La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza 7 aprile 2015 ha accolto il ricorso di Arnaldo Cestaro, uno dei torturati nella famigerata “scuola Diaz”, durante il summit degli “8 Grandi” – G8 del 2001. La sentenza accerta la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: tortura e trattamento inumano o degradante.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non è un organo della Unione Europea; il trattato Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo) è stato stipulato nel 1950, e per garantirne l’applicazione è stata istituita (con lo stesso trattato Cedu) la Corte nel 1959, con sede a Strasburgo. Il Trattato Cedu conta oggi 47 paesi aderenti, tra cui la Russia e la Turchia.

La sentenza Cestaro condanna lo Stato Italiano a un (piccolo) risarcimento in denaro a favore del ricorrente: 45 mila euro. Obbliga lo Stato Italiano, secondo le norme di numerosi trattati, ad adeguare la propria legislazione per garantire la repressione della tortura.

Il “caso Italia” nella materia de quo è solo una colorita conferma della realtà anti-giusnaturalistica del sistema giuridico odierno, che indusse Hanna Arendt a vedere i diritti umani come orfani, largamente dichiarativi, sempre in cerca di un tutore sfuggente o ingannatore.

I fatti (del G8 di Genova) sono noti, e riportarli con adeguato sdegno in questo articolo sarebbe probabilmente come predicare ai convertiti.

La tortura, a mio avviso, occupa una parte importante nelle nostre vite, poiché proietta i suoi effetti nel tempo e su moltissime persone, oltre ovviamente che sui torturati medesimi. Per questa ragione è utile parlarne, e applicare all’argomento la più evoluta delle capacità umane, la capacità di previsione. Per questo chiamerei il pensiero sotteso a questo umile articolo “il futuro della tortura”.

A volerla vedere come un mezzo, uno strumento, la tortura è il fondamento del potere (che oggi è capitalistico); senza tortura il potere non esiste, o almeno non dura. D’altro canto la tortura è il potere stesso.“The object of persecuction is persecution. The object of torture is torture. The object of power is power. Now do you begin understand me?”(George Orwell, Nineteen eighty-four, 1949, Penguin Books, London, 2003, p. 302).

“Come fa un uomo ad affermare il suo potere su un altro uomo, Winston?” Winston ci pensò un po’ su. “Facendolo soffrire” disse infine. “Esattamente. Facendolo soffrire. L’obbedienza non basta. Se non soffre, come si fa ad essere sicuri che egli non obbedisca alla sua volontà anziché alla tua? Il potere consiste appunto nell’infliggere la sofferenza e la mortificazione.” (Orwell, 1984, cit., p.295).

Con tale prospettiva, ritenendo la tortura un elemento naturale del potere – e quindi ineliminamibile finché c’è un potere – pare utile esercizio cercar di prevedere come si utilizzerà la tortura nel nostro futuro. Pensando all’Italia del 2001, un neo-rieletto Governo Berlusconi (11.6.2001-23.4.2005) ha mostrato i denti per garantirsi spazio attorno, per ossequiare i Governi del G8, in primis gli Usa, preparando il campo di tortura di Bolzaneto, poi effettivamente usato, e pianificando il macello nella scuola Diaz.

Negli ultimi anni le botte inflitte con crudeltà dai poliziotti a chi è nelle loro mani e non può contare su protezioni, affiorano giudiziariamente e mediaticamente quando il torturato muore. È il caso di Cucchi, Aldrovandi, Uva e altri morti di cui si è dovuta occupare la magistratura. L’impunità plateale dei poliziotti torturatori, spesso promossi o incentivati, fa parte dell’apparato. La mortificazione massiva garantisce depressione e senso di impotenza nei subordinati.

Se il film Diaz è un’opera coraggiosa e meritoria perché la memoria è la madre del cambiamento, credo che il partito dei torturatori nel breve termine non disprezzi il senso di terrore – oltreché di orrore – che hanno provato gli spettatori del film. Terrorizzare il nemico facilita il lavoro di chi vuole il monopolio della violenza e quindi del potere; ne abbiamo un chiaro ed attuale esempio nella tattica militare dello Stato Islamico.

Un testo di legge sull’introduzione del reato di tortura (65 anni dopo la Convenzione Europea Cedu e 31 anni dopo la Convenzione di New York), è in itinere in parlamento ed il PD ne fa vanto in questi giorni. Che venga approvato è una pura supposizione.

Un magistrato genovese che si è molto occupato delle torture del G8 così commenta: “Il testo sulla tortura approvato dal Senato? Non mi soddisfa: nel disegno passato al Senato la tortura è un reato comune (che può commettere chiunque) con una pena minima (3 anni) compatibile col bilanciamento delle attenuanti e con i benefici di legge. Solo nella forma aggravata punisce la condotta del pubblico ufficiale ma, col bilanciamento delle attenuanti, si tornerebbe alla pena prevista per il reato comune. Arma spuntata in partenza, dunque. È una legge equivoca: parla di condotta al plurale. Una singola sigaretta spenta in un occhio della vittima non sarebbe tortura? È equivoca anche nell’ipotesi di morte della vittima: morte quale conseguenza non voluta? Se Tizio tortura a morte un essere umano l’accusa, deve dimostrare l’intenzionalità dell’omicidio? Per ritenerlo omicidio volontario aggravato l’accusa deve dimostrare l’intenzionalità dell’omicidio come se la morte fosse un effetto preterintenzionale della tortura?”.

La proposta di legge sulla tortura se venisse approvata comunque non potrebbe avere effetto veruno per i pretoriani del G8 di Genova, per il principio di irretroattività della legge.

Che l’introduzione del reato di tortura cambi radicalmente il futuro assetto del “partito della polizia”, appare improbabile. Se le indagini dell’ultimo decennio per i morti ammazzati di botte non hanno portato a punizioni adeguate, perché mai cambiando il titolo ai reati di lesioni e omicidio si dovrebbe garantire la punizione dei medesimi fatti?

La tortura ai danni di chi attenta in armi alle istituzioni dello Stato, storicamente vede la feroce ed unanime reazione delle istituzioni e dei loro sostenitori: in tale clima, sempre “eccezionale”, pare ancor più improbabile un bilanciamento dei poteri ed un intervento pacificatore della magistratura. Tale situazione si è già verificata in Italia coi movimenti sovversivi armati degli anni ’70 e ’80, e la tortura praticata in quegli anni pare addirittura dimenticata nel dibattito attuale.

Insomma, la tortura c’è e ci sarà – insieme al potere, come detto. Che fare? Onestamente, sperare che non capiti a noi. I torturati del G8 sono stati davvero tanti. Facciamo sentire la nostra solidarietà, andiamo a cercarli.

Riguardo al G8 Genovese, il fatto più grave è che i torturatori siano tutti (tutti) in servizio e stipendiati, all’esito dei procedimenti disciplinari seguiti alle condanne penali. I torturatori sono stati e sono pagati per fare il loro lavoro. Come direbbe Marlon Brando “niente di personale, è solo bisiniss”; sarebbe bene che non ricevessero più lo stipendio.

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