Pubblichiamo una recensione di Frédéric Thomas al libro di Enzo Traverso, Rivoluzione 1789-1989: un’altra storia (Feltrinelli, 2021), ora tradotta anche in francese, Révolution. Une histoire culturelle (La Découverte, 2022). La prima edizione del testo è uscita in inglese nel 2017 Left-Wing Melancholia. Marxism, History, and Memory, Columbia University Press. La presente recensione è stata pubblicata su lundimatin#332, il 28 marzo 2022. Enzo Traverso torna con un libro summa sulla storia culturale della rivoluzione, dell’idea e delle esperienze rivoluzionarie. In un assai bel racconto ne disegna le linee di cresta e le faglie, le immagini inebrianti e i naufragi, il fuori-campo e il crollo. Troppo rinserrato tuttavia sulla costellazione aperta dalla rivoluzione russa, il saggio ci lascia insoddisfatti, perché manca di esplorare una parte di tale passato salvata nelle lotte attuali.

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Révolution. Une histoire culturelle (La Découverte, 2022) si apre sullo choc prodotto sull’autore dalla scoperta del celebre dipinto di Théodore Géricault: il Radeau de la Méduse (1819). Questo quadro «mette in scena la sofferenza delle genti comuni», scrive Enzo Traverso, facendo eco alla rivoluzione haitiana (1804) e, più in generale, a ciò che «comincia appena a prendere forma, cioè un’ondata insurrezionale dei popoli razzializzati e delle classi dominate». Prefigurando l’iconografia socialista e comunista, il Radeau de la Méduse «evoca un naufragio e l’annuncio di una rivoluzione» (p.7-10). Ed è al cuore di questa trama –tra promesse e disfatte –, che Enzo Traverso interroga il percorso e le rappresentazioni delle rivoluzioni, facendo riferimento a Marx e ancor più a Walter Benjamin.

La scommessa del libro è di «proporre un’elaborazione critica del passato» (p. 35), storicizzando l’esperienza comunista. Ciò presuppone la «riabilitazione del concetto di rivoluzione come chiave d’interpretazione della storia moderna» (p.13), e di oltrepassare l’idealizzazione della rivoluzione russa così come il suo rigetto con orrore, per cercare le tensioni e contraddizioni in opera nella sua storia globale. Tale superamento e questa riabilitazione esigono l’adozione dello sguardo del vinto e di non ipotecare l’afflato epico che pervade l’esperienza rivoluzionaria, e che forse si sente meglio nelle cristallizzazioni delle immagini o – per riprendere la terminologia di Benjamin – nelle «immagini dialettiche». Sarebbe riduttore circoscrivere le rivoluzioni a qualche gesto estetico –sia anche bello– a detrimento della loro natura politica. Nondimeno le rivoluzioni generano spesso delle «svolte estetiche» che Traverso vuole cogliere. In fin dei conti, l’ambizione di Révolution. Une histoire culturelle è di «estrarre il nocciolo emancipatore del comunismo da tale campo di rovine».

Una nuova visione della rivoluzione

«Una visione radicalmente nuova della rivoluzione» nasce a partire del 1789, afferma Traverso. E il 1917 riconfigura tale esperienza rivoluzionaria fondatrice. Logicamente quindi, le rivoluzioni francese e russa occupano uno spazio centrale in questo saggio, che disegna il panorama movimentato di questi due ultimi secoli, con delle cartografie e delle genealogie frammentarie delle ondate insurrezionali. Facendo ciò, Enzo Traverso ci invita, lungo le sue pagine, a interrogare diverse dimensioni della rivoluzione: la violenza rivoluzionaria e i «momenti iconoclasti delle insurrezioni» (p.185), la tensione costitutiva tra liberazione e libertà, la figura dell’intellettuale rivoluzionario, la rappresentazione sia pittorica che politica del popolo, composta da una molteplicità di corpi, «l’immaginario collettivo» che si cristallizza sull’evento rivoluzionario, così come negli oggetti più localizzati quali, per esempio, la barricata.

L’autore torna a lungo sull’evento che ha costituito l’apparizione della ferrovia. La visione dominante delle rivoluzioni in Marx, di cui Traverso sottolinea la contraddizione – «la tensione non superata» tra la tendenza al positivismo e quella «costruttivista», attaccata alle cesure e alle biforcazioni – è quella delle «locomotive della storia». Ora, «questa metafora possiede una forte connotazione teleologica poiché mette la storia sui binari di cui si conoscono le origini e la destinazione» (p. 51). Ma, questo capitolo si conclude con la citazione che, «ai giorni nostri, i treni evocano più il binario di Auschwitz piuttosto che la rivoluzione» (p.83).

L’intelligentia rivoluzionaria – e lo spazio strategico che occupa fra gli intellettuali ebrei – è oggetto di pagine illuminanti. E’ l’occasione anche di interrogarsi sulle figure dei declassati e della bohème, così come la negazione della cultura marxista (negazione accentuata dalla sua opposizione all’anarchismo), rifiutando di riconoscere che il progetto di trasformazione del mondo era largamente tributario della creatività di uno strato di marginali – fra i quali lo stesso Marx, benché se ne sottraesse –, esclusi dal mondo accademico e dalle istituzioni statali, ignorati o stigmatizzati dalla sfera pubblica. Tanto paria, dei quali il cosmopolitismo rappresentava la premessa di ciò che Traverso nomina finemente un «universalismo dal basso» (p.267).

