Riteniamo utile pubblicare il testo integrale della sentenza emessa sul caso Uber dal Tribunale del lavoro di Londra (qui un articolo di Roberto Ciccarelli su Il Manifesto che ne dava notizia).

Non è cosa semplice procedere alla traduzione in italiano della lunga e articolata motivazione, d’altra parte la prosa è scorrevole, senza fronzoli e per questo facilmente accessibile anche per chi non abbia conoscenza approfondita dell’inglese.

La decisione ha suscitato molto scalpore, anche negli Stati Uniti, per le possibili conseguenze  tecniche e giuridiche nel vasto territorio della sharing economy e per tutti i precari. Nella sola Londra sono circa 30.000 gli autisti che Uber utilizza mediante piattaforma, tutti come lavoratori autonomi. Il Giudice ha in buona parte accolto un ricorso collettivo promosso da un sindacato (il terzo per numero di iscritti nel Regno Unito) molto attivo nel settore del trasporto; la sentenza non riconduce il rapporto degli autisti Uber nel tradizionale  ambito del lavoro subordinato, ma esclude al tempo stesso che davvero si possano definire indipendenti e padroni del proprio destino i lavoratori precari a chiamata. Il riconoscimento del loro stato di workers apre la porta ad alcuni diritti di non poco momento: una paga oraria minima di 7,20 sterline (al cambio odierno euro 8,121) e ferie pagate, con un costo contributivo a carico dell’azienda. La sentenza è ovviamente stata impugnata da Uber, ma costituisce un precedente di grande interesse, soprattutto perché a breve saranno trattate (e sono in calendario) analoghe controversie che riguardano le piattaforme di recapito dei pasti (i cugini della Foodora). I principi enunciati sono davvero un primo passo e aprono un sentiero percorribile in tutta l’area europea. In ogni caso lo possiamo considerare un laboratorio di ricerca.

Qui il testo originale della sentenza, in pdf: tribunale-di-londra-sentenza-uber

Print Friendly, PDF & Email