzare i redditi più bassi), nuovi interventi sulla previdenza e sanità pubblica oltre a quelli già adottati negli anni precedenti e via di questo passo.
Una banale logica economica e contabile, condita con matematica elementare, ci potrebbe mostrare che l’obiettivo del risanamento dei conti pubblici greci, pur lodevole a parole, non potrà mai essere perseguito nei fatti. La spiegazione è sempre la stessa: se vuoi ridurre un rapporto (in questo caso il rapporto debito/Pil) può sembrare logico intervenire sul numeratore (quindi riduzione della spesa pubblica e aumento delle tasse – ma solo quelle regressive in modo da non penalizzare troppo i ceti più ricchi). Ma, se l’effetto collaterale è ridurre anche il denominatore, cioè il Pil, in modo più che proporzionale (in seguito al demoltiplicatore del reddito), è chiaro che il rapporto non potrà mai diminuire.
È la dimostrazione più semplice dell’illogicità e dell’inefficacia conclamata delle politiche di austerity, come più di cinque anni di sperimentazione hanno evidenziato. Ci chiediamo allora quale sia la logica razionale che sottostà a questo tipo di scelte economiche. Non siamo di fronte a una governance irrazionale (come molti sostengono per comodità) ma a un altro tipo di razionalità, esito di una logica, che possiamo definire finanziaria. In altre parole non è logica economica ma logica di potere. E’ la conferma che la finanza svolge un ruolo di controllo biopolitico sulle vite degli individui. E’ forma di bio-potere1
La logica finanziaria è molto semplice. E’ quella della speculazione: ottenere direttamente plusvalore dalla circolazione del denaro, D-D’. Si tratta di plusvalore finanziario, oggi possibile dal momento che la moneta è diventata pura “moneta-segno”, del tutto “virtuale”, completamente sganciata da qualsiasi unità di misura materiale (oro), all’indomani della fine del sistema di Bretton Woods. Tale plusvalore ha due origini: la prima, classica, si fonda sul pagamento degli interessi sul debito. La seconda, più moderna, diffusasi con la liberalizzazione dei movimenti di capitale e con la finanziarizzazione (e con l’innovazione dei prodotti derivati), è costituita dalle plusvalenze.
Non è un caso che, al di là delle questioni geo-economiche e di supremazia europea, la prima richiesta dei creditori della Grecia sia stato il rispetto delle scadenze dei pagamenti e quindi la necessità di reperire risorse a tal fine e non alla riduzione del debito. Sta qui la razionalità finanziaria delle politiche di austerity.
La Grecia è stata finanziata negli ultimi anni per consentire che i suoi debiti traslassero dalle banche private alle istituzioni europee. Oggi, non a caso, il 72% dell’intero ammontare del debito greco è in mano a istituzioni pubbliche. Nel dettaglio: il 60% è – attraverso il fondo di stabilità europeo (l’EFSF) e attraverso il Meccanismo europeo di stabilità (l’ESM) – detenuto dall’Unione europea; il 12% è invece proprietà del Fmi. La Banca centrale europea possiede direttamente l’8%, mentre il 15% sono titoli di debito trattabili sul mercato secondario: di questi l’11% sono bond e il 4% sono prestiti a breve termine (dati febbraio 2015).
I governi dell’Eurozona sono esposti complessivamente per 195 miliardi di euro. Di questi la Germania detiene lo scoperto maggiore (circa 60 miliardi), seguita dalla Francia (46) e dall’Italia (42). Fino al 2011, erano invece le banche francesi e tedesche ad avanzare la quota principale dei crediti (in media, oltre il 55%). Le politiche del quantitative easing della Bce hanno favorito questo passaggio di crediti, liberando il mercato finanziario privato del rischio di default. È questo il motivo principale per cui, sino all’elezione del governo Tsipras, i tempi di restituzione del debito greco sono stati più lunghi e la disponibilità di fornire crediti più lasca. Perciò, i mercati (nonché gli indici) finanziari si sono mostrati, non a caso, abbastanza insensibili al rischio di default greco.
