Il Brasile si trova in una situazione di forte tensione politica di cui poco si parla e poco si sa in Italia. Prima il fermo di Lula in seguito alle indagini per lo scandalo Petrobas, poi la successiva nomina, voluta da Dilma Rousseff, alla guida del consiglio dei ministri (ora congelata dai magistrati che la hanno ritenuta di ostacolo alle indagini sull’ex presidente), infine le manifestazioni antigovernative del 13 marzo scorso che hanno visto la partecipazione di più di un milione di persone di diversa estrazione sociale.

Pochi giorni dopo, il 18 marzo, si sono avute altre imponenti dimostrazioni di piazza, sia in appoggio a Dilma e contro l’impeachment che rischia poiché è accusata di aver falsificato i bilanci dello Stato, sia, di nuovo, contro il governo, ritenuto corrotto e ormai lontano dal mandato popolare.

Il giorno prima di tali cortei, giovedì 17 marzo, il Congresso del Brasile aveva eletto i 65 membri di una Commissione speciale che dovrà decidere se esistono i presupposti legali per la procedura di impeachment nei confronti di Dilma Rousseff. Rousseff è accusata dall’opposizione di irregolarità contabili nel periodo di governo tra la fine del 2014, anno della sua rielezione, e l’inizio del 2015.

Sempre il 17 marzo scorso, come ricordato sopra, si è svolta la cerimonia per nominare l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva a capo di gabinetto del governo Rousseff. Lula è indagato per corruzione e riciclaggio nell’ambito di un nuovo filone delle indagini sul grosso caso di corruzione Petrobras, grande azienda petrolifera pubblica del Brasile, che ha messo la società e il governo in una situazione molto difficile (detto scandalo Lava-jato – Autolavaggio).

La partecipazione alle manifestazioni è aumentata dopo la pubblicazione – autorizzata dal giudice federale Sergio Moro che sta indagando sul complicato caso della società petrolifera pubblica Petrobras – di circa cinquanta intercettazioni telefoniche tra Lula e Rousseff, nelle quali quest’ultima lo informa che gli invierà il decreto della sua nomina così che lo possa usare «se necessario», cioè per appellarsi all’immunità parlamentare.

Di fronte a tali accadimenti il governo brasiliano e una parte dell’opinione pubblica ritengono si tratti di una potente offensiva destituente messa in atto dalle destre, che vedrebbe alleati i media mainstream, il capitale finanziario brasiliano e internazionale, gli Stati Uniti e, a quanto pare, una parte dell’apparato giudiziario. L’operazione Lava-Jato (“Autolavaggio”) sarebbe parte di questa offensiva che si accentua nella misura in cui lo scenario globale si polarizza.

In una recente intervista a Repubblica, Dilma Rousseff denuncia che è in atto un golpe: “È in atto un golpe, vogliono che mi dimetta ma io difenderò Lula”.

Diversi analisti vicini alla sinistra – ad esempio il sociologo Luiz Werneck Vianna  – pensano esattamente il contrario e sostengono che è in atto la dissoluzione della sinistra in Sud America. Il sociologo Francisco de Oliveira sostiene che in Brasile non c’è più  lotta di idee e di posizioni politiche, come riportato da un articolo di Raúl Zibechi, scrittore e giornalista, redattore del settimanale Brecha.

Il Brasile è in recessione dal terzo trimestre del 2014. Lo scorso anno, il Pil è diminuito del 3,8% e un calo altrettanto pesante è previsto nel 2016 e per lo stesso 2017. La disoccupazione ha raggiunto il 9% alla fine del 2015, con un aumento del 41% del numero di persone senza un’occupazione fissa. Anche il salario reale è stato ridotto del 2%, dopo dieci anni di continua crescita.

Al riguardo, Breno Altman, in un’intervista a Il Manifesto, denuncia la svolta liberale attuata da Dilma dopo la rielezione del 2014, con l’adozione di una politica economica che ha tagliato la spesa pubblica, limitato i diritti sociali ed elevato fortemente i tassi di interesse, spingendo il Paese verso la recessione e provocando un aumento della disoccupazione.

