Nel dicembre 2013 abbiamo pubblicato su Effimera un articolo intitolato Francia: ago della bilancia europea spronati dal moltiplicarsi degli scricchiolii provenienti da una società francese che sembrava scivolare in un pericoloso declino rispetto al ruolo avuto in Europa nel dopoguerra, accelerato dalle politiche condotte dagli ultimi due presidenti entrambi fedeli alla disciplina dell’austerità ordoliberale tedesca.

Avevamo poi puntato il dito sul pericolo rappresentato da un Front National (FN) rinforzato dalla “tattica pericolosa d’utilizzo dell’estrema destra come elemento di divisione o spauracchio che aveva ben funzionato per Mitterrand e Chirac rispettivamente, ma che nel futuro prossimo rischia di fallire”.
Resta anche valida la nostra affermazione che Hollande, dopo essersi proclamato nemico della finanza, porterà probabilmente una responsabilità storica per non aver osato rimettere in discussione l’equilibrio neoliberista che, se nulla si frappone, condurrà l’Unione Europea alla disgregazione.

A due anni di distanza e come conseguenza di questa e altre scelte politiche erronee, il declino francese si accelera drammaticamente e il paese sembra scivolare dal ruolo di ago della bilancia a quello di anello debole dell’UE in gravi difficoltà.

Il 2015 in particolare è stato l’anno chiave di questa svolta che culmina con gli attentati del 13 Novembre a Parigi seguiti da elezioni regionali che vedono un’impennata storica del FN al primo turno poi provvisoriamente arrestata al secondo da un fremito elettorale e dalla decisiva rinuncia del Parti Socialiste (PS) a presentarsi in due regioni. Una decisione quest’ultima molto pericolosa in quanto legittima la postura antisistema del FN. Anche se il FN non è passato e non è globalmente maggioritario (ma comunque a livelli alti e in ascesa verticale) è riuscito a provocare la dimostrazione che, elettoralmente, ormai il campo si divide in due (e non più tre) schieramenti da un lato i “patrioti” (sovranisti nazionalisti) – loro – e dall’altra i “mondialisti” (PS e destra classica), secondo le definizioni datane da Marine Le Pen.

1. Il 2015 anno di cerniera per la Francia

Bisogna innanzitutto risalire agli episodi che avevano più caratterizzato il contesto europeo del 2015 prima del 13 novembre: la prima ondata d’attentati di Parigi in gennaio, il diktat imposto nell’estate del 2015 alla Grecia seguito a ruota dall’afflusso alle frontiere dell’UE di milioni di migranti e profughi vittime delle guerre medio orientali.
Vale la pena di soffermarsi su questi due ultimi episodi che hanno dei forti legami poiché sono entrambi il frutto della politica condotta dalla governance finanziaria mondiale di cui quella europea, sotto egemonia tedesca, è parte integrante.

Andiamo in ordine cronologico. Con la crisi greca si è persa un’altra occasione di modificare l’inflessibilità ordoliberale: la Grecia di Syriza voleva ma non poteva, la Francia poteva ma ancora una volta non ha voluto.
Non a caso l’ex ministro delle finanze greco Yannis Varoufakis ha scritto che in realtà nel mirino di Schauble e della finanza europea c’era piuttosto lo Stato sociale francese che non il debito della Grecia, paese che rappresenta l’1,3% del PIL dell’UE.

Il welfare francese, benché attaccato e incrinato, continua infatti a esistere e a resistere ai frangenti dell’ordoliberalismo tedesco.

Chiariamo subito che è il paese reale che resiste e non certo Hollande, un presidente debole eletto – non dimentichiamolo – anche grazie allo strano (e sicuramente gradito alla finanza USA) concorso di circostanze avvenuto il 13 maggio 2011 in una stanza del Sofitel di New York

[1]. Come i suoi predecessori egli sa di non poter applicare a forti dosi i salassi sociali che sono stati propinati a Grecia, Italia e al resto del Sud Europa, peraltro aggravando la salute dei malati.

Nei primi due anni del suo mandato Hollande pratica una politica dello struzzo, rifiutando di prender la testa del Sud Europa di fronte al diktat dell’austerità a cui si associa, temporeggia aspettando e forse sperando in un’impossibile fine della crisi e, in ogni caso, augurandosi che la posizione della Francia possa almeno ritardare le sanzioni europee, come poi avvenuto. Poi però, quando la pressione tedesca si fa troppo forte, è costretto a un’ulteriore inflessione neoliberista: nomina Valls primo ministro per espellere la “sinistra” socialista dal governo e mettere in atto la normalizzazione europea. Il seguito è aneddotico e quasi caricaturale: che dire della scelta come ministro dell’economia del trentaseienne Emmanuel Macron, ex-banchiere di Rothschild, detto “il Mozart” dell’Eliseo? O allora di Bernard Cazeneuve che Hollande vede bene agli interni per la sua “tête de Fouché malin ” [2]? Un oscuro burocrate di partito, sovranista e pronucleare paracadutato a far da sindaco di provincia in una regione, la Normandia, zeppa di centrali.

