Milano, 20 maggio: da un lato le istituzioni hanno chiamato a raccolta le persone che non si rassegnano all’apartheid in corso nei confronti dei migranti, dall’altro, quelle stesse istituzioni fanno buon viso al cattivo gioco della stretta repressiva voluta dal decreto Minniti-Orlando. Il dissenso non è ammesso, come ben evidenziano il rastrellamento della Stazione Centrale, gli ordini di “daspo cittadino”, i lavori coatti per i profughi, la repressione al Salone del Libro di Torino contro tre studenti che hanno osato contestare proprio il ministro Minniti. Certamente, qualcosa di importante la manifestazione del 20 maggio ha mosso: una piccola crepa nei muri con i quali ci circondano, da coltivare nel futuro come il più bel fiore di primavera. Ribadiamo con ancora più forza che nessuno è illegale in questo paese e che la legge Bossi-Fini deve essere abrogata così come è necessario lottare per l’istituzione dello ius solis (A.F.)

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Sabato 20 maggio centomila persone hanno attraversato la città di Milano in corteo. Centomila voci che hanno gridato “noi vogliamo accogliere”.  Un risultato tutt’altro che scontato. Un punto di partenza importante, ma non sufficiente, che acuisce lo scontro tra il governo del decoro e la variopinta e aperta città dell’accoglienza.
Qualche settimana prima, il 2 maggio, Milano aveva subito la vergognosa violenza di un rastrellamento razzista di polizia in Piazza Duca d’Aosta. Intervento applaudito dall’assessora alla sicurezza Rozza e dal PD cittadino. Di diverso approccio furono il sindaco Sala e l’assessore Majorino.  Uno scontro aperto dentro il partito di governo della città e del paese, uno scontro aperto a 48ore dalla nuova investitura di Renzi a segretario del PD. Uno scontro targato Marco Minniti, ministro dell’interno e uomo forte del governo Gentiloni.  Lo scontro tra la città “europea” e la città della paura, del basso ventre del rifiuto del diverso. Lo scontro tra una città aperta e libera e una città chiusa e controllata.

Non si può spiegare, probabilmente, il risultato di sabato senza la retata del 2 maggio. Non si può spiegare nemmeno senza osservare che lo sciacalloso tentativo di Salvini e Maroni di speculare su un fatto di cronaca avvenuto alla stazione Centrale di Milano giovedì 18 maggio si sia trasformato in boomerang antirazzista.
Ciò che la maggioranza PD e le destre hanno messo in campo per depotenziare la manifestazione ha fatto crescere emozionalmente la città, e amplificato le energie di tutti quei soggetti che hanno attraversato criticamente la giornata. Dopo la retata, CGIL, CISL, UIL, ARCI e tanti singoli personaggi hanno deciso di aderire alla piattaforma ufficiale promossa dall’amministrazione comunale ma mettendo a critica l’assenza di riferimenti al pacchetto Minniti-Orlando.  Ancora prima la rete di realtà sociali cittadine riunitesi sotto la sigla Nessuna Persona è Illegale aveva iniziato a muovere i suoi passi e portato critiche al sistema d’accoglienza milanese oltre che alla gestione nazionale dei flussi migratori. Dopo il 2 maggio la piattaforma si è data un documento autonomo, documento che ha raccolto centinaia di firme in tutt’Italia. Le centomila persone di sabato scorso hanno prima di tutto rifiutato le isteriche grida razziste leghiste e la politica securitaria applaudita e continuamente rivendicata dal segretario metropolitano del Pd Bussolati.

Si è arrivati al 20 maggio così con un piazza piena di cartelli gialli con scritta nera che dicevano chiaramente “Nessuna persona è illegale” e “No Minniti-Orlando”. Centinaia di palloncini arancioni avevano la scritta “-Minniti + Diritti”. Cartelli e striscioni portavano critiche al governo.  Alcuni piccoli arroganti burocrati di partito sono arrivati in piazza con cartelli dal tenore “Sicurezza – Accoglienza” e altro di simile: sono stati contestati da decine di persone, mentre altre centinaia guardando la scena non potevano non simpatizzare con i contestatori.  Il 20 maggio può essere raccontato in tante maniera, sicuramente non può essere raccontato come una piazza vicina alle posizioni del Partito Democratico. Tanto che Matteo Renzi presente a Milano non ha avuto l’agibilità politica di farsi vedere. Forse per opportunismo, forse per calcolo degli organizzatori. I quotidiani hanno rincorso Minniti e lunedì erano pieni delle sue dichiarazioni che rivendicano l’operato della polizia in Stazione Centrale oltre che il suo assioma migranti-insicurezza percepita. Come dire che le centomila grida del 20 maggio sono sicuramente un importante punto di partenza ma i vertici del Partito Democratico, oggi vero soggetto di governo e di garanzia dei “poteri forti” non si spostano dalla loro posizione.

