Pubblichiamo un’interessante intervista a Yanis Varoufakis di Christos Tsiolkas, scrittore greco che oggi vive in Australia, autore di cinque romanzi, tra cui “The Slap” (“Lo schiaffo”) e “Barracuda”, pubblicata sul numero di Agosto del mensile The Monthly — Politica, società e cultura australiana. Traduzione di Francesco Uboldi

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Nella via del mio studio, alla periferia settentrionale di Melbourne, ci sono un piccolo bar e un tabaccaio. Entrambi i proprietari sono australiani di origine greca. La settimana precedente il voto del popolo greco sulla decisione di accettare il nuovo pacchetto di misure di austerità richieste dalla Troika (la Commmissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale) per rilasciare i fondi di salvataggio, i negozianti hanno affisso una serie di fogli A4 in bianco e nero sulle loro vetrine. Ogni foglio conteneva una sola parola in grassetto, OXI — in Greco: “NO”.

La mattina del 6 luglio mi sono svegliato prima dell’alba, mi sono collegato a internet e ho acceso il televisore, con attesa e timore per le notizie: il risultato avrebbe avuto conseguenze non solo per l’appartenenza della Grecia all’Eurozona, ma anche per la definizione stessa dell’Europa unita. Il risultato del referendum è stato uno schiacciante OXI. Un’ora dopo, ancora tentando di capire perché provavo quella combinazione di paura, timore ed estasi mentre guardavo le immagini della folla in festa ad Atene, ho capito che stavo sperimentando sensazioni che avevo quasi dimenticato esistessero: speranza politica e ottimismo politico. La nazione greca aveva rifiutato una logica economica quasi universale, quella che esonera da ogni colpa il sistema finanziario responsabile della peggiore catastrofe economica dai tempi della Grande Depressione. È una logica che richiede che sia la gente comune a pagare per i calcoli sbagliati dei mercati globali, una logica che ha cancellato i debiti delle banche, ma non ammette la stessa indulgenza per quanto riguarda gli effetti rovinosi del debito su singole nazioni.

Dopo una settimana la mia speranza e il mio ottimismo sono svaniti e il governo della Grecia, in carica da sei mesi e guidato da Alexis Tsipras del partito di sinistra Syriza, appare sul punto di accettare i termini del salvataggio che erano stati rifiutati dal suo stesso popolo. Ho al telefono Yanis Varoufakis. Il carismatico ministro delle finanze greco ha dato le dimissioni immediatamente dopo il risultato del referendum. Varoufakis, un economista con una lunga carriera accademica, ha la doppia cittadinanza Greca e Australiana, e ha lavorato per un periodo di dieci anni all’Università di Sidney. La sua condizione di outsider nel club politico dell’Unione Europea, il suo rifiuto di usare il linguaggio tecnocratico e di conformarsi allo stile burocratico sono costantemente stati elementi stridenti nei negoziati con la Troika. Ma per molti versi il forte risultato del referendum può essere visto come una conferma della sua tattica e della sua franchezza. La prima cosa che gli chiedo è come si è sentito la notte del voto, e come si sente ora, una settimana dopo.

Permettimi di descrivere il momento successivo all’annuncio dei risultati”, comincia. “Ero al Ministero delle Finanze, dove ho rilasciato una dichiarazione, poi mi sono recato agli uffici del primo ministro, il Maximos

[che è anche la residenza ufficiale del primo ministro greco], per incontrare Alexis Tsipras e gli altri ministri. Ero molto felice. Il sonante NO, inatteso, mi trasmetteva l’incredibile energia della gente in piazza. Avevano superato la paura, e avendo loro superato la paura, io camminavo a un metro dal suolo. Ma nel momento in cui sono entrato nel Maximos questa sensazione è semplicemente svanita. Anche là c’era un’atmosfera elettrica, ma con una carica negativa. Era come se la leadership fosse stata superata e lasciata indietro dal popolo. E la sensazione che ho intercettato era di terrore: cosa facciamo ora?