Entrambi faranno dello zelo nella messa al passo del paese con politiche di destra nei loro campi rispettivi: il banchiere sul piano della liberalizzazione del mercato del lavoro e il neo-poliziotto con lo stato d’emergenza e la durezza della repressione a sinistra (ovviamente), quando invece tutto gli sfugge nell’intelligence degli attentati di gennaio e novembre 2015.

Anche se in generale sono praticati continui tagli alla spesa pubblica coniugati con cospicui aiuti agli imprenditori in cambio di vaghe assicurazioni sui livelli di occupazione, siamo però ancora lontani da quelle liquidazioni radicali effettuate in Italia come per esempio i Job Acts nel campo del diritto del lavoro.
Si parte in Francia da livelli molto più alti di welfare e viene quindi relativamente salvaguardato il reddito sociale diretto, che anche la destra non aveva toccato e che pur non essendo né universale, né primario resta a livelli alti rispetto all’Italia e alla media Europea. Alla base ci sono meccanismi come il Reddito di Solidarietà Attiva (RSA) che parte da uno zoccolo di 525€ per una persona sola e disoccupata ed è percepito da circa 2,3 milioni di persone di cui circa il 30% sono lavoratori poveri; e poi il sussidio disoccupazione (in media circa il 70-80% del salario) percepito da 3,1 milioni di disoccupati che può durare sino a tre anni dal giorno della perdita del lavoro in certi casi e per certe categorie.

In pratica per una minoranza, come per esempio le famiglie monoparentali, è possibile arrivare ad un reddito familiare che si può avvicinare al salario minimo (SMIC) di 1250€ cumulando varie sovvenzioni anche se il lavoro relazionale e burocratico per procurarselo non è assolutamente trascurabile e talvolta complesso, il che lo rende per esempio fuori portata per molti.

Semplificando all’estremo potremmo dire che un giovane precario cognitivo parigino saprà cavarsela, ma completamente disilluso non andrà a votare, mentre nelle regioni de-industrializzate (come la regione NORD), l’operaio cinquantenne espulso dalla fabbrica o il giovane disoccupato senza titoli di studio rischiano emarginazione e povertà e sono attratti dal discorso apparentemente antisistema del FN.

Le ragioni che spingono l’oligarchia elitista dei politici di mestiere – che si alterna al governo della Francia da quarant’anni e più – a non intaccare profondamente l’edificio centrale del welfare è il timore dell’ingovernabilità. Oggi esiste una fronda sociale egemonizzata da un’estrema destra che cresce di elezione in elezione, anche se Parigi resta un bastione antifascista e quindi anti-FN. Ma forse più inquietante per la casta dovrebbe essere l’astensionismo prodotto da una crisi della rappresentatività che ormai pare irreversibile. I media mainstream fanno finta di niente quando proclamano che i giovani (18-24) votano frontista più della media nazionale (34%) ma “dimenticano” di precisare che circa il 70% dei giovani non vota del tutto.

Questa politica dei compromessi impossibili su sfondo della più grave crisi capitalista dell’ultimo secolo non frena minimamente l’accelerazione della de-industrializzazione e della conseguente disoccupazione. L’insulsa politica d’austerità ultraliberale che ha tagliato drasticamente gli investimenti pubblici da parte di un presidente “di sinistra” non solo si è rivelata fallimentare sul piano sociale ed economico ma è stata decisiva nell’ascesa del FN che ora è il movimento xenofobo di estrema destra più forte fra quelli presenti in quasi tutti i paesi dell’UE. E decisiva anche nella liquidazione di tutto quello che si muoveva a sinistra del PS. J.L. Mélenchon, candidato del Front de Gauche alla presidenziale del 2012 aveva preso comunque l’11% dei voti e nelle elezioni europee del 2009 Europe Écologie Les Verts (EELV) avevano raggiunto addirittura il 16%, quasi a parità con i socialisti. Oggi queste forze sono state praticamente liquidate, ridotte a fare da magro supporto al PS.