In proposito, è necessario sottolineare ciò che raramente viene ricordato e che anche lo stesso Tsipras ha denunciato nel suo intervento al Parlamento Europe (guarda caso, l’unica istituzione democraticamente eletta ma senza alcun voce in capitolo nella trattativa!). Come emerge dall’analisi dei documenti della Commissione europea, del Fmi e del Governo greco, nel periodo 2010-2014, la Grecia ha ricevuto 23 tranches di finanziamenti per un totale di 206,2 miliardi. Di questi, solo 27 miliardi (pari al 13%) sono stati utilizzati per sostenere il bilancio greco. Il 32% è stato adoperato per pagare il debito in scadenza e ben 83,7 (pari al 33%) miliardi sono serviti a pagare gli interessi ai creditori (di cui 9,1 miliardi sono andati al Fmi). Infine, 48,2 miliardi – dietro input della Bce e degli accordi Basilea 3 – sono finiti nella ricapitalizzazione delle banche greche.
In altre parole, il crescente indebitamento della Grecia (ma ciò vale anche per gli altri paesi europei, Italia in testa), è un ottimo propellente per alimentare l’espansione di mercati finanziari sempre più concentrati, a patto, però, che gli interessi vengano rimborsati regolarmente. E su ciò non si può transigere!
La stretta sulla liquidità greca, imposta dalla BCE ma voluta e approvata dall’intera tecnocrazia europea, ha costretto il governo Tsipras ad accettare che la logica finanziaria (via austerity) risultasse ancora una volta vincente. Ma fino a quando?
L’istituzione Europa non è più riformabile
Spesso quando si parla di Europa non si capisce a che cosa si sta facendo riferimento. All’idea di Europa così come la immaginavano i padri fondatori? Oggi possiamo dire con una certa sicurezza che quell’ideale di Europa, generatosi all’indomani dell’incubo e degli orrori della II Guerra Mondiale, è definitivamente tramontato sotto i colpi imperiali della finanziarizzazione e della globalizzazione.
Ad una Europa economica e sociale in grado di ridurre le disparità e favorire la coesione sociale, grazie all’adozione di più strumenti comuni (non solo l’Euro, quindi, ma anche, ad esempio, una politica fiscale comune)? Non ci pare ci siano concretamente le condizioni.
Abbiamo la sensazione che si sia concluso una prima fase del processo di integrazione europea, iniziato con gli accordi di Roma del 1956. Una conclusione che non può che evidenziare il fallimento di questo processo.
Dopo quasi 60 anni, le premesse che ne erano state alla base, sono miseramente naufragate. L’unione economica non ha portato ad una maggior integrazione economica, anzi. La creazione della moneta unica, come la storia ci ha insegnato, non può agevolare un unione politica, perché la sua costruzione istituzionale, come sappiamo, poggia su un rapporto di potere e quindi di dominio. Né può favorire una maggior coesione economica. E sociale. Anzi.
La moneta unica nasce quindi per completare il processo di annichilimento delle lotte sociali degli anni precedenti e per sancire il primato della governance finanziaria nel passaggio dal capitalismo fordista a un nuovo capitalismo2. Oppure, detto in altri termini, nel passaggio da un’economia monetaria di produzione a un’economia finanziaria di produzione3.
Questi sono i rapporti di forza in campo. La solitudine nella quale è stata lasciata la Grecia in questi mesi ne è una triste conferma.
C’è chi pensa che si possa sfuggire alla potenza della logica finanziaria recuperando sovranità monetaria. Credo che non ci sia nullo di più illusorio. La scelta di tornare alle monete nazionali potrebbe avere un senso se oggi il processo di valorizzazione continuasse a basarsi sulla produzione mercantile e tangibile. In questo caso, il recupero della sovranità monetaria potrebbe ampliare margini di autonomia nelle scelte di politica economica a sostegno dell’economia reale (ad esempio, via svalutazione), anche a rischio di pesanti sacrifici (perdita del potere d’acquisto dei redditi da lavoro, forte incremento dell’onere del debito, dal momento che i creditori sono per lo più fuori dai confini nazionali, svalorizzazione della produzione nazionale e eventuale sua svendita…). Ma oggi per ogni euro di scambio commerciale abbiamo 15-16 euro di transazioni finanziarie in grado di movimentare quantità di moneta virtuale in un rapporto di 5 a 1 rispetto alla liquidità controllata ed emessa dalle Banche Centrali4.
