«Jin Jiyan Azadî»
Ma la guerra c’è, attraversa tutto il pianeta, non sempre combattuta con le armi – quelle che convenzionalmente definiamo armi -, ma è intorno a noi. La rinascita di frontiere cinte da muri e filo spinato. L’interminabile e quotidiano massacro di migranti e rifugiati che ha reso il mediterraneo una gigantesca fossa comune. La sempre maggiore aggressività di un capitalismo – ogni giorno più elitario ogni giorno più di rapina – che non è più disposto a condividere neppure gli avanzi dell’enorme profitto che sta accumulando, che si ciba della povertà di intere classi, di intere popolazioni, la cui unica strategia è dividere – popolo contro popolo, oppressi sfruttati poveri contro oppressi sfruttati poveri – per continuare a dominare. I fascismi e l’egoismo sociale che sembrano di nuovo rappresentare nell’occidente l’unico strumento identitario di chi non ha (più) niente.
La guerra c’è e le donne e gli uomini kurdi lo sanno e hanno deciso di combatterla. Hanno deciso di resistere per loro stessi e per gli altri popoli che li circondano. Non hanno abdicato al loro sogno di mondo, al contrario se lo portano nel cuore e nelle mani quando liberano territori, quando ricacciano nell’inferno che lo ha partorito l’oscurantismo politico/religioso.
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