2. Banlieu: la frattura

In seguito alla rivolta delle banlieue francesi nel 2005, Elicio Pantaleo nell’ambito del seminario parigino “Multitudes et Metropole” pubblicava un articolo dal significativo titolo: “La frattura – Il partito della banlieue contro la Sinistra” che introduceva perfettamente una situazione che si sarebbe progressivamente deteriorata:

“Oggi, la situazione si presenta chiaramente: o c’è una capacità politica di riprendere l’iniziativa con la periferia, o sarà ancora più difficile costruire un movimento vincente in Francia. Senza il “partito della banlieue”, nulla è più possibile nel panorama politico e sociale francese. […] In Francia la situazione rimane bloccata, nonostante una disastrosa situazione sociale”.

Purtroppo non ci sono stati movimenti sociali che abbiano permesso di creare alleanze con la banlieue salvo qualche timido tentativo fatto all’epoca dei movimenti 15m / Occupy peraltro violentemente stroncato sul nascere dalle polizie di Sarkozy prima e poi di Valls.
Un profondo sentimento d’ingiustizia si è in seguito istallato. Durante le rivolte e in altri episodi di tensione diversi adolescenti della banlieue hanno perso la vita in seguito ad interventi polizieschi. Nei susseguenti processi tutti i poliziotti coinvolti sono stati assolti o comunque hanno evitato la prigione quando invece i “ribelli” sono stati condannati a dure pene. Avevamo scritto nel nostro precedente articolo a proposito di una componente islamista della banlieue che scendeva in piazza con le destre ed il FN per protestare contro la legge sui matrimoni omosessuali che:

“questo è anche il risultato della disgregazione del tessuto sociale di questi territori, dove fenomeni di decomposizione dei rapporti familiari hanno determinato prima diffidenza ed incomunicabilità fra generazioni e poi un’accelerazione e rottura nei rapporti interpersonali. Da qui nasce la reazione d’una parte di questa popolazione attraverso il ritorno alle tradizioni e alla morale arcaica della religione in risposta alla diffusione dei comportamenti generalizzati d’individualismo e cinismo veicolati dalle sottoculture del Capitalismo cognitivo. Comportamenti che penetrano i quartieri attraverso i rapporti mafiosi dell’economia della droga, une delle poche fonti di reddito non miserabile di queste zone”.

Oggi potremmo aggiungere che con la crisi questo stato d’iperazzializzazione e d’abbandono della banlieue più marginale ha creato il terreno di cultura propenso ad aderire all’offerta di rivolta preconfezionata degli islamo-fascisti dell’Isis.

In questo contesto maturano gli eventi di terrorismo ordinario nelle strade e nei luoghi pubblici di Parigi. Dopo la rivolta del 2005 e le manifestazioni con la destra del 2012 oggi il salafismo in armi trova nei più emarginati della banlieue le reclute che, nell’ottica globalizzante dell’umma islamista, alimentano le forme di una guerra civile di nuovo tipo in Europa e altrove. E fatto più preoccupante: i kamikaze dispongono anche di una rete, certo limitata, d’appoggio e di simpatia di certi strati di lumpenproletariato (ma non solo) delle periferie in Francia, Belgio e Inghilterra. Si realizza insomma in questo modo distorto quella haine che era stata rivelata circa vent’anni fa nel profetico film di Kassovitz.

3. Lo stato di eccezione permanente e la guerra civile a macchia di leopardo

Occorre inoltre mettere in evidenza che i kamikaze provenienti dalle banlieue rappresentino il “locale” di una guerra civile globale ma scoordinata, discontinua e disorganica. Una specie di frammentazione diffusa che secondo noi è il negativo necropolitico delle forze vive di cooperazione autonoma anch’essa diffusa ma a bassa correlazione.

Le guerre generatrici di profughi in cui il ruolo e gli interessi dell’Impero guidato dalla lobby petrolifera texana di George W. Bush erano stati decisivi nel dare il colpo di grazia all’incerta stabilità della regione con l’invasione dell’Iraq, la caduta di Saddam e lo sbandamento dell’esercito sunnita. Curiosamente in quell’occasione Chirac – e soprattutto il suo ministro degli esteri De Villepin – avevano rifiutato, con un famoso discorso dagli accenti gollisti all’Onu, di cadere nella trappola denunciando il menzognero pretesto della presenza d’armi di distruzione massiccia, sbandierato dalla coalizione degli aggressori guidata da Bush e Blair. Sarà l’ultima volta che un governo francese riesce a elevarsi un po’ al di sopra della mischia, prima di cadere nel marasma odierno.