E la reazione di Tsipras? Le parole di Varoufakis sono calibrate. Ribadisce che il suo affetto e rispetto per l’accerchiato primo ministro greco sono intatti. Ma la tristezza e il disappunto sono evidenti nella sua risposta.

Posso dire che era avvilito. Si trattava di una grande vittoria, che sono convinto che stesse assaporando, dentro di sé, ma una vittoria che non poteva sostenere. Sapeva che il governo non era in grado di gestirla. Era chiaro che c’erano elementi, all’interno del governo, che gli facevano pressioni. Già in poche ore aveva subito la pressione da importanti figure del governo, per trasformare il NO in un SI: per capitolare”.

Per lealtà verso Tsipras, e per onorare una promessa che ha fatto, Varoufakis non fa nomi. Ma mi dice che c’erano elementi molto potenti [powerbrokers] all’interno della fragile coalizione di governo “che contavano sul referendum come una strategia di resa e non come una strategia di lotta”.

Quando mi resi conto di ciò, gli ho detto che aveva una scelta molto chiara: usare il 61,5% di NO come elemento di forza, oppure capitolare. E gli ho detto, prima che potesse rispondermi, ‘Se fai questo, io tolgo il disturbo. Io mi dimetto se scegli la strategia di cedere. Non mi metterò contro di te, ma me ne andrò’”.

Sebbene Varoufakis sia circospetto nel parlare, è molto chiaro che uscire dall’Eurozona era qualcosa che lui, Tsipras e i loro colleghi della stessa componente [like-minded] nella coalizione non avrebbero considerato.

Abbiamo sempre pensato che il progetto europeo, nonostante tutti i suoi difetti… sarebbe stata un’opportunità per gli europei di stare insieme, che ci sarebbe forse stata l’opportunità di sovvertirne le intenzioni originali e di trasformarlo in una sorta di Stati Uniti d’Europa. E all’interno di questi, di promuovere una politica progressista di sinistra. Questa era la nostra mentalità, così ci siamo formati fin da un’età molto giovane”.

Questa mentalità spiega molto delle decisioni che Syriza ha preso dopo il referendum. Non era falso il suo impegno verso l’Europa, a dispetto di tutti gli allarmismi nei media europei mainstream. Ma per Varoufakis, onorare quell’impegno non poteva essere condizionato all’accettazione dei soffocanti termini della proposta di dilazione del debito, la continua devastazione sociale legittimata in nome dell’austerità.

Tsipras mi ha guardato e ha detto: ‘Ti rendi conto che non concederanno mai un accordo a te e a me. Si vogliono liberare di noi’

E poi mi ha detto la verità, che c’erano altri membri del governo che lo spingevano nella direzione della capitolazione. Era chiaramente depresso.”

Gli ho risposto: ‘Tu fai il meglio che puoi con la scelta che hai fatto, con cui sono completamente in disaccordo, ma non ho intenzione di danneggiarti’.”

A quel punto tornai a casa. Erano le 4:40 del mattino. Ero distrutto — non personalmente, non mi importa un fico [I don’t give a damn] di lasciare il ministero: di fatto per me si trattava di un grande sollievo. Ho dovuto star seduto dalle 4:30 alle 9 del mattino per scrivere con precisione le mie dimissioni, perché volevo, da un lato, che fossero un sostegno ad Alexis e non un danno o un indebolimento per lui, dall’altra volevo chiarire perché lasciavo, e che non stavo abbandonando la nave. La nave stessa aveva abbandonato la sua rotta”.

Chiedo a Varoufakis se c’erano dei membri all’interno dell’Eurogruppo, tra i 19 ministri delle finanze dell’Eurozona, che volevano la Grexit. La sua risposta è immediata e secca.

Non l’Eurogruppo. Il ministro delle finanza tedesco, Wolfgang Schäuble”.