A metà marzo, Effimera ha pubblicato, attraverso Uninomade Brasil, un’intervista a Giuseppe Cocco e a Renan Porto che ha suscitato molto dibattito. Ora, sui fatti succintamente ricordati,  pubblichiamo un intervento e una analisi di Bruno Cava (Uninomade Brasil).

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Tirare in ballo il discorso sul golpe e sul golpismo è una moda del governo nota da tempo, sin dal 2005. È un discorso talmente trito e ritrito che convince solo i fedelissimi, gli “evangelizzati”. Ha perso ogni valore reale. Se pensiamo all’America Latina del ’64, del ’73 e del ’76, ai grandi archetipi nell’immaginario della sinistra, niente, nell’andamento del Brasile odierno, fa pensare a un golpe. A meno che non si intenda la parola golpe nell’accezione più ampia e generalizzata del termine, nella politica e nella vita: nell’accezione di Bruce Lee, “tutto è golpe”. E, allora, su questo piano, molti sono stati anche i golpe compiuti dal governo, in questo periodo. Solo per citarne alcuni: il saccheggio miliardario della Petrobrás e della banca di investimento statale; l’aggiustamento fiscale antipopolare; le grandi opere contro l’ambiente, le comunità e le popolazioni indigene; lo sgombero delle favelas e dei poveri in vista della Coppa del Mondo e delle Olimpiadi; il modello di sviluppo neoestrattivista-neoliberista, la gentrification delle metropoli; la repressione dei movimenti del giugno di 2013; l’attacco personale ai dissidenti; l´inaudita legge antiterrorismo.

Se ci guardiamo intorno, nel Paese e nel continente, ciò che è evidente a uno sguardo attento è il crollo irreversibile di un lungo ciclo che si è esaurito soprattutto a causa di errori, di scelte, di alleanze, di strategie, dal punto di vista politico, economico, sociale e finanche elettorale.

Perché, allora, tanto clamore e tanto impegno per cercare di restaurare la stessa falsa polarizzazione delle ultime elezioni, già vista nell’ottobre 2014? Non è chiaro che è finita, che c’è solo una via d’uscita davanti a noi? Il punto è che permane il desiderio di un governo vestito di rosso. Le persone che si concentrano a sinistra per difendere il governo ci credono realmente. Non sono solo appartenenti agli apparati e alle strutture sviluppate con i fondi statali. La motivazione di queste persone è di tipo morale. Avere fede consiste nel mantenere un vincolo forte con il mondo, che ci dà forza. Ciò in cui si crede può persino non esistere ma l’azione basata sulla fede esiste comunque e produce perfino effetti reali.

Credono davvero? Credono nonostante le contrarietà, le riserve, le contorsioni retoriche? Credono l’assurdo. Ma quando si crede e non si va avanti, il problema si concentra tutto solo sul tipo di narrazione, sulla polarizzazione, su una storia che potrà, nel migliore dei casi, dare qualche conforto sulle origini. È per questo che esiste un malessere nella sinistra che ha bisogno di una riflessione, di approfondimenti. Dal momento che il governo, malgré-lui,  finisce per condurre le persone sull’orlo del precipizio. Non gli basta il proprio tramonto, deve trascinare con sé l´intera sinistra.

Allo stesso tempo, essere di sinistra sembra essersi trasformato in un bene in sé e per sé. Lenin parlava della collina verso la quale si dirigeva la sinistra. Parafrasando Lenin, possiamo affermare che dall’alto della collina la sinistra assiste al trambusto della folla che non è ascesa ai suoi valori. È come se, per alimentare la fede, restasse solo la religione dei simboli, delle bandiere, del ricordo fugace e vano dei bei tempi andati. La fede si ritrova, così, svuotata della potenza del vincolo con il mondo e tutto si dissolve su un piano morale, di giustizia della Storia. Quanto più è debole il vincolo con il mondo più drastico e disperato è l’attaccamento ai propri simboli. Da qui le manifestazioni di questi giorni, dove l’unico ordine del giorno è difendere un colore, uno slogan, una sigla.