Sarkozy per esempio aveva preparato il terreno della vassallizzazione abbandonando la dottrina gollista della non appartenenza dell’esercito francese al comando unificato della Nato. Egli è stato anche il principale artefice del disastroso intervento militare che porta all’attuale destabilizzazione della Libia. In quell’occasione aveva anche lasciato trucidare il suo “amico” Gheddafi di cui aveva peraltro accettato i milioni per la sua campagna presidenziale del 2007. Una volta eletto, l’aveva ricevuto in pompa magna, in una memorabile ed imbarazzante visita ufficiale durata tre giorni con tanto di scorribande, tende ed amazzoni accampate a due passi dagli Champs Elysées. L’accoglienza analoga accordata a Roma da Berlusconi al premier libico è un ulteriore segno della similitudine fra i due, che fra l’altro si detestano.

Hollande ha continuato nella stessa politica, e quelli che, dopo il 13 novembre, fingono d’essere sorpresi dalla trasformazione dell’indeciso ed inconsistente “Flanby” [3] in “Chef de guerre” che proclama lo stato d’emergenza e sospende le libertà democratiche in Francia (tutto un simbolo!) dovrebbero ricordarsi che sin dall’inizio del suo mandato assume in politica estera una postura imperialista. Agisce come i suoi predecessori da gendarme dell’Africa francofona e del Sahel contro i vari affiliati islamisti locali di AQMI [4] in una serie d’interventi militari fra cui spiccano le spedizioni in Mali con migliaia di militari ancora sul terreno.

Hollande con grande “pragmatismo” (il termine con cui negli ambiti di potere viene definito il cinismo) cerca di trarre vantaggio dall’emozione creata dagli attentati del 13 novembre per recuperare il terreno perduto che lo vede in una posizione di totale discredito e quindi escluso dal secondo turno delle presidenziali del 2017. Il presidente ed il suo primo ministro cercano allora di ridorare il blasone della vocazione imperialista rincarando le dosi su tutti i livelli. Sul piano internazionale con sempre più guerra e bombardamenti e su quello interno con uno stato d’emergenza che sta per diventare lo stato d’eccezione permanente d’agambiana memoria con le richieste di pesanti modifiche al codice penale e alla costituzione.

Il “pragmatismo” presidenziale tocca un apice quando fa suo il cavallo di battaglia del FN: inserire nella costituzione il decadimento della nazionalità per i francesi che hanno una seconda cittadinanza e sono convolti in fatti di terrorismo (si tratta nella grande maggioranza dei discendenti, nati e cresciuti in Francia, di prima o seconda generazione dei lavoratori magrebini venuti all’epoca industriale). Una manovra inefficace concepita solo per mettere in difficoltà gli avversari politici ma di grande portata simbolica perché istaura il principio di una cittadinanza di serie B.

Hollande fa giocare alla Francia una specie di roulette russa – come fa Putin a livello globale quando minaccia l’uso dell’atomica in Siria – nella speranza di essere eletto come ultimo baluardo in un duello contro una Marine Le Pen che si avvicinerebbe pericolosamente alla maggioranza.

Una scommessa molto pericolosa per svariate ragioni: sul piano della sicurezza le sue fughe in avanti liberticide e le pantomime delle bandiere alle finestre difficilmente riusciranno a convincere la minoranza che ancora vota a non preferire l’originale patriottico-nazionalista sovranista e xenofobo a una pallida copia social-liberale.
Sul piano della disoccupazione sembra difficile che i gravi danni creati dal 13 novembre a un’economia in crisi da quasi dieci anni possano essere controbilanciati dagli investimenti militari e di polizia. L’esecutivo francese ha già messo le mani avanti a Bruxelles: le nuove spese militari non potranno entrare nel patto di stabilità. Questo potrebbe essere un modo di rimettere sulla bilancia europea – e contro i tedeschi – il peso (ed i costi) della “force de frappe” . Resta da vedere se questa posizione sarà poi veramente accettata ma in ogni caso difficile credere a una diminuzione della disoccupazione grazie alle assunzioni di poliziotti e militari, a meno che il modello non sia quello nord-coreano.

Benché manchi ancora un anno e mezzo alle elezioni presidenziali, noi non crediamo che, salvo improbabili capovolgimenti, ci ritroveremo nel 2017 ad una ripetizione del duello Hollande-Sarkozy. L’escluso più probabile è Hollande, ma forse nessuno dei due sarà là per battersi nel probabile duello finale contro Marine Le Pen. Sarkozy, personaggio detestato da molti, sebbene controlli il partito a cui ha imposto un nuovo nome Les Républicains, sembra aver perso la mano e rischia grosso alle primarie. Tanto più che la sua tattica di rincorrere il FN per rubargli i voti non può più funzionare come nel 2007 poiché ormai anche il governo socialista gli falcia l’erba sotto i piedi.

