#omaggio a Toni Negri 12

Antonio Negri è morto. Era un uomo accattivante, appassionato e appasionante. Figura di spicco di quello che è stato chiamato l’operaismo italiano, giocò un ruolo cruciale nella trasformazione del marxismo occidentale. Per aver cercato un’alternativa dal lato dei movimenti sociali, ha pagato con se stesso, con il carcere, con la carriera e con l’esilio.

Mi sono formato grazie a lui. Ho avuto l’insigne possiblità di partecipare ai suoi seminari e di diventare poi suo amico e compagno politico per trentaquattro anni, dal 1973 al 2007. Citerò qui due punti per iniziare un primo bilancio del suo contributo al pensiero politico. Un giudizio che gli dobbiamo, in omaggio al grande pensatore che fu, a quell’uomo erroneamente caricaturato come “cattivo maestro”.

Una valutazione da fare anche sui nostri limiti quando abbiamo adottato la politica che ci ha proposto.

L’operaio sociale

Negri era un gigante del pensiero. I suoi concetti, le sue battaglie teoriche sono impressionanti. L’incontro con la Francia ha affinato il suo intervento in molteplici campi. I quattro lavori che ha pubblicato con l’americano Michael Hardt, di 37 anni più giovane, Empire (2000), Multitude (2004) e Commonwealth (2010), Assembly (2017) rappresentano la sintesi del suo lavoro. Non c’è quasi nessun concetto ereditato dal marxismo che esso non abbia completamente rinnovato. Atteniamoci qui ad alcuni concetti chiave.

La chiave dell’evoluzione del capitalismo non può essere letta correttamente che in quella della composizione del lavoro produttivo strutturato nella classe operaia e nel suo movimento, quindi nelle diverse forme di lavoro salariato. Il Marx più interessante per noi è quello dei Grundrisse (l’abbozzo del Capitale). È il rifiuto del lavoro nelle fabbriche che spinge costantemente il capitalismo, attraverso l’introduzione del progresso tecnico, poi attraverso la globalizzazione, ad aggirare la “fortezza operaia”. La composizione di classe, la scomposizione, la ricomposizione permettono di determinare il significato delle lotte sociali. Negri aggiunge a questo sfondo, comune a tutti gli operaisti, due innovazioni: il metodo della realizzazione della tendenza, che presuppone che l’evoluzione appena percettibile sia già pienamente dispiegata, per meglio cogliere in anticipo i momenti e i punti in cui si biforcano. Seconda innovazione: dopo l’operaio qualificato comunista e l’operaio massa, il capitalismo degli anni 1975-1990 (quello della delocalizzazione globale della catena del valore) produce e affronta l’operaio sociale. È su questo passaggio obbligato che si rinnova l’idea rivoluzionaria. L’indagine operaia deve spostarsi su questo terreno della produzione sociale. La questione dell’organizzazione, della dispersione e della frammentazione sostituisce la figura tradizionale della classe operaia e dei suoi alleati. L’operaio sociale del 1975 diventa la moltitudine. Sembra un diagramma (NdT: paradigma) astratto. Tuttavia, le forme di lotta come gli obiettivi fissati, i collettivi degli operatori sanitari, dei disoccupati o dei lavoratori temporanei, gli scioperi di UberEat testimoniano l’attualità di questa prospettiva. Ma anche i suoi limiti, incontrati quando si tratta di incarnazione politica.

Non tratterò qui gli aspetti personali e spirituali del mio rapporto con lui né gli aneddoti politici che un giorno interesseranno storici e biografi e che restano da scrivere.