Ciò è il contrario di tutti gli insegnamenti materialisti. Contro Marx e il metodo della “Einleitung” dove il viaggio verso l’astratto funziona solo con un ritorno al concreto, con una necessaria discesa antropofagica. Contro Spinoza, come se un insieme condiviso di credenze fosse il primo passo per la pratica, invece di dover essere le pratiche a determinare la teoria che può esistere solamente perché implicata in quelle, come un assunto vitale del corpo (gli affetti). È il clima nichilista di fine ciclo, una spirale recessiva del desiderio fino all’esaurimento finale. La soluzione, per la sinistra, non si risolve pronunciando la formula magica, “apriti sesamo” (intendendo con ciò che l’uscita dalla crisi sta alla sinistra, come se il problema fosse aderire o non ai loro valori). L’autoreferenzialità spinge la sinistra in un circolo vizioso: come il Barone di Münchhausen, essa pensa di poter uscire dal pantano tirandosi su per i propri stessi capelli. Nel frattempo, il mondo intorno si sbriciola, incomprensibile e intangibile. Cadiamo in una sorta di simbolismo mistico-romantico. Lula, oggi, non è soprattutto questo, cioè un simbolo? Perché è così difficile andare oltre i simboli del PT, il MST, Lula?

Milioni di persone, in questo periodo, protestano contro il governo di Dilma nelle strade, molti altri nelle reti. Mai come in questi giorni si parla di politica, continuamente. Secondo l´ultimo sondaggio, la popolarità di Dilma oscilla intorno al 10%, mentre il 68% dei brasiliani sono già a favore dell´impeachment davanti al Congresso. Le manifestazioni a sostegno del governo sono davvero grandi, ma sono molto ridotte se le paragoniamo a quelle contrarie. Con le bandiere rosse queste manifestazioni comunicano di essere al fianco dei poveri, mentre sul fronte opposto ci sarebbero, hanno detto, le élite bianche. Questo schematismo sociologico nasconde che, in entrambi i casi, si tratta di una eterogenea “classe media” che si indigna per le strade. La “classe media”, nel Brasile post-lulista, è un vasto e complesso strato, pienamente incorporato nelle forme sociali, flessibili, mobili e iperconnesse, del capitalismo.  Questo, infatti, era il dibattito sulla composizione di classe in Brasile che tende a svuotare gli antagonismi della società, aperto dopo l´evento del 2013, ora rovinato dal riduzionismo simbolico e discorsivo di una falsa polarizzazione, a sinistra o a destra. Giugno 2013, n’a pas eu lieu.

Esistono, però, altre vie. Per esempio l’allegoria, il tendere al reale fino al limite del paradosso, dell’impasse a partire dalla quale dobbiamo decidere

[1]. Ritrovare le linee di fuga degli antagonismi reali, i suoi lineamenti. Affrontare l’impasse, considerare le problematicità senza colori prestabiliti, senza principi trascendenti, senza sebastianismo [2]. Affrontare il deserto, non aver paura della solitudine, dal momento che la solitudine attiva è una condizione per condividere e ricomporre. Diventare così più leggeri, prendere ossigeno. Fare come Kafka: rinunciare alla verità simbolica per salvaguardare la trasmissibilità. Abbandonare la sinistra per salvare ciò che conta, cioè la capacità di un agire comune.

 

NOTE

[1] “L’allegorico per essenza svuota il teologico, si sradica da un´origine divenuta inaccessibile e si apre alla costruttività politica sollecitata dal rischio, dalla sfida del conflitto; il bagliore profetico si fa illuminazione profana.” Augusto Illuminati, Spinoza Atlantico, 2008, p. 21.

[2] N.d.t. attesa di un eroe che riporti il Paese ad antichi splendori.

 

Traduzione dal portoghese di Marcella Martinelli

Immagine in apertura: proteste contro il governo brasiliano, 17 giugno 2013

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