Pedro Flores torna su Effimera per raccontarci un altro pezzo del percorso di scavo dentro di sé dopo la rottura della relazione con la propria compagna, avvenuta a breve distanza dalla nascita del loro bambino. Il racconto risale ai primi di dicembre, coglie le suggestioni che il protagonista ha ricavato dalla manifestazione nazionale contro la violenza di genere, il 25 novembre scorso. «Si è accorto, mi ha confidato, di aver avuto atteggiamenti e comportamenti violenti nella sua relazione di coppia. Ma non solo, si è accorto che negli anni, invece che affrontare le sue debolezze e i suoi problemi di auto-stima e paure, ha inspessito la sua pelle, ha messo dei centimetri tra se e le emozioni, si è fatto più spigoloso, antipatico e permaloso» […] «Sai a Roma, in quella meravigliosa marea, mi sono sentito sbagliato… certo perché uomo, bianco, cisgender, eterosessuale e quindi di fatto, che piaccia o no, portatore di privilegi insiti che la società capitalista ha dato. Ma non solo, perché nel mio percorso individuale so di non essere stato all’altezza di quanto quella piazza chiedeva e pretendeva: uno mondo senza violenza di genere».

Magari arriverà una terza puntata. In ogni caso, la prima la trovate qui.

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Sono stato nuovamente a trovare il mio amico che ha chiuso una relazione di coppia con bambino da pochi mesi.

Sono stato a trovarlo dopo che in Italia tanto si era dibattuto sul femminicidio dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin. Sono stato a trovarlo dopo che aveva deciso di andare alla manifestazione contro la violenza maschile sulle donne del 25 novembre a Roma.

“Mai mi sono sentito così solo in quel corteo” mi racconta “un corteo con oltre 500mila persone. Eppure io mi sentivo solo, sbagliato, fuori luogo. Un disagio enorme ho provato. Di solito in quei contesti, quando imboccavo la via di casa ero carico e volevo rifare tutto. Quel sabato volevo scomparire dalla terra”.

Dopo le prime chiacchiere ed il primo racconto che vi ho fatto, il mio amico ha iniziato un percorso di de-patriarcalizzazione dei comportamenti e contro la violenza di genere. Si è accorto, mi ha confidato, di aver avuto atteggiamenti e comportamenti violenti nella sua relazione di coppia. Ma non solo, si è accorto che negli anni, invece che affrontare le sue debolezze e i suoi problemi di auto-stima e paure, ha inspessito la sua pelle, ha messo dei centimetri tra se e le emozioni, si è fatto più spigoloso, antipatico e permaloso. “Non ho più voglia di giocare questa partita. Sono convinto si possa fare politica, si possa lavorare, si possano raggiungere i proprio sogni anche mostrando debolezze e incertezze. Non siamo perfetti ed è giusto che sia così. Non siamo perfetti e il mondo sarebbe un posto migliore se potessimo tutte e tutti mostrare le nostre imperfezioni, i nostri errori, le nostre debolezze senza essere giudicati per questo” mi ha detto l’altro giorno. Permaloso lo era già sia chiaro, ma è vero che negli anni l’ho visto cambiare e farsi più duro, soprattutto nei percorsi politici e lavorativi che viveva. L’ho visto poi cambiare nuovamente quando ha iniziato la sua relazione con la mamma di suo figlio.

“In tante e tanti mi hanno detto in questi giorni e settimane: le cose si fanno in due non darti tutte le colpe. Io mi dico e rispondo che forse è vero, anzi è certamente vero, ma che io posso guardare a ciò che ho fatto io. Provare ad affrontare i miei errori, capire perché mentre scaricavo sulla mia partner lavoro di cura e carico mentale famigliare io ero convinto di fare delle cose utili a salvaguardare la mia relazione, e il rapporto con lei. Poi se lei vorrà si affronterà. Ma io devo guardare me stesso”. L’ho visto stanco e provato. Ma anche in parte sollevato di saper tirare fuori emozioni e difficoltà e anche di aver scelto, al netto della separazioni di aver deciso di vivere dopo la sua ex compagna è andata a vivere con il figlio, contento di aver deciso di fare il papà, felice, a suo modo, di non aver scaricato, sta volta, le responsabilità “dell’avere un figlio” alla madre. Aver lasciato il sicuro posto che si era ritagliato ha certamente smosso in lui forti emozioni e difficoltà. “Sai a Roma, in quella meravigliosa marea, mi sono sentito sbagliato… certo perché uomo, bianco, cisgender, eterosessuale e quindi di fatto, che piaccia o no, portatore di privilegi insiti che la società capitalista ha dato. Ma non solo, perché nel mio percorso individuale so di non essere stato all’altezza di quanto quella piazza chiedeva e pretendeva: uno mondo senza violenza di genere. So di aver fatto violenza, perché la violenza ha tanti piccoli anfratti e spesso si materializza negli interstizi della vita, delle relazioni e delle persone. Una parola fuori posto, un pugno sul muro, un silenzio, una bugia, una faccia arrabbiata, una postura fisica, la negazione delle preoccupazioni dell’altr@, tutte sono piccolo o grandi forme di violenza….piccolo o grandi che io ho fatto”. Era stanco di quella stanchezza fisica ed emotiva che le forti emozioni danno. Quando l’ho visto ha voluto citarmi Angela Davis “non accetto le cose che non posso cambiare, sto cambiando le cose che non posso accettare” e ha aggiungo “io non posso accettare di essere un padre che insegna a suo figlio come si replicano atteggiamenti violenti e sessisti. Oggi la mia più grande attenzione sta qui. Ho la necessità di cambiare, di decostruire i miei atteggiamenti e comportamenti prima di tutto per crescere un figlio femminista. Se saprò fare questo forse sarò anche stato in grado di combattermi e combattere i germi del sessismo e del patriarcato che ho replicato e che replico”. E proprio per questo sta alternando la lettura di La Città Femminista – La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini di Leslie Kern con Crescere un figlio femminista di Aurelia Blanc.

E poi mi fa, “un giorno parleremo anche della gelosia, di come ci si scopre gelosi, e se mai lo capirò davvero anche del perché a un certo punto ci si scopre gelosi… e come questo ha a che fare con la costruzione sociale e della società, vero?”

 

Immagine in apertura: René Magritte, “La Reproduction Interdite“, 1937

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