Gli chiedo di essere chiaro su questo, perché da parte dei media dominanti lo sviluppo della crisi è dipinto come una battaglia tra i Greci intransigenti e un’Europa disperata che cerca di tenere insieme l’Eurozona. La realtà è molto più complessa. Mi è capitato di chiedermi se le impraticabili condizioni di austerità che la Troika richiedeva al nuovo governo di sinstra greco indicassero che, dietro le quinte, i membri dell’Eurogruppo stessero preparando la Grexit. Se questo era il caso, ciò implica la malafede da parte di Schäuble?

Ancora, la risposta Varoufakis è immediata.

Non si trattava di malafede, ma di un piano molto ben definito. Lo chiamo il piano Schäuble. Lui ha pianificato la Grexit come elemento del suo piano di ricostruzione dell’Eurozona. Questa non è una mia teoria. Il motivo per cui lo dico è che me lo ha detto lui”.

Cinque anni di austerità hanno visto l’economia greca contrarsi del 25%, un greco su quattro disoccupato, e condizioni del debito che gli economisti, sia di destra, sia di sinistra, valutano che possano solo implicare devastazione economica e sociale. Mi colpisce che ci sia una volontà di punire la nazione greca per le colpe ben documentate delle sue strutture politiche, il suo clientelismo e i suoi corrotti servizi pubblici.

Ma per Varoufakis la spietatezza delle misure di austerità fa parte di un gioco politico che la Commissione Europea sta portando avanti al fine di spaventare altri stati membri.

Questo è il metodo di Schäuble per ottenere concessioni dalla Francia e dall’Italia, questo è sempre stato il gioco. Il gioco era tra la Germania, la Francia e l’Italia, e la Grecia era — non esattamente un capro espiatorio — abbiamo un’espressione in Grecia….

Fin qui abbiamo fatto l’intervista in inglese, ma su questa sua esitazione gli chiedo di parlare in greco. Lui risponde, e sebbene il tono di Varoufakis sia quello di un educato ateniese, sebbene lui parli inglese con l’accento cosmopolita di chi ha studiato nel Regno Unito, e che ha lavorato in Australia e negli Stati Uniti, per un momento torno a sentire la voce di mio padre; per un momento il rurale e l’urbano collassano, il passato e il presente sono una sola cosa: “il mulattiere fa schioccare la frusta perché il mulo ne senta il rumore”.

Poi ritorna la voce urbana.

Si tratta di una chiara strategia per ottenere da Parigi e da Roma, ma in particolare da Parigi, la concessioni necessarie a creare un modello inflessibile, teutonico, dell’Eurozona

Forse a causa di quel momento di dissonanza, lo scambio tra l’inglese e il greco, sono costretto a ricordarmi che io non sono un partecipante disinteressato a questa intervista. Dal 2010 sono periodicamente ritornato nel paese dei miei genitori per cercare di dare un senso alle esperienze di familiari ed amici, per capire la paralisi economica, per testimoniare dei suoi costi umani. Nessun australiano con le mie origini può dire di non conoscere gli effetti deleteri di un lungo periodo di corporativismo statale, nepotismo e corruzione in Grecia. Molti di noi denunciavano l’assenza di riforme serie nella politica greca molto prima che la nazione entrasse nell’Eurozona nel 2001.

Al di là delle differenze ideologiche, al di là dei compromessi e delle limitazioni della realpolitik, i ministri delle finanze europei, i colleghi di Varoufakis nell’Eurogruppo, le persone con cui ha negoziato nella Troika, capivano le dimensioni della crisi umanitaria nel suo paese?

