“Musique Non-Stop”, cantavano i Kraftwerk nel 1986. “Game Non-Stop” scriviamo noi osservando le convulsioni di Wall Street di fronte al fenomeno GameStop nel 2021. Ma andiamo per punti. GameStop è una catena di negozi specializzati nella compravendita di giochi elettronici nata nel 1984 con una diffusione capillare negli Usa e quotata in borsa a Wall Street. I lockdown seguiti all’emergenza sanitaria hanno annientato la vendita al dettaglio, reso obsoleti i centri commerciali, e favorito un definitivo salto online del consumo attraverso soluzioni in rete su server remoti (cosiddetto “cloud”) anche per il settore dei videogiochi. In altre parole, si scarica direttamente sul computer anziché comprare il gioco in negozio.

Con l’incremento dell’e-commerce e l’annuncio lo scorso settembre della chiusura di 200 punti vendita, GameStop ha ingenerato aspettative al ribasso sul valore atteso futuro del titolo quotato in borsa. Questo tipo di involuzione è il tipico scenario che apre alle speculazioni finanziarie, in quanto gli hedge fund puntano a una speculazione al ribasso del titolo, vendendo le azioni di er poi ricomprale in futuro a un valore decisamente inferiore.

Quello che è successo a gennaio 2021 si può riassumere brevemente così: tre milioni di trader hanno organizzato un attacco contro le posizioni “short” di fondi che avevano speculato sulla svalutazione di GameStop. Melvin Capital, uno dei fondi più esposti nei confronti di GameStop, ha perso sette miliardi di dollari o circa il 50% del fondo. Cifre che hanno seminato il panico e fatto il giro del mondo.

Per cogliere meglio la storia, bisogna capire che cosa è uno “short” o posizione scoperta. Uno “short” è quando un trader prende in prestito un’azione a $10 allo “scoperto” e la rivende al suo prezzo corrente scommettendo che il prezzo del titolo scenda in modo tale da poterlo ricomprare a un prezzo più basso (per esempio $8). Se così succede, il trader può restituire le azioni prese in prestito mantenendo la differenza (in questo caso $2).

Supponiamo però che il prezzo anziché scendere a $8 salga a $12. Per restituire l’azione presa in prestito il trader dovrà pagare $2 oltre ai $10 del prestito iniziale, andando in perdita. Le perdite potenziali come venditore allo scoperto sono illimitate: più il prezzo sale, più grandi sono le perdite. Nel caso di GameStop, non solo il prezzo è salito ma è schizzato alle stelle, raggiungendo un picco di 483 dollari, pari a un aumento dell’11.000 per cento dal secondo trimestre dello scorso anno (ora sceso sopra i 50 dollari, 7 febbraio 2021).

Questo attacco speculativo nei confronti dei protagonisti della speculazione ha così portato l’attenzione dei mercati finanziari sui principi di nuove forme di regolazione. In questa prospettiva, sarà importante capire come Wall Street affronterà questa congiuntura politico finanziaria. Se da una parte Wall Street vuole limitare l’accesso dei piccoli trader per evitare nuovi episodi come GameStop nel nome di una fantomatica regolazione del processo reale di valutazione dei beni economici, dall’altra il processo di finanziarizzazione dell’economia impone l’allargamento della sua base. Non a caso è stata Alexandria Ocasio-Cortez a invocare l’ipocrisia di tali posizioni in nome della cosiddetta “democrazia finanziaria”.

Aldilà dei giudizi sulle possibilità della “democrazia finanziaria”, rimane un punto fondamentale. Chi guadagna con queste azioni? E chi sono i milioni di trader che hanno attaccato Wall Street? Sono, come vogliono alcuni, l’espressione del risentimento della classe media americana in declino? Sono la versante populista ma istruita, anti-socialista e tecnica che ha assaltato Capitol Hill? Oppure sono possibili alleati di una nuova Occupy?