Il libro si sofferma in modo più dettagliato su alcune di queste figure intellettuali, da Claude Cahun a Ho Chi Minh, e fra altri José Carlos Mariategui e C. L. R. James. Ritona inoltre su certi dibattiti e contraddizioni. Così, Traverso riprende la critica di Marcuse verso l’idealismo di Sartre in L’Essere e il nulla. Pubblicato nel 1943, quando le camere a gas funzionavano a pieno regime, questo libro filosofeggiava sull’assoluta libertà degli ebrei e sulla padronanza delle scelte che facevano. Marcuse a tale proposito scrisse: «nella libera scelta tra la morte e la schiavitù, non c’è né libertà né scelta, poiché i due termini dell’alternativa distruggono la ‘realtà umana’ che la si pone come libertà» (p. 361). Peraltro, l’autore ricorda la profonda ambiguità e i limiti delle analisi di Hannah Arendt, oscillante tra Rosa Luxembourg e Tocqueville, spiegando in gran parte la sua disprezzo per la «questione sociale» e le rivoluzioni anti-coloniali[1].

Esperienze rivoluzionarie

Traverso vede in Storia della rivoluzione russa di Trotski – libro che attraversa tutto il suo saggio – «la prima tappa di una rivalutazione teorica che condusse all’abbandono della visione eurocentrica della rivoluzione e alla presa in conto del suo carattere socialmente plurale – si direbbe oggi ‘intersezionale’ – piuttosto che esclusivamente proletario» (p.402). Resta che, come mostra bene, i bolscevichi facevano riferimento alla Rivoluzione francese e alla Comune di Parigi, senza mai menzionare le rivoluzioni messicana e haitiana. Loro restano tributari di un doppio tropismo: proletario – fissato sulla classe operaia maschile delle fabbriche fordiste, in seno ai grandi centri urbani (quand’anche alcuna rivoluzione, secondo Traverso, fu opera esclusiva, vedi principale, di questa sola classe) – e occidentale. Tuttavia questo non impedì alla rivoluzione russa di rilanciare l’anticolonialismo, abbandonato dalla IIa Internazionale, e all’URSS di diventare il luogo d’incrocio fra il mondo occidentale e quello coloniale, così come una retrovia di un gran numero di rivoluzioni anti-coloniali.

Tutto l’interesse di questo libro è d’altronde anche nel suo questionare le zone d’ombra e i fuori-campo di queste rivoluzioni. «Allo stesso titolo che la questione ‘razziale’ e la questione coloniale, scrive Traverso, la questione delle donne rivelava l’aporia delle Lumières» (p.138). Così, nell’autunno 1793 furono aboliti i club di donne in Francia. Al contrario, la rivoluzione russa significava una serie di conquiste radicali per le donne; in particolare il diritto al divorzio e all’aborto, così come l’uguaglianza completa con gli uomini. Ma questa emancipazione andava di pari con una tendenza contraddittoria, di biopotere, che subordinava la liberazione sessuale agli imperativi della sanità e della produzione, e si estendeva, quindi, il disciplinamento dei corpi. «Così rivoluzione sessuale e ascetismo puritano coesistettero durante gli anni ‘20» (p.146). Questa ultima tendenza doveva prevalere, spezzando nettamente l’ondata emancipatrice: a metà degli anni ‘30, sotto Stalin, la posizione centrale della famiglia nucleare – e con essa le gerarchie di genere – fu restaurata e consacrata in URSS.

Quale Bilancio trarre del 1917? Enzo Traverso insiste sul legame che si è creato tra guerra e rivoluzione: «il regime comunista istituzionalizza la dimensione militare della rivoluzione. Distrugge lo spirito creatore, libertario e auto-emancipatore del 1917, ma ne fu anche, attraverso i suoi conflitti, il prolungamento» (p.415). E l’autore fa sua la formula d’Edgar Morin, al momento del crollo dell’URSS: «Oggi, è terminata la più mostruosa gigantesca avventura per cambiare il mondo».

La fine di un’epoca?

Il libro, che termina con l’evocazione del percorso particolare del militante comunista italiano, Ilio Barontini (1890-1951), alla fine, ci lascia insoddisfatti. Paradossalmente, mentre Traverso ha messo in evidenza l’eurocentrismo della concezione rivoluzionaria, il suo libro resta molto centrato sulle esperienze francese e russa. Le rivoluzioni haitiana e messicana – come la Guerra di Spagna – sono evocate, ma senza alcun vero sviluppo. L’identificazione della rivoluzione con l’esperienza comunista del 1917 ne è rafforzata. E non c’è nessun questionamento sulle rivoluzioni in Portogallo (1974) e in Nicaragua (1979). Peraltro, gli scritti di Fanon sono discussi unicamente in funzione delle riflessioni consacrate alla violenza rivoluzionaria del colonizzato, e non per le sue analisi sulle classi sociali e la sua critica dei regimi africani indipendenti, che chiariscono altrimenti le lotte.

