La giustizia è p’er povero, Crestina

Le condanne pe lui so sempre pronte

Sai la miseria che tiè scritto in fronte?

Questa è carne da boja; e c’indovina

                                                                                                                        

G.G. Belli, sonetto 1511

 

Il professor Draghi a volte si sente scoraggiato e magari non sa più che pesci pigliare; dentro il governo continuano a litigare senza sosta e rendono difficile l’operazione che gli è stata affidata. Il bracco ungherese sarebbe disponibile a mordere i ministri riottosi, o troppo avidi, ma non si può fare, e così viene lasciato nel parco privato di Città della Pieve. Altre sono le soluzioni, il trovare un compromesso, o uno stratagemma, è diventato una necessità quasi quotidiana per il primo ministro italiano; le decisioni sostanziali vengono prese altrove e non sono discutibili, ma bisogna far comprendere ai partiti che affollano l’esecutivo di rimanere immobili, naturalmente trattando il prezzo del loro silenzio. Non basta la pazienza; ci vuole anche una certa fantasia.

Oggi (inteso come 28 aprile), in una sola giornata, il professor Draghi ha piazzato un colpo doppio.

Il ministro parafulmine della sanità, Roberto Speranza, ha superato senza danni la mozione di sfiducia al Senato e continua così a garantire una piena copertura a sinistra, lasciando libero Salvini di protestare contro il coprifuoco. Al tempo stesso il professor Draghi ha ottenuto dal suo amico francese Macron un giro di vite contro gli ultimi esuli italiani sopravvissuti a Mitterand, con l’ordine di arresto diretto contro dieci vecchietti ormai più ottantenni che settantenni. Emanuel Macron è nato nel 1977; non era ancora al mondo quando questi nuovi carcerati stavano compiendo la più recente (cronologicamente) delle azioni illegali loro addebitate. Ma non è questo un problema: la questione stava nel trovare un comodo diversivo da gettare in pasto alla stampa per meglio gestire la cosiddetta pubblica opinione.

In Italia, per placare le fazioni politiche, sono stati presi provvedimenti di per sé in fondo poco costosi, ma certamente impopolari e altrettanto certamente scandalosi: Formigoni, dopo un brevissimo periodo di carcerazione, è a casa (non sua, ma a sua disposizione e piuttosto bella), con un cospicuo assegno mensile e pure con gli arretrati; Del Turco, il sindacalista della CGIL diventato governatore, ha avuto pure lui soddisfazione economica. Le fazioni non abbandonano i loro funzionari caduti nelle reti della giustizia; si sentono più forti e sono capaci di dimostrare di essere più uguali degli altri. Ma, in una situazione di turbolenze e di transizione, occorre trovare la maniera di distogliere l’attenzione offrendo lo spettacolo di una giustizia severa, inesorabile, rassicurante. E chi meglio di questi dieci anziani si poteva prestare alla bisogna?

In Italia abbiamo un primato davvero poco invidiabile: Giulio Andreotti, ministro della Repubblica per molti decenni, è stato riconosciuto colpevole di concorso in associazione mafiosa fino al 1980 (oltre la morte di Aldo Moro), ma senza conseguenze per via della prescrizione. Potremmo redigere una lunga lista di prescritti eccellenti: soprattutto per corruzione, per reati ambientali, per morti di amianto, per stragi sui luoghi di lavoro. Ma la prescrizione, nella terra del sole e del mare, suscita indignazione solo quando riguarda le lotte sociali. Specie alla vigilia del processo trattativa in appello; i terroristi del 1977 in prigione, i terroristi della trattativa fra stato e mafia sono invece perseguitati politici.

Vien meno la prescrizione e prevale non tanto la giustizia, quanto la vendetta. Una vendetta, per giunta, dettata non da sentimenti nobili, ma solo dal tornaconto economico-politico. La giustizia non c’entra niente. Il processo per la morte del commissario Calabresi è una delle pagine più inquietanti e sorprendenti nella storia dei processi politici; certamente non ne è uscita una verità storica convincente, ma, al più, e più modestamente, una contestatissima verità giudiziaria. Ma anche a voler prendere per buona la conclusione giudiziaria (e bisogna avere una notevole simpatia per lo stato per accettarla) il risultato lascia perplessi: i pretesi autori (Marino e Bompressi) sono stati l’uno prosciolto per prescrizione e l’altro graziato; il preteso mandante (che al fatto nessuno sostiene abbia preso parte) viene ora arrestato, a distanza di 50 anni, dopo un trapianto al fegato e alla vigilia degli 80 anni (Pietrostefani). Non è questa la sede per entrare nel merito di ogni singola posizione (Raffaele Ventura, da decenni cittadino francese, per esempio, non era brigatista, ma di autonomia, e con il partito combattente non c’entrava un bel niente). Tuttavia di vendetta si tratta, non di giustizia: non facciamo teatro!

Hanno scelto dieci corpi ormai invecchiati, impossibilitati a far valere qualunque reale rapporto di forza per contrastare l’attacco loro sferrato dal potere politico. Li hanno scelti per questo. Li vogliono usare per allestire uno spettacolo circense, per portare nell’arena dei terroristi da punire e far sfogare la rabbia popolare che cova in questo frangente pandemico, per l’incertezza del futuro, per l’impoverimento  crescente, per la precarietà e l’instabilità. E sviandola verso questi dieci corpi invecchiati intendono allontanare la rabbia popolare da se stessi.

Vecchio trucco, Mr Draghi! Anche il bracco ungherese si rifiuta di accettare tanta meschina astuzia di palazzo e rimane indignato nel parco di Città della Pieve.