Chiediamoci ora se, come Marx, quest’altro gigante, di cui è uno dei pochi a saperne parlare in termini familiari, Negri non era un “cattivo politico”? Intendiamoci, come Marx non è riuscito a ricavare una “politica” dalle sue idee potenti. Disegnare una politica dalle nuove Lumières sulla società, il capitalismo, dopo il socialismo reale, non è per nulla evidente. Contrariamente alla formula di Gramsci “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”, l’autore di Marx oltre Marx (1978) diceva con un tocco di provocazione: “ottimismo della ragione, pessimismo della volontà”. Avrebbe dato seguito in politica a questa sua massima. Perché cos’è concretamente la politica se non la formazione di un desiderio di volontà, di un desiderio di trasformazione? Spesso però la volontà manca. Così come il desiderio della volontà. L’idea del reddito garantito, quindi del reddito universale a fronte alle classiche richieste socialiste di lavoro salariato per tutti, prende il posto delle lotte salariali dei lavoratori. Costituisce un tentativo di risposta alla crescente decomposizione delle lotte che possono trasformarsi in nuovi corporativismi. Ma i problemi di convergenza, di coordinamento delle lotte si presentano in modo acuto.

Quando nel 2000 abbiamo scelto il nome della rivista Multitudes, non abbiamo usato questa parola al plurale per caso. Il lavoro di Hardt e Negri, ricorrendo al singolare, ha evitato la questione dell’unità da costruire e quindi della politica tout court.

Certo, Negri ha forgiato negli anni 2000 il concetto di biopotere, “una forma di vita e di lotta” come risposta politica per costruire una soggettività alternativa al capitalismo globale integrato (Gilles Deleuze e Félix Guattari). Ma a causa della mancanza di collegamento con l’ecologia, esso perde gran parte del suo carattere direttamente operativo in politica.

Si è detto e scritto spesso che Negri trovò al Sud il suo pubblico nell’alter-globalizzazione. Non è detto che una politica ispirata alle sue teorie abbia realmente trovato lì i suoi benefici.

Sospettando uno spostamento a destra dei Verdi europei, Negri ha mancato il momento, per quanto “rivoluzionario”, di una biforcazione ecologica di fronte all’emergenza climatica. Lo stesso vale per il superamento della dimensione nazionale in un’Europa federale, di cui aveva parlato sostenendo il progetto di Costituzione europea nel 2005, ma che ha poi abbandonato.

La crescente immaterializzazione del lavoro dipendente sotto l’impatto della rivoluzione tecnologica digitale costituisce un’altra sfida che Negri ha affrontato negli anni ’90, in particolare in due studi sul campo condotti in Francia. Con la globalizzazione seguita dalla deglobalizzazione che mette la “fabbrica del mondo” in una situazione difensiva, il capitalismo integrato opera su scala planetaria. Si tratta di una decomposizione della politica così come è stata faticosamente costruita nel corso di tre secoli con i suoi attributi “nazionali” e democratici.

Potere costituente

Antonio Negri ha lasciato un formidabile contributo alla storia della filosofia con i suoi testi su Spinoza e su ciò che ha tratto dalla distinzione tra potere destabilizzante e creativo da un lato e potere costituito repressivo e reattivo dall’altro. Ha forgiato la nozione di potere costituente. Questa nozione pretende di andare oltre l’alternativa tra un potere infinito degli sfruttati, i cui frutti sono sempre raccolti dall’iniziativa capitalista riformista, e il potere impotente dell’inerzia. Infine, nel suo tentativo di rivoluzionare la rivoluzione contro l’autonomia della politica, Negri si è confrontato con una realtà molto più dura per intellettuali e attivisti impazienti, quella della politica come professione, una sfera istituzionale che detiene in definitiva il monopolio della trasformazione tranne nei rarissimi momenti di conflagrazione romantica seguita da dolorosi ritorni alla “realtà”. Come se la politica fosse una temporalità molto lenta che ricorda la tettonica delle placche intervallate da catastrofi di fronte all’impazienza di coloro che cercano una politica adeguata all’ambizio”L’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique”) Liberation/18/12/2023,ne del pensiero filosofico. C’è del lavoro da fare, anche da parte di noi nani.

* Traduzione di Turi Palidda. Tratto da Libération, titolo originale: “L’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique”, 18 dicembre 2023,

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