Gli elettori delle primarie del suo partito potrebbero preferirgli il vecchio Primo Ministro di Chirac, A. Juppé che, pur essendo uomo di destra neoliberale, potrebbe più facilmente recuperare i voti di centro e di quel poco che resta del PS. Questa è, al giorno d’oggi, un’ipotesi che diventa probabile.

L’attuale politica espone tanto più il paese al rischio che, sul piano internazionale, il FN può contare su alleati soggettivi e oggettivi che puntano ad accelerare la disgregazione dell’Europa. Nel primo caso si trova Putin che lascia finanziare dalle sue banche il partito di Marine Le Pen con prestiti a tasso zero. Nel secondo c’è l’Isis che sembra concentrare le sue forze sull’estendersi di una guerra globale a macchia di leopardo fra civiltà. Per ora è improbabile la presa del potere del FN, il nemico dichiarato dei mussulmani, in un paese dove essi sono sei milioni ma molto può dipendere dalle evoluzioni della guerra civile diffusa; una vittoria del FN costituirebbe un grande successo per i fascio-islamisti e un passo da gigante nella destabilizzazione dell’Europa.

4. La maggioranza irrapresentabile

La recente gaffe di Marine le Pen che pubblica su Twitter tre foto d’atrocità islamiste per reagire al paragone fatto fra il suo partito e l’Isis non fa che confermare l’ipotesi. Peggio del padre, che amava i calembour sui forni crematori nazisti, Marine mostra le foto dei decapitati e dei torturati emblema d’un regime totalitario…

Certo, nella società francese come altrove esistono molti fermenti, desideri, modi di cooperazione di quella maggioranza che non è più rappresentata perché non vuole esserlo. Nello stesso tempo le linee di convergenza delle due necropolitiche verso un futuro sempre più cupo stanno cercando di trasformare questa resistenza in ventre molle impaurito e sofferente. Questa è l’aria che si è respirata nei quartieri colpiti di Parigi che, guarda caso, sono quelli delle forze vive multietniche e multiculturali e non quelli dell’establishment politico o economico. La paura e il bisogno di protezione segnano una netta perdita di coraggio e di lucidità, che pure si erano autonomamente manifestati in gennaio (dopo gli attentati a Charlie Hebdo). Tutto dipende da come la situazione potrà evolvere nel prossimo futuro: si tratta comunque di un avvenire pieno di nubi minacciose e sul quale rischia di calare un velo di rassegnazione.

I racconti dei media mainstream anche in Francia sono sempre più snobbati mentre la fonte principale d’informazione è Internet. È proprio per questa ragione che dalle video cassette di Al Qaeda con Bin Laden che lanciava proclami in bianco e nero dalle montagne afghane si è passati ad un attacco mediatico dell’Isis concentrato su Internet e di grande portata e mezzi.

Lo storytelling dei media davanti alla drammatica attualità arriva all’usura e si ha l’impressione che serva solo ad acuire il distacco dal sistema rappresentativo e il suo rigetto. Si arriva a racconti tecnologici tragicomici come il reportage con cui si spiega seriamente che si potranno individuare tramite telecamere termiche i kamikaze in metropolitana .

La maggioranza “irrappresentabile” è una grande forza che cresce. Questa forza per la prima volta nella storia ha la padronanza d’un contesto tecnologico diffuso che può permetterle di costruire un’organizzazione autonoma e non capitalista. Tuttavia ci vuole tempo. Il capitalismo cognitivo e i mostri da lui liberati sono pienamente coscienti di questa possibilità che li dissolverebbe. Per questo concentrano una parte essenziale dei loro sforzi per impedire a questo potenziale autonomo di svilupparsi, utilizzando tutti i mezzi dal terrore alle tecniche neuroscientifiche passando per il controllo mediatico/tecnologico. E forse ci possono riuscire per un tempo. Ma solo per un tempo.

Note

[1] Arresto e caduta di D. Strauss Khan, presidente del FMI e candidato alle presidenziali francesi per il PS)

[2] Testa da Fouché furbo”. Joseph Fouché: “Immortale bonapartista inventore della moderna polizia politica” T. Negri, “Storia d’un comunista” Ponte alle Grazie 2015. P.388. Ministro di polizia di Napoleone e personaggio famoso per la ferocia, i tradimenti e gli intrighi da lui orditi.

[3] Flanby: è il nome di una marca di crème caramel affibbiato a Hollande a causa della sua (in)consistenza

[4] Acronimo di: Al Qaeda au Maghreb Islamique

 

Foto in apertura: Edoardo Baraldi