Si trattava di una combinazione di indifferenza e di interessi personali. Devi capire che per alcuni di loro il programma di austerità greco era il lavoro della loro vita, era la loro creatura. Come il Dottor Frankenstein: è un mostro, ma ciononostante è il tuo mostro. Ad esempio, Poul Thomsen, che ha guidato il programma greco per conto del FMI dal 2010 al 2014, è stato promosso sulla base di quel lavoro, ed è ora il capo europeo del FMI. Quando questi personaggi guardano gli effetti di quello che hanno fatto — la gente per strada che cerca cibo nei cassonetti della spazzatura, la fenomenale disoccupazione — subentra il normale processo di auto-razionalizzazione: o dicono a se stessi che doveva essere fatto così perché non c’era altro modo, o danno la colpa al governo greco per non aver applicato a sufficienza le riforme”.

Ma credevano davvero che l’austerità fosse l’unico modo di mantenere la Grecia nell’Eurozona?

È una visione molto cinica e utilitarista quella per cui al fine di forgiare il futuro occorre sacrificare le persone improduttive che sono dei buoni a nulla. Ora quelli più intelligenti tra loro — e ce n’è molto pochi — vedono chiaramente che tutto ciò è una fesseria [rubbish]. Erano in grado di vedere che il programma che stavano attuando era catastrofico. Ma sono stati cinici. Hanno pensato: ‘io so quale lato della mia fetta di pane viene imburrato’ [→‘so in che piatto mangio’].

La cosa interessante è che il ministro delle finanze della Germania è, tra tutti loro, quello che capisce meglio tutto ciò. In una pausa di una riunione gli ho chiesto: ‘Ma tu lo firmeresti, questo accordo [al posto mio]?’ e lui ha detto: ‘NO, non lo farei. Non va bene per il tuo popolo’. La cosa più frustrante è che a un livello personale è possibile avere questo tipo di conversazione umana, ma nelle riunioni è impossibile, è impossibile ottenere che l’umanità ispiri la politica [policy-making]. Il dibattito politico è strutturato in modo che l’umanità resti fuori dalla porta”.

Varoufakis ha chiarito che l’interesse personale e il carrierismo sono fattori rilevanti in questi negoziati. Ma se gli uomini di stato prendono decisioni basate su politiche in cui essi stessi non credono, non entra in gioco anche la codardia?

Provo a rispondere nel modo più accurato possibile. Dei miei colleghi nell’Eurogruppo…” — si corregge — “ex-colleghi nell’Eurogruppo — io non faccio più parte dell’Eurogruppo, grazie a Dio — si è spesso detto che erano in 18 contro uno, che io ero solo. Non è vero, non è vero. Una minoranza molto piccola, guidata dal ministro delle finanze tedesco, fingeva di credere — fingeva di credere — che l’austerità che veniva imposta ai greci era l’unica via d’uscita, che era la cosa migliore per i greci, e che se solo noi ci fossimo riformati secondo le linee dell’austerità saremmo stati a posto, che non riuscivamo a salvarci perché siamo pigri, viviamo della gentilezza degli altri, eccetera. Ma questi erano una minoranza. C’erano altri due gruppi che erano più significativi.

Un gruppo era formato da ministri delle finanze che non credevano in queste politiche, ma che erano stati costretti in passato a imporle ai loro popoli… Perché erano così codardi?

E poi c’era un terzo gruppo: la Francia e l’Italia. Questi sono paesi importanti, Stati di primo piano dell’Europa, e il modo in cui li caratterizzerei è che i loro ministri delle finanze non hanno mai creduto nell’austerità, né l’hanno mai praticata seriamente. Ma quel che temevano era che se ci avessero sostenuti, se fossero stati visti come simpatetici nei confronti dei greci, sarebbero andati incontro alla rabbia vendicativa [wrath] del gruppo teutonico, e probabilmente l’austerità sarebbe stata loro imposta. Non farsi vedere a sostenerci, per non essere costretti a dover soffrire le stesse indegnità”.

Varoufakis offre un resoconto preciso ed efficace dei passi falsi dell’Eurozona, la follia di “creare una singola valuta comune, guidata da una banca centrale senza Stato, e con Stati senza una vera banca centrale”.