I potentati oligarchici rappresentati da una decina di multinazionali della finanza (da Goldman Sachs a Bank of America-Merrill Lynch, da Deutsche Bank a BNP-Parisbas, da Credit Suisse a HSCB, da Ubs a JPMorgan Chase) sono in grado di condizionare lo sviluppo di convenzioni finanziarie (per di più senza avere la proprietà diretta dei titoli finanziari che compongono il proprio portafoglio) e le stesse scelte di politica monetaria delle Banche Centrali, a partire dalla stessa Fed.
Tale valorizzazione, creando plusvalenze, genera liquidità, alimentando un moltiplicatore finanziario che tende a sostituire il moltiplicatore keynesiano basato sul deficit spending ma con una differenza sostanziale: il moltiplicatore finanziario genera polarizzazione e distorsione nella distribuzione del reddito, mentre il moltiplicatore del reddito di Keynes era volto a favorire una più equa distribuzione del reddito. Il processo di distribuzione che è generato dal processo di finanziarizzazione (economia finanziaria di produzione) mette in moto un processo irreversibile di polarizzazione dei redditi, con il conseguente e ovvio effetto di discriminare l’accesso ai servizi sociali di base (sanità, casa, istruzione, mobilità) e creare condizioni di strutturale instabilità e indebitamento perenne.
In ultima analisi, non è cambiando il tipo di bastone (moneta) impugnato dal potere finanziario che si distrugge tale potere.
E allora?
Se le istituzioni europee si sono dimostrate non più riformabili, allora occorre rivoluzionarle. Non facciamo riferimento alle rivoluzioni del XX secolo ma piuttosto alla costruzione, qui e ora, di un circuito monetario e finanziario alternativo, in grado di essere indipendente dai diktat della Troika.
E’ qui si fa riferimento alla proposta di una “moneta parallela” che si aggiunge all’euro ma senza causare un Grexit.
Sul Financial Times del 19 luglio, Wolfgang Münchau scrive:
“Alexis Tsipras non avrebbe mai dovuto nominare Yanis Varoufakis ministro delle finanze. Oppure avrebbe dovuto ascoltarlo, e tenerselo. Invece il primo ministro Greco ha scelto l’opzione peggiore di tutte. Ha seguito il consiglio di Varoufakis di rifiutare l’offerta dei creditori – fino alla scorsa settimana. Ma dopo averlo fatto, il signor Tsipras ha commesso un grave errore nel rifiutare il piano B di Varoufakis (ammesso che il ministro avesse davvero pronto un piano B) da attuare nel momento in cui le banche del paese sono state chiuse: l’immediata introduzione di una valuta parallela – “pagherò” emessi dallo stato greco ma denominati in euro. Una valuta parallela avrebbe permesso ai greci di pagare le loro pendenze interne quando i prelievi bancari sono stati limitati a 60 € al giorno. Si sarebbe evitato il totale collasso economico”5.
Si tratta di una questione delicata e nevralgica, soprattutto per quanto riguarda la forma di questa moneta parallela. La proposta di Varoufakis (a quel che è dato di sapere) riguardava la creazione di un mezzo di pagamento, sul modello IOU, che fosse comunque sempre convertibile in euro. Di conseguenza, la circolazione di tale moneta rimaneva comunque vincolata alla quantità di euro esistente nello stato ellenico. Se la Bce avesse tagliato del tutto la liquidità dell’Ela in seguito al mancato accordo (come probabile), il vincolo di liquidità avrebbe interessato anche la nuova moneta, senza quindi ottenere il risultato di essere indipendenti dalle scelte repressive della Troika.
E’ partendo da queste considerazione che la proposta di una moneta alternativa e parallela deve avere premesse diverse.
