Ovvero di come la destra si sia appropriata dei temi della sinistra

Non c’è purtroppo granché di cui stupirsi per ciò che è successo in queste settimane sulla scena politica italiana. Si avverte un sapore di deja vù, anche se con coup de théâtre finale, misterioso e un po’ patetico. Certo, la situazione è drammatica nella sostanza, con l’avvio di un governo a trazione leghista.

Dopo lunghi tira e molla, annunci e smentite, il presidente Sergio Mattarella ha dato il via libera al nuovo governo 5Stelle-Lega. Soltanto pochi giorni fa, il primo ministro designato Giuseppe Conte era stato dimissionato per il rifiuto di Mattarella di accettare Paolo Savona al ministero dell’economia, per le sue posizione anti-europeiste. Ora, ironia della sorte, Savona è andato alle politiche comunitarie e il nuovo ministro dell’economia è Giovanni Tria, con posizioni non molto diverse seppur più moderate e più vicine a Forza Italia che alla Lega. La sua recente dichiarazione, secondo la quale non è grave rispettare la clausola di salvaguardia (con il conseguente aumento dell’Iva dal 22% al 24,2%) se i soldi risparmiati (circa 12,5 miliardi) sono utilizzati per finanziare la proposta di flat-tax su due aliquote (10% sino a Euro 80.000 di imponibile familiare lordo, e 20% per i redditi superiori), la dice lunga sulle intenzioni di interventi distributivi del reddito a favore dei ricchi e a danno dei poveri.

Si può discutere a lungo se il nuovo governo rappresenti una vittoria di Salvini o di Mattarella. È una disputa che a noi interessa abbastanza poco: il nuovo governo va incontro alle aspettative delle oligarchie finanziarie, il suo programma non mette in discussione il liberismo economico e intende procedere con la riduzione delle tasse per le fasce più abbienti. Il lavoro ai fianchi di questi giorni del biopotere finanziario, tra minacce di “downloading” dell’economia italiana da parte delle società di rating e pressioni speculative sui titoli di stato italiani, ha sortito i suoi effetti.

Non è la prima volta che questo accade.

Il 22 marzo 2013, l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dà l’incarico di formare il governo a Bersani, segretario del PD. La proposta di governo viene rigettata perché non si ha certezza della maggioranza parlamentare. Il Presidente Napolitano decide di imporre un diverso equilibrio, di tipo trasversale, fondato sull’alleanza Pd e Forza Italia.

Non c’è bisogno di ricordare ciò che è successo nell’estate del 2011, l’indomani dell’attacco speculativo condotto dalla Deutsche Bank, quando la lettera di Draghi e Trichet ha portato alla crisi del governo Berlusconi  e alla nomina di Mario Monti a Presidente del Consiglio, ancora una volta sotto la regia di Napolitano.

La valorizzazione finanziaria, il suo bio-potere insomma, rappresenta oggi la vera leva del comando economico e politico del capitale sul lavoro, in un contesto di democrazia autoritaria. Per usare una felice espressione di Rita Di Leo, gli interessi degli “uomini della moneta” prevalgono su quelli degli “uomini del lavoro” e “dei libri”. Con ciò non dobbiamo avere paura ad affermare che ci stiamo confrontando con la “fine della democrazia”.

In questo buio qualcosa è chiaro: ovvero che il nuovo governo è l’esito della sconfitta della sinistra a seguito della sua subalternità ai poteri forti dell’élite economica-finanziaria. È abbastanza inutile stracciarsi le vesti di fronte alla tragedia del nuovo governo leghista, che aumenterà repressioni e xenofobie, e al fallimento di Mattarella nel “porre un freno”, rimpiangendo i governi precedenti  (come fossero stati governi progressisti…). Forse sarebbe meglio domandarsi come mai 5S e Lega abbiano guadagnato il 50% dei voti degli italiani.

Il nuovo governo 5stelle-leghista è l’esito finale del fallimento della “sinistra” (Pd soprattutto) che non ha fatto altro che subire le imposizioni dei mercati finanziari. Fino al luglio 2015, la Grecia di Tsipras e Varoufakis ha cercato di mettere in discussione il potere dell’oligarchia finanziaria europea e del Fmi. C’è stata l’occasione sul piano istituzionale europeo, con il possibile intervento di Francia, Italia, anche Spagna, di fare pressioni per una ridiscussione critica delle politiche d’austerity. La Grecia è invece rimasta sola.

L’incapacità del centro-sinistra di mettere in discussione le politiche di lacrime e sangue imposte dal dogma dell’austerità europea per drenare risorse a vantaggio dei mercati finanziari (istituzionalizzazione della condizione precaria, privatizzazione e finanziarizzazione del welfare, dalla previdenza all’istruzione, aumento della regressività delle imposte a danno dei ceti meno abbienti, aumento dell’Iva, riduzione delle tasse patrimoniali e sui profitti), ha favorito la canalizzazione del malessere sociale verso posizioni populiste che, lungi dal rilanciare il conflitto tra lavoro e capitale, hanno invece abbracciato la dialettica “sovranismo vs europeismo”.

Di fatto, si è creata una pessima egemonia “culturale”, che è diventata drammaticamente “politica”, la quale vede come unico modo per fuoriuscire dalla gabbia dell’austerità l’abbandono della moneta unica e il ritorno al nazionalismo della lira. A tale deriva ha contribuito anche parte della sinistra radicale, senza rendersi conto che, così facendo, portava solo acqua al mulino dell’avversario di classe. Di conseguenza, le tematiche dell’equità sociale, della lotta contro lo sfruttamento antico e nuovo del lavoro, del diritto ai servizi sociali primari liberi e gratuiti, sono state, demagogicamente, scippate dalle forze populiste più reazionarie, con chiare innervature razziste e sessiste.

Non può meravigliare che la “sinistra” sia oggi in gravissima crisi. Occorre quindi costruir su macerie, aprendosi un varco (ora stretto) tra la demagogia reazionaria, populista e sovranista, da un lato, e la dipendenza di Renzi, Gentiloni, Mattarella dai poteri forti europei (nel nome di un falso europeismo), dall’altro.

Il recupero della componente di sinistra che ha votato 5S è la scommessa futura. Tale scommessa va accompagnata da una forte innovazione politica e dalla capacità di promuovere un’azione sociale concreta, sui territori. Una proposta che dovrebbe, a nostro modesto avviso, fare leva sulla proposta di un  reddito di base totalmente incondizionato (quindi di conflitto e non di compatibilità), sul diritto alla sostenibilità ambientale, sull’allargamento dei diritti civili (oltre la famiglia mononucleare), a favore di sperimentazione di welfare dal basso e pubblico, in grado di creare autonomia economica e finanziaria tramite la costruzione di circuiti monetari alternativi (e non solo complementari), in grado di ridurre la ricattabilità e la sussunzione vitale del lavoro vivo, in nome di un modello di società sostenibile, equa e autodeterminata.