Era come se stessimo rimuovendo dall’area euro gli ammortizzatori, ovvero la flessibilità dei tassi di cambio. Il momento in cui le banche hanno smesso di prestare a posti come l’Irlanda e la Grecia, la bolla è esplosa… Ai vecchi tempi la dracma sarebbe stata svalutata e la situazione sarebbe stata corretta. Ma non avevamo più la dracma, quindi abbiamo dovuto rimpiazzare i prestiti dalle banche con prestiti dai contribuenti

C’è stata arroganza nella costruzione dell’euro, un’euforia miope, stimolata dalla fine della Guerra Fredda e dalla vittoria dell’ideologia neoliberista. Questi errori sono stati combinati tra loro e moltiplicati [compounded] dal tradimento di ogni aspirazione comune trans-Europea, la stessa nozione di Europa che Varoufakis ha provato a difendere. Questo tradimento ha re-innescato i vecchi stereotipi nazionalisti di un nord disciplinato e un sud indolente, mettendo i contribuenti europei gli uni contro gli altri e deviando l’attenzione dalle élite finanziarie che hanno creato questo disastro.

Ma, con tutti gli errori dell’Europa, rimangono le nocive carenze dello stesso stato greco. Molti di noi, che hanno sostenuto Syriza speravano che il nuovo governo avrebbe cominciato a smantellare i corrotti sistemi di clientela, evasione fiscale a grande scala, e venalità [tangenti] nel settore pubblico. Nei suoi scritti, Varoufakis l’ha definita “cleptocrazia”. Come sono stati gli ostacoli nell’affrontare la cleptocrazia?

Enormi! Abbiamo dovuto confrontare una ‘empia alleanza’ di interessi garantiti e pratiche oligarchiche, che io chiamo il ‘triangolo del peccato’ in Grecia. Primo: le banche, le banche bancarottiere che sono mantenute in vita dai contribuenti greci, ma senza che i contribuenti greci possano dire nulla su come sono condotte. Secondo: i mass media, in particolare quelli elettronici e la stampa, che sono completamente in bancarotta. Ma sono controllati dalle banche, che hanno usato i soldi del salvataggio per sostenere i giornali e i media elettronici per assicurarsi che continuassero a fare il loro sporco lavoro di propaganda. E terzo: gli acquisti, gli acquisti del settore pubblico. Per farti un esempio, un’autostrada in Grecia costa…

Si ferma, ancora una correzione.

…costava, in passato, tre volte di più al chilometro rispetto a un’autostrada in Germania o in Francia. Non è che la gente lavorasse meno duramente, o che le aziende private fossero meno efficienti: erano molto efficienti. Se vuoi sapere perché costasse così tanto, devi solo dare un’occhiata alla zona nord di Atene ed esaminare le ville in cui vivono i proprietari di queste aziende”.

Mi ricordo di essere stato portato a fare una passeggiata per Kifisia, uno dei più ricchi quartieri di Atene, alla fine degli anni ottanta. Le case erano vistose in modo scioccante. “Che cosa fa questa gente?” chiesi a mia cugina. Lei rispose, rassegnata, dandosi dei colpetti sulla tasca posteriore: “Siamo noi a pagare per loro”.

Varoufakis continua: “E in cima a tutto ciò avevamo la Troika, che era in combutta con questo triangolo”.

Sta sostenendo, Varoufakis, che la Troika è stata ipocrita nelle sue trattative coi governi greci negli ultimi cinque anni? Che il nuovo governo Tispras ha ricevuto un trattamento diverso da quello che è stato applicato alle coalizioni guidate dal Pasok o da Nuova Democrazia?

La Troika ha stimolato [challenge] i precedenti governi del Pasok e di Nuova Democrazia. Lo ha fatto molte volte. Ma mai, nemmeno una volta, li ha minacciati di chiudere loro il flusso di liquidità perché i governi non avevano tassato a sufficienza gli oligarchi, o perché non avevano tassato i canali televisivi, o non avevano fermato le grosse grasse [sic] frodi fiscali con i conti bancari in Svizzera. La Troika minaccia di ritirare la liquidità solo se non vengono tagliate le più basse tra le pensioni basse e se non viene tagliato il reddito minimo. Minacciavano davvero questi precedenti governi solo se osavano dare una minima quantità di denaro ai greci più poveri“.