In primo luogo deve costituire un circuito economico completo e separato da quello ufficiale, finalizzato a garantire solo quelle transizioni economiche (dagli investimenti ai consumi) che avvengono necessariamente all’interno dei confini greci. Ci riferiamo, ad esempio, alle prestazioni di welfare, quelle che sono state più pesantemente tagliate da 5 anni di austerity.
In secondo luogo, tale moneta alternativa, emessa da un istituzione statale (più o meno collegata alla Banca Centrale) deve essere utilizzata anche per pagare le tasse (in particolare l’Iva, ma non solo) così da garantirne la circolazione e incentivare la sua accettazione da parte della popolazione. In terzo luogo, tale moneta viene emessa come moneta credito per remunerare prestazioni lavorative e finanziare attività produttive e di servizi gestiti dallo stesso Stato.
La moneta alternativa6, dà così linfa ad un circuito monetario parallelo: la nuova moneta creata viene emessa per pagare pensioni e salari inizialmente ai pubblici dipendenti da spendere nel circuito produttivo e commerciale nazionale e consentire così, grazie al consumo attivato, il pagamento delle imposizioni dirette e indirette che ritornano allo Stato e danno vita ad un bilancio pubblico che non è contabilizzato in euro. Un bilancio pubblico comune che potrebbe essere finanziato illimitatamente dalla stampa della nuova moneta.
In tal modo, nuovo ossigeno può essere fornito, seppur parzialmente, all’economia e quindi attutire gli effetti recessivi della stretta di liquidità in euro. Liberarsi dai vincoli antidemocratici imposti dalla logica finanziaria di potere è il primo passo per riconquistare spazi di democrazia e di autodeterminazione.
Si tratta di una proposta rivoluzionaria nella misura in cui permette di sganciarsi dalla dipendenza della Troika con lo scopo di ottenere un’autonomia di azione economica che il ritorno alla sovranità di fatto non consentirebbe.
Inoltre, poiché le regole dei trattati europei, non consentono di espellere un paese contro la sua volontà, la Grecia, rimanendo nella zona Euro, è in grado di destabilizzare il consenso di fatto unanime (anche se differenziato a parole) a favore della guida tedesca molto più di quanto accadrebbe con la sua fuoriuscita, anche tenendo conto che ciò rafforzerebbe le tendenze egemoniche dell’asse Germania e alleati.
1 Cfr. S Lucarelli, “La finanziarizzazone come bio-potere”, in A.Fumagalli, S.Mezzadra. Crisis in the Global Economy, Semiotext(e) – The MIT Press, Cambridge MA, Usa, p. 101-120 e A. Fumagalli, Il biopotere della finanza: brevi note sulla crisi dell’eurozona, 30 aprile 2010: http://www.globalproject.info/it/in_movimento/il-biopotere-della-finanza/4767:
2 Il nuovo capitalismo piò essere definito capitalismo bio-cognitivo, facendo tesoro delle categorie foucaultiane e operaiste. Cfr. A. Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo, Carocci, Roma, 2007 e “Twenty Thesis on Contemporary Capitalism (Bio-cognitiv Capitalism)”, in Angelaki, vol. 16, 2011, p. 7-17
3 Cfr. A. Fumagalli and S. Lucarelli, A financialized economy of production. “International Journal of Political Economy”, 40, 1, pp. 48-69.
4 Negli scritti e nelle analisi di Alberto Bagnai, forse il più noto e rigoroso sostenitore della necessità di uscire dall’Euro, poco peso viene dato al ruolo svolto dai mercati finanziari e alle nuove forme di accumulazione e valorizzazione del capitalismo contemporaneo.
6 Per approfondire la tematica, rimandiamo al testo collettaneo curato da Emanuele Braga e Andrea Fumagalli, La moneta del comune: la sfida dell’istituzione finanziaria del comune, in corso di pubblicazione per DeriveApprodi-Alfabeta con contributi tra gli altri di Stefano, Lucarelli, Christian Marazzi, Tiziana Terranova, Carlo Vercellone.