Ciò che veniva detto con forza il 3 maggio, cioè che la retata di polizia poneva in evidenza lo scontro tra la città dell’accoglienza e quella del decoro è ancora li. Lo scontro è reale, sostanziale e  pesante. Non esiste città accogliente e decorosa. Non può esistere una città dell’accoglienza con il pacchetto Minniti-Orlando. Ne sanno qualcosa alcuni studenti torinesi denunciati domenica 21 maggio perché hanno osato contestare Minniti al salone del Libro di Torino. Ne sanno qualcosa le decine e decine di ambulanti e senza tetto che stanno subendo in giro per la penisola vergognosi “daspo urbani” dalle zone dove bivaccano o vendono i loro prodotti.

L’emozione di scoprirsi nuovamente non all’angolo non deve far perdere di vista la costruzione della città dell’accoglienza. Se tutto si fermerà al debole appello ufficiale di “Assieme Senza Muri” lo scontro tra le due città non sarà agito, l’equilibrismo politico di Majorino e Sala darà spazio a qualche tiepido esperimento migliorativo nelle politiche di accoglienza per i migranti, ma la lotta alla povertà si fermerà a qualche mera enunciazione d’interesse. Tutto rimarrà così. Quelle centomila voci hanno detto che uno spazio esiste. E la crepa nel muro delle certezze del PD, e del potere, è aperta. E’ un crepa che si può aprire sempre più. Fuori e dentro gli spazi dell’istituzione, ma sempre dal basso. È una partita da agire.

La città del decoro è la continuazione ed estensione della città vetrina di Expo. Se la logica dell’evento era la giustificazione per interventi urbani e sociali, ora la giustificazione è rincorsa al “decoro”. Il pacchetto Minniti-Orlando sostanzia che ciò che lede il decoro da percezione di insicurezza e quindi deve essere allontanato. Il comune può definire aree di interesse strategico dove occorra tenere un determinato comportamento: “canone estetico e di comportamento” diventano strumento di controllo e determinazione di quali comportamenti siano “accettabili”. Il passaggio dalla città vetrina alla città del decoro è il 3 maggio 2015, e la marcia delle spugnette. Decoro/legalità/sicurezza diventano assi di governo del territorio, e chi non si conforma può essere escluso. Una legge classista e razzista, che attacca migranti e poveri in primis. Forme alternative di vita in seconda battuta. Ciò che genera ricchezza è lecito in tutta la città, ciò che rallenta i flussi economici è bandito ma sfruttato. Tanto che i richiedenti asilo possono lavorare gratuitamente per “integrarsi più velocemente” o gli artisti di strada che accettano di “dipingere” nelle zone concesse della città vengono valorizzati a differenza di chi viene daspato perché crea senza permessi. Pesi e misure diverse. Partito Democratico, destre varie di governo, sognatori del controllo sociale e poteri economici agiscono ogni giorno la città del decoro. La città dell’accoglienza, però, è ancora indefinita, un cantiere aperto che germoglia nelle rivendicazioni della piattaforma comune Nessuna Persona è Illegale, nei percorsi di rivendicazione di un reddito universale e incondizionato di cittadinanza, nel superamento del piano casa di Lupi e in politiche abitative capace di dare a tutte e tutti una casa, nella costruzione di uno spazio urbano fatto di spazi pubblici e collettivi, nel riconoscere le diverse esigenze e necessità, nel conflitto sociale come elemento di democrazia e tutto ciò ha come punto di partenza la voglia di diversità, condivisione, aggregazione, inclusione che in centomila hanno gridato al cielo di Milano il 20 maggio, che piaccia o non piaccia ai governanti. Sapremo immaginarla? E poi sapremo crearla e imporla?

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