La rabbia che mi esplode dentro si esprime chiaramente attraverso un’interiezione: un’oscenità.

In parte, la rabbia viene dalla furia nei confronti di un paese che ha fallito nel ristrutturare se stesso. Io detesto il borioso settore pubblico che fa dipendere il tuo impiego da chi hai votato. Non ci sono scuse per la rampante evasione fiscale praticata in tutti gli strati della popolazione greca. Sono sconvolto come chiunque altro da un sistema pensionistico clientelare. Delle riforme in queste aree sono necessarie, essenziali.

La rabbia sale anche perché la mancanza di compassione, nata da 50 anni di corruzione sistematica, si scarica ora su quelli, in Grecia, che meno di tutti possono sostenerla. Lo sento qui, in Australia, con gli amici che curvano le loro bocche in pio disdegno alle storie di evasori fiscali e di pensionati cinquantenni. Negli ultimi cinque anni, la Grecia ha subito un radicale esperimento che ha fermato l’economia. Non c’è una rete di sicurezza sociale, la disoccupazione e il lavoro non retribuito sono diventati la norma. Bene, le pensioni erano troppo generose? Tagliamole. Ma se non c’è sussidio né lavoro, cosa volete che facciano i cinquantenni? Morire di fame? Vi assicuro che sta accadendo.

Varoufakis si accorge della mia rabbia. Dice, calmo: “La coscienza di classe della Troika è sbalorditiva”.

Il nostro apparato di stato è stato contaminato dalla Troika, e molto, molto malamente. Ti faccio un esempio. Esiste una cosa chiamata Istituto Ellenico di Stabilità Finanziaria [Hellenic Financial Stability Facility], che è un ramo dell’Istituto Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF — European Financial Stability Facility). Questo è un fondo che conteneva inizialmente 50 miliardi di euro — 11 miliardi quando sono entrato in carica — allo scopo di ricapitalizzare le banche greche. Questi sono soldi che i contribuenti greci hanno preso in prestito al fine di sostenere le banche. Io, come ministro delle finanze, non ho potuto scegliere l’amministratore delegato [CEO] e non potevo influenzare minimamente il modo in cui conduceva i suoi affari nei confronti delle banche greche. Il popolo greco, che mi ha eletto, non aveva nessun controllo su come il denaro che avevano preso in prestito veniva usato.”

Ho scoperto a un certo punto che la legge costitutiva dell’EFSF mi concedeva un potere, cioè quello di determinare il salario di questa gente. Mi sono reso conto che i salari di questi funzionari erano mostruosi per gli standard greci. In un paese affamato e in cui il reddito minimo è caduto a 520 euro al mese, questa gente si incamerava qualcosa come 18000 euro al mese.

Quindi ho deciso, dato che avevo questo potere, di esercitarlo. Ho usato una regola semplice. Le pensioni e i salari sono caduti circa del 40% dall’inizio della crisi. Ho emanato un decreto ministeriale con cui riducevo i salari di questi funzionari del 40%. Restava un salario enorme, enorme. Sai che cosa è accaduto? Ho ricevuto una lettera dalla Troika, che diceva che la mia decisione era stata annullata [overruled] dato che non era spiegata a sufficienza. Quindi in un paese in cui la Troika insiste che persone che vivono di una pensione di 300 euro al mese da ora vivano con 100, respingevano il mio potere di taglio dei costi, la mia facoltà di ministro delle finanze di limitare i salari di questa gente”.

