In un contesto quasi privo di grandi mobilitazioni sociali, le elezioni municipali spagnole segnano un passaggio importante che apre un nuovo scenario sia a livello locale che europeo. A Barcellona, soprattutto, con la vittoria a maggioranza assoluta della coalizione Barcelona en Comú, un pezzo significativo dei movimenti sociali entra nel governo della città.

La frattura del modello bipartitico, aperta dal 15M nel 2011, dopo solo quattro anni ha finalmente trovato una traduzione istituzionale. Infatti, è proprio la ex portavoce della PAH (Piattaforma Vittime del Mutuo), Ada Colau, a ricomporre i pezzi della sinistra nella sua formazione municipalista, diventando la nuova sindaca di Barcellona. Grazie all’alleanza inedita dei verdi ICV-EuiA (l’Izquierda Unida catalana unita ai verdi), Podemos, Equo e Procés Constituent, la sinistra catalana riesce a riportare al governo un nuovo tripartito in salsa radicale – il governo di centro destra di CiU a Barcellona ha rappresentato un’eccezione rispetto alla sinistra che ha governato la città senza interruzioni dalla transizione democratica.

Come segnala Ada stessa nell’intervista di Luca Tancredi Barone pubblicata su Il Manifesto, “Barcellona non è una città come le altre”, sarebbe proprio quel tessuto sociale più organizzato e una maggioranza sociale progressista, oltre alla sua figura visibile e capace di condensare consenso, ad aver aiutato la creazione di questa trasversalità e ad aver unito persone diverse. Bisogna aggiungere che Ada è la prima sindaca nella storia di Barcellona, un dato non trascurabile se consideriamo l’importanza che negli anni della crisi hanno avuto le lotte di genere che, per dirlo con una battuta, vanno dal Rojava fino a Barcellona. Tra le prime proposte figura quella di un reddito municipale per le famiglie con poche risorse economiche. L’immagine di una candidata donna, madre, compagna, che sta tra la gente comune, ha vinto schiacciando “la casta” del PP/PSOE, insieme alle rivendicazioni che in questi anni hanno animato le lotte femministe europee per un welfare non vincolato alla famiglia tradizionale.

Il cambiamento quindi, in questo caso, è un cambiamento di sostanza non di forma, le cui conseguenze possono essere inaspettate. Basti pensare che a Madrid per vincere la maggioranza assoluta del PP la formazione municipalista Ahora Madrid dovrebbe patteggiare con il PSOE, mentre a Valencia la sinistra di Compromís potrebbe unirsi alla formazione municipalista di Valencia en Comú. Senza dubbio, nel contesto più generale dello stato spagnolo è evidente uno spostamento dell’elettorato verso sinistra, ma la percentuale d’astensione di queste elezioni municipali rimane piuttosto inalterata passando dal 34% al 35%, mentre il PP rimane il primo partito nello stato spagnolo seguito dal PSOE e con uno scarto di venti punti percentuali dalla nuova destra di C’s.

È arrivato il momento di mettere alla prova l’entrata del 15M nelle istituzioni o, quantomeno, la sua rappresentazione e di mettere a verifica quanto sia possibile praticare un cambio a partire dal governo, visto che oggi viene rivestito da chi, in principio, ha sottoposto a critica la funzione della rappresentanza, praticando l’autogestione come modello per una trasformazione istituzionale verso l’autogoverno, dalle occupazioni alle piazze.

D’altro lato, sembra anche che la società spagnola che nel 2011 diceva di essere stanca di decidere solo ogni quattro anni abbia preferito, per amore o per forza, la strada rassegnata della mobilitazione elettorale, passando dalla critica all’elogio della democrazia rappresentativa. Non è un caso che le lotte per la casa, per la sanità e per l’educazione, sostenute delle maree nelle piazze, siano oggi sono solo un ricordo evocato dai palchi, mentre la sovranità della finanza sull’economia globale sfuma sullo sfondo.

Oggi si celebra una vittoria elettorale che molto probabilmente potrebbe cambiare le sorti della politica istituzionale anche al di fuori dallo stato spagnolo, ma trasformazioni radicali potranno darsi solo se questa vittoria saprà convertirsi in un movimento popolare diffuso, capace di ribellarsi al governo della finanza e dell’austerità.