Per rispondere al meglio e con sufficiente orizzonte, occorre andare aldilà di considerazioni immediate. Lo scenario che emerge ci impone di rielaborare alcune delle premesse sul processo di finanziarizzazione dell’economia alla luce dei nuovi elementi dinamici che l’inclusione finanziaria apre alla società digitale di massa. In questo intervento, la nostra storia si sofferma su due aspetti in relazione tra loro: la natura linguistica delle convenzioni finanziarie e l’azione collettiva della massa digitale. Per capirne il nesso, spieghiamo prima il dispiegarsi di strumenti d’inclusione finanziaria, per poi analizzare forma e ruolo della moneta-finanza.

Un nuovo tipo di gioco: l’inclusione finanziaria

La diffusione delle tecnologie informatiche e la digitalizzazione degli scambi finanziari hanno favorito, in prima istanza, la diffusione di quell’attività speculativa che viene definita “micro-trading”. Semplici applicazioni per smartphone ospitate da piattaforme di broker come Robinhood Markets consentono a singoli individui di giocare in borsa direttamente da casa, su titoli e con strumenti una volta riservati solo agli addetti del settore. È quella che viene chiamata “democrazia finanziaria”, un allargamento dell’accesso ai mercati finanziari tramite soluzioni digitali (o fintech).

Il singolo micro-trader di solito non ha la possibilità d’incidere sulla struttura di una convenzione finanziaria, in quanto è troppo piccolo. Ma quello che è successo a gennaio 2021 è indice di una nuova azione strategica. Milioni di “degenerati” (così si fanno chiamare i membri del gruppo  r/wallstreetbets sulla piattaforma reddit) hanno architettato un’azione collettiva per sostenere le azioni di Gamestop con continui ma costanti acquisti di azioni, e con l’obiettivo di affossare gli attacchi speculativi degli hedge funds.

Tale attività è stata resa possibile grazie al fatto che gli acquisti allo scoperto sono del tutti liberi negli Usa: come abbiamo visto si tratta della possibilità di acquistare un titolo al prezzo di oggi, senza pagarlo al momento dell’acquisto ma al momento della vendita e nel caso le aspettative al rialzo si realizzano allora si possono lucrare ampie plusvalenze. Se tale attività speculativa avviene su larga scala, è importante sottolineare che in questo modo si crea una convenzione al rialzo del titolo in questione.

Secondo la società S3 Partners che elabora i dati di mercato, gli hedge fund che invece scommettevano al ribasso avrebbero perso solo sul titolo della catena di negozi di videogiochi circa 19,75 miliardi di dollari. Ma GameStop non è stato l’unico titolo preso di mira. La community della piattaforma Reddit ha comprato azioni anche di Amc, una catena di cinema, e Bed Bath & Beyond, catena americana di negozi al dettaglio di merci domestiche. Un ulteriore azione di r/wallstreetbets è stato uno “short squeeze” sull’argento. Tanto che Barclays parla di un buco complessivo di 40 miliardi per i fondi speculativi.

Alla diffusione di tecnologie d’inclusione finanziaria bisogna aggiungere un secondo elemento che caratterizza r/wallstreetbets: la gamification del micro-trading. Traducibile in italiano come “ludicizzazione”, la gamification è l’applicazione di elementi di principi di gioco in contesti non di gioco. Sappiamo che uno degli aspetti problematici dei videogiochi – pensiamo per esempio al gioco d’azzardo – è la dipendenza. A questo tipo di game design va aggiunta la dipendenza dai social media, che in questo contesto si caratterizza da un bisogno incontrollabile di connettersi letteralmente al mercato.

Un’analisi materialista e anti-moralista della ludicizzazione della finanza suggerisce un nesso più stretto tra mercato del lavoro e finanza. L’inclusione finanziaria offre nuove opportunità redditizie con l’utilizzo di processi per risolvere problemi applicando le caratteristiche degli elementi di gioco. Una vera e propria materializzazione su ampia scala delle teorie di gioco di natura economica. Chi, invece, si ostina a dividere concettualmente l’economia buona dalla finanza cattiva non riesce ancora a cogliere la dimensione macroeconomica delle dinamiche produttive e di reddito.