Varoufakis, che ha 54 anni, ha lasciato la Grecia dopo il liceo per studiare scienze economiche nel Regno Unito. Nel 1988 ha lasciato una posizione a Cambridge per accettare un lavoro accademico all’Università di Sidney. Mi dice, ridendo, che quelli che lo avevano assunto pensavano che fosse un economista di destra perché usava la teoria dei giochi e la matematica negli articoli che aveva pubblicato. “La sinistra a ‘Sidney Uni’ in effetti temeva il mio arrivo”.

Sapendo che Varoufakis ha vissuto per alcuni periodi nella diaspora greca in UK, US e Australia, e passato del tempo con la generazione di immigrati che sono arrivati negli anni cinquanta e sessanta, gli chiedo se pensa che durante le decadi di prosperità e l’integrazione nella UE i greci hanno dimenticato il trauma dell’emigrazione.

Certo che l’hanno dimenticato. Durante il periodo in cui ero Australia, e fino all’inizio della crisi, ogni greco australiano che visitava la Grecia si sentiva tradito. I greci erano quasi imbarazzati dai greci australiani. Li riportavano a un passato in cui la Grecia era povera, quando la Grecia era l’Albania degli anni cinquanta”.

Gli dico che mi ricordo di essere stato in Grecia alla fine degli anni novanta e di aver detto ai miei cugini: “io sono l’albanese”. Ero sconcertato dal razzismo casuale rivolto ai migranti est-europei. Ricordo, anche, l’implicazione che i miei genitori e gli altri migranti della loro generazione erano ancora contadini: sale della terra, certo, ma niente a che vedere con la nuova Europa cosmopolita. Fu allora che mi resi conto di avere una storia diversa da quelle dei greci. La mia apparteneva a una storia di immigrazione, non all’Europa. Varoufakis concorda.

Ma ora che i greci sono stati colpiti dalla storia, ci siamo resi conto che era tutta una messinscena, che siamo ancora una nazione di migranti, che non ce la faremo mai ad arrivare a una cittadinanza europea di prima classe”.

La nuova ondata di emigrazione greca è certamente cominciata. Nella strada principale vicino a casa mia c’è stato un revival del greco parlato. Si tratta di ventenni, trentenni, quarantenni: quelli fortunati abbastanza da esser nati qui, quelli i cui genitori hanno mantenuto la cittadinanza australiana. Chiedo a Varoufakis di riflettere su somiglianze e differenze tra le due ondate di immigrazione.

Negli anni cinquanta e sessanta la Grecia ha perso parecchio in termini di capitale umano, ma si trattava di lavoro non qualificato. Il grande investimento che c’è stato in Grecia dagli anni cinquanta in poi è stato nell’educazione, nell’istruzione. Siamo riusciti a diventare una nazione fortemente istruita. Per quanto riguarda il nostro settore pubblico, e il nostro settore privato, abbiamo fatto veramente poco — anche dell’ambiente siamo riusciti a fare un disastro, l’abbiamo sfruttato ad esaurimento. Ma per quanto riguarda il capitale umano, ne abbiamo creato una grande quantità e la tragedia della crisi attuale è che lo stiamo esportando. Persone giovani e altamente qualificate, la cui istruzione è stata pagata primariamente dallo Stato — anche dalle famiglie, ma primariamente dallo Stato — oggi offrono i loro servizi in tutto il mondo, compresa l’Australia. E questo tipo di perdita semplicemente non può essere recuperata. Puoi ricostruire gli edifici, riparare le autostrade, ma questa perdita è irreversibile”.

La mattina dopo la mia intervista con Varoufakis, ricevo una telefonata carica di agitazione da un’amica di Atene. Lei non è stata pagata per mesi e suo marito è disoccupato. Sono terrorizzati per il futuro dei loro figli. Sono entrambi laureati, lei ha studiato in UK. La sua voce sussurra, carica di vergogna. Si scusa più e più volte. Mi chiede: “Per favore, per favore, c’è un qualche possibile lavoro in Australia? Ho paura di quello che accade qui, caro amico. Sono atterrita da quello che accadrà”.

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