Tale inquadratura nello spazio si doppia con una focalizzazione temporale, limitata dalla nascita e il crollo dell’URSS. In introduzione poi in conclusione della sua opera, Enzo Traverso intende consacrare la fine di un’epoca. «L’esperienza comunista appartiene al XX° secolo ed è ormai esaurita nelle sue diverse dimensioni (rivoluzione, regime, anticolonialismo, riformismo)» (p.33). In più, «anziché liberare delle forze nuove, la fine dell’URSS genererà una coscienza condivisa della sconfitta storica delle rivoluzioni del XX° secolo. Paradossalmente, il naufragio del socialismo reale finisce con inghiottire l’utopia comunista stessa» (p.449).

Per quanto evidente appaia tale taglio, esso pone una serie di questioni, che in particolare nel modo con cui Traverso pretende far risalire la «transizione verso il neoliberalismo» a dopo il 1989, mentre è iniziata una decina di anni prima. L’esperienza rivoluzionaria comunista non si era forse esaurita ben prima della fine dell’URSS? Ma, è soprattutto la visione particolare delle lotte attuali soggiacenti a tale concezione a dover sottoporre al dibattito.

«I nuovi movimenti anticapitalisti di questi ultimi anni, scrive Enzo Traverso, non appartengono ad alcuna delle tradizioni della sinistra comunista. Non hanno genealogia. Senza dubbio meno sul piano dottrinale che sul quello culturale o simbolico. Essi mostrano ben più affinità con l’anarchismo (…) incarnano qualcosa di nuovo. E poiché essi sono orfani, devono reinventarsi. E’ allo stesso tempo la loro forza –non sono prigionieri dei modelli del passato – e la loro debolezza –non hanno memoria. Sono nati da una tabula rasa e non hanno elaborato il loro rapporto col passato» (p.33).

In conclusione

«La sinistra del XXI° secolo si vede costretta a reinventare, prendendo le sue distanze dai vecchi riferimenti. Essa deve creare nuovi modelli, nuove idee e un nuovo immaginario utopico. (…) La sinistra ha scoperto un insieme di tradizioni rivoluzionarie che erano state sradicate o marginalizzate nel corso dell’ultimo secolo, quelle dell’anarchismo in particolare. Essa ha anche riconosciuto l’esistenza di una pluralità di soggetti politici prima ignorati o marginali» (p.449).

Che le lotte di questi trenta ultimi anni non abbiano elaborato il loro rapporto col passato, e dispongano di una memoria frammentaria o lacunosa, non implica che esse siano senza storia, nate da una tabula rasa, e non si inscrivano in alcuna ideologia. La riscoperta delle tradizioni marginalizzate, in primo luogo quelle provenienti dalle correnti libertarie, come l’evoca Traverso, ne è d’altronde la dimostrazione. E’ quindi piuttosto la teorizzazione parziale dei rapporti alla storia – e più particolarmente alle loro storie – che segna questi nuovi movimenti anticapitalisti. Si arriva quindi a interrogarsi sul rapporto di Enzo Traverso stesso a tale storia.

Perché l’anarchismo e, più globalmente, i comunisti di sinistra e il gauchisme occupano tanto poco spazio in questo libro, mentre l’autore sottolinea il loro eco oggi? Bisogna concludere che non partecipano (o in maniera troppo periferica) a ciò che l’autore nomina, senza definirle, «le tradizioni della sinistra comunista»? Solo alcune pagine –peraltro molto belle – sono consacrate ad alcuni gruppi e alle loro visioni; in particolare al tempo utopico, al tempo vissuto restituito alla gioia. I surrealisti e i situazionisti sono anche evocati, ma la riconfigurazione dell’esperienza rivoluzionaria al prisma degli anni ‘68 non è oggetto di una particolare riflessione. Si rimane all’interno del campo comunista e trotskista; ciò che spiega certamente che il gruppo Socialisme ou Barbarie, al pari di altri collettivi, che svilupparono una critica radicale dell’URSS, non sono menzionati. La loro presa in conto avrebbe disegnato altre temporalità e cartografie della rivoluzione, non riducibili all’esperienza russa, e avrebbe permesso di meglio cogliere la parte di eredità e di reinvenzione nei sollevamenti popolari e nelle rivoluzioni del XXI° secolo.

(Traduzione di Salvatore Palidda)

 

Segnaliamo altre tre recensioni del testo di Enzo Traverso:

Sean Cashbaugh, su H-Socialismshttp://www.h-net.org/reviews/showpdf.php?id=49069 e
Jean-Marie Durand, su Philosophie Magazine: https://www.philomag.com/livres/revolution-une-histoire-culturelle

 

Immagine in apertura: Théodore Géricault, Le radeau de la Méduse (studio), 1e quart du XIXe siècle (1818 – 1819)

 

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