Il terzo punto da rilevare rispetto alla natura di r/wallstreetbets è la dimensione simbolica della scelta di “salvare” GameStop. A suo modo, la catena di negozi di videogioco rappresenta il gesto di salvare “l’economia reale” dai predatori finanziari. Un ragionamento simile può essere fatto sull’argento o su BlackBerry: entrambe sono tecnologie superate, sulle quali il mercato non scommette più e guarda oltre.

L’impatto di r/wallstreetbets su Wall Street ha quindi avviato nuovi interrogativi sulle dinamiche di finanziarizzazione dell’economia. L’allargamento della base di trader reso possibile da soluzioni d’inclusione finanziaria forza il ripensamento della regolazione di queste convenzioni nate dal coordinamento strategico in rete. Grazie all’intelligenza artificiale, i colossi finanziari sondano internet alla ricerca di strategie che possono minare azioni speculative. Una sorta di polizia economica che non censura ma usa chat, forum e profili per regolarsi di conseguenza.

A ciò va aggiunto che non è solo la società statunitense a essere aggregata alla borsa in modo ancora più diretto. Il settore fintech è attivissimo anche nei paesi in via di sviluppo, avendo operato il salto di qualità dal micro-credito degli anni novanta alla micro-finanza della crisi contemporanea. Avendo cioè gettato la rete della finanza a profondità e latitudini un tempo non considerati sufficientemente redditizi. Esempio di questa finanziarizzazione dello sviluppo sono il sistema di pagamento digitale M-Pesa dell’inglese Vodafone in Africa, o la finanziarizzazione del settore immobiliare nei paesi ex-socialisti.

L’inclusione finanziaria come mezzo di finanziarizzazione dell’economia è imprescindibile dalla crescita degli strumenti digitali. Se un tempo la finanza ha permesso di passare dalla rivoluzione tecnologica a quella industriale, oggi ci troviamo di fronte a un nuovo scenario. Sono le tecnologie digitali che permettono alla finanza di rivoluzionarsi. Più tecnologia uguale più liquidità, dicono a Wall Street. Noi aggiungiamo: l’importanza delle convenzioni nel governo del mercato finanziario internazionale è proporzionale alla crescita della società digitale.

Un’ultima considerazione: anche nella finanza, come già in molti altri settori, cominciano a svolgere un ruolo rilevante le “piattaforme”. Le “piattaforme”, grazie alle tecnologie algoritmiche, consentono di raggiungere in breve tempo un livello di scala e quindi di condizionamento che difficilmente potrebbe avvenire con un semplice passa-parola tra singoli individui.  Il risultato, solitamene, è dopo una fase iniziale di apparente “democrazia” l’avvio di un processo di concentrazione per il controllo di queste piattaforme. La vicenda di Gamestop ci ha detto che è ora che le piattaforme finanziarie, oggi solo parzialmente controllate dall’oligarchia della speculazione, tornino sotto padrone. Ed è quello che probabilmente succederà. Perché la regola del capitale è che Golia batte sempre Davide…. quando ci si muove con la sua stessa logica.

Alle origini della convenzione finanziaria: la moneta-finanza

Con la formazione degli Stati nazionali europei nel XVI secolo, il monopolio di emissione della moneta assume le forme di un diritto sovra-individuale e la moneta diventa variabile extra-mercato, controllata a livello istituzionale e non dalla dinamica di mercato. Una volta garantita dal ruolo statuale, che opera non come agente di mercato, ma al di sopra di esso, la moneta comincia a svolgere anche la funzione di riserva di valore e misura patrimoniale. Tale passaggio di fase è, non casualmente, accompagnato dal cambiamento della forma della moneta. Dalla moneta metallica, fondata prevalentemente sull’oro, si passa alla moneta cartacea: ciò significa che il mezzo monetario non incorpora più il valore stesso che dichiara.

Con la garanzia di una governance statuale (quindi istituzionale e extra-mercato privato), lo scambio economico comincia a caratterizzarsi materialmente come scambio tra un pezzo di carta, il cui valore intrinseco è poca cosa, e un certo ammontare di merce. Ma questo pezzo di carta – la moneta cartacea o banconota – viene garantita da un potere politico superiore che obbliga all’accettazione (fiducia) e ne garantisce il valore virtuale ivi riportato. Tale passaggio genera, tramite il ruolo sempre più importante della Banca Centrale, la possibilità di creare base monetaria in condizioni di monopolio (signoraggio).

Con la rivoluzione industriale e, nel XX secolo, con la Conferenza di Bretton Woods si assiste, così, al graduale abbandono dei sistemi monetari fondati sui metalli preziosi e sulla convertibilità delle monete in metalli preziosi. La crescita degli scambi economici, provocata dalla diffusione del sistema capitalistico di produzione, ha imposto l’uso di monete la cui offerta non risultasse vincolata dalla limitata disponibilità di metalli preziosi. Inoltre, l’affermarsi di talune monete, sempre più diffuse e accettate negli scambi internazionali, ha reso obsoleto il ricorso ai metalli preziosi per regolare tali scambi.

Oggi, dopo la fine di Bretton Woods, assistiamo alla completa smaterializzazione della moneta. Il suo valore, convenzionalmente fissato nel 1944 a Bretton Woods nel rapporto di 35$ per oncia d’oro, è decaduto.  Da moneta “merce” e moneta “oro” si passa alla moneta come “puro segno” (Marx), passaggio che, grazie al processo di finanziarizzazione, ha di fatto ridotto il peso dei diritti di signoraggio e anche la possibilità da parte delle Banche Centrali di controllare in toto la massa monetaria in circolazione e il moltiplicatore creditizio e finanziario che ne consegue.

La moneta, tende così a smaterializzarsi del tutto. Oggi la moneta non è più una merce o un bene. Non esiste più un’unità di misura del valore della moneta, come il metro per la lunghezza o il chilogrammo per il peso. A prescindere dal fatto che esistono ancora i monopoli di emissione e i diritti di signoraggio, a prescindere dalla struttura proprietaria, in quanto non più un bene, la moneta non può neanche essere definita bene comune. Con la fine degli accordi di Bretton Woods, il valore della moneta non è più determinato da chi la emette. La sovranità monetaria (nazionale o sovranazionale, che sia), la cui governance è il compito della Banca Centrale, perde sempre più significato.

Ed è in questo contesto, con il venir meno dell’autorità monetaria effettiva (pur rimanendo il ruolo centrale delle Banche Centrali), che si aprono nuove prospettive per pensare e immaginare sistemi monetari alternativi. Anzitutto, le Banche Centrali non sono più le solo istituzioni in grado di “creare” moneta. Altri soggetti economici, che operano all’interno del mercato economico, sono oggi in grado di modificare l’offerta di moneta.

Con il passaggio dal capitalismo taylorista-fordista al capitalismo bio-cognitivo finanziarizzato, la funzione principale della moneta si modifica. La funzione di credito, tipica di un sistema D-M-D’ (economia monetaria di produzione), dove l’attività d’investimento nella produzione di beni richiede una anticipazione monetaria e l’indebitamento degli attori economici (siano essi imprese private o lo Stato), lascia sempre più spazio alla moneta- finanza (economia finanziaria di produzione). La moneta finanza, non a caso, coincide con la dematerializzazione totale di denaro, essendo pura moneta-segno.

È importante sottolineare che tale passaggio dalla moneta-credito alla moneta-finanza implica un cambio di governance monetaria: la prima veniva e viene tuttora emessa sotto il controllo delle istituzioni monetarie (banche centrali), mentre la seconda, invece, dipende dalle dinamiche del mercato finanziario.

Ecco quindi nuove soggetti economici che entrano nel meccanismo della creazione di moneta. In un sistema capitalistico che si basa su una economia finanziaria di produzione, la quantità di moneta è endogeneamente determinata dal livello di attività economica e dall’evoluzione delle convenzioni finanziarie (in termini keynesiani) che governano il mercato finanziario internazionale.

Cosa intende Keynes per convenzioni finanziarie? Intende la possibilità che si innestino, all’interno dei mercati finanziari, delle credenze, che consentono agli operatori finanziari di convergere su un certo tipo di aspettativa futura. La speculazione finanziaria si basa sulle aspettative future: compro oggi un titolo finanziario se mi aspetto, nel futuro, che questo titolo finanziario aumenti di valore, a prescindere dal rendimento che questo titolo finanziario mi può dare, sia esso un tasso d’interesse o un dividendo.

La razionalità che influenza i comportamenti degli operatori finanziari è definita razionalità mimetica. Per razionalità mimetica si intende quella logica di comportamento per la quale un individuo, in presenza di elevata incertezza, imita i comportamenti di coloro che ritiene più informati e più autorevoli, in quanto, a torto a ragione, si sono dotati di elevata reputazione. Tale comportamento fa sì che pochi operatori (quelli che gestiscono elevati portafogli finanziari) siano in grado di definire le convenzioni finanziarie dominanti in un’ottica speculativa. Occorre, inoltre, tenere presenti che nei mercati finanziari operano aspettative che si autorealizzano: ad esempio, se tutti ci convinciamo che un certo titolo incrementerà il proprio valore (perché acquistato in dose massicce da un grande operatore finanziato – ad esempio Goldman Sachs), l’aumento di domanda di quel titolo, comportando un eccesso di domanda, porterà effettivamente a un aumento di tale valore. Tale processo è accentuato proprio dall’utilizzo di algoritmi che in modo automatico mettono in moto tali processi.

La creazione di convenzioni finanziarie ad hoc (di tipo rialzista o di tipo ribassista) è lo strumento usuale delle grandi multinazionali della finanza, che, disponendo d’ingenti portafogli finanziarie, sono in parte in grado di manipolare e indirizzare la dinamica di borsa. Si tratta di una prerogativa che solo su larga scala può funzionare e che ha favorito l’innescarsi di un processo di concentrazione finanziaria come mai era successo nella storia del capitalismo.

Il carattere distruttivo della massa digitale

Torniamo a GameStop. In molti si interrogano sulla soggettività politica dei gruppi che si organizzano su reddit. Da una parte, gli startupper in declino esclusi da Wall Street ricordano i primi Gilet Jaunes, questa volta in versione statunitense. La piccola borghesia bianca e maschia chiede la testa di Wall Street a fronte della forbice sempre crescente delle disuguaglianze con 10% più ricco.

Sulle diseguaglianze negli Stati Uniti rimane molto importante il contributo di Piketty – aldilà dell’esclusione della lotta di classe dalla sua teoria del capitale nel ventesimo secolo – poiché mostra l’effetto della finanziarizzazione sul lungo termine: i profitti da capitale sono sempre maggiori della crescita dell’economia. In altre parole, al lavoratore americano disilluso dalle chiacchiere sulla meritocrazia è chiaro ciò che era altrettanto evidente nel diciannovesimo secolo. Lavorare per un reddito non ha senso visto quel che si può guadagnare con rendite, bonus, dividendi e interessi.

La rivincita del sogno americano spezzato via dalla mancata ri-industrializzazione propone quindi la sfida della vendetta. Se Bifo parla di “sciame” tecnolinguistico che scrive la rivolta popolare a colpi di meme contro il sistema finanziario, Max Haiven invoca la creazione d’infrastrutture del “comune insorgente” per la proliferazione e cooperazione con altri movimenti anticapitalisti.

Noi ci limitiamo a sottolineare una tensione. C’è una massa digitale che non smette di giocare. Ma questo non è un gioco a somma zero, in quanto la casa da gioco deve sempre vincere qualcosa. In un contesto di rivincita e di rivolta, il carattere della massa digitale che vuole mettere in crisi Wall Street adopera il linguaggio distruttivo della negazione, del non volere guadagnare ma del voler far perdere. Una convenzione a interesse negativo.

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