Salvini ha studiato Bauman? Probabilmente no. Così però sembrerebbe leggendo una frase come la seguente dell’autore di Modernità Liquida : “Un fronte unito contro gli ‘immigrati’, la più piena incarnazione della ‘diversità’, promette di fare il possibile per accorpare il variegato assortimento di individui impauriti e disorientati in qualcosa di vagamente simile a una “comunità nazionale”: questo è uno dei pochi compiti che i governi dei nostri tempi possono espletare ed essere chiamati ad espletare”

[1].

Queste righe risalgono a diciotto anni fa. Dunque, per quanto lungimiranti, descrivevano qualcosa di già in gestazione. Ma bisogna dare al Salvini di oggi e al suo seguito, ivi compresi i Cinque Stelle, ciò che loro spetta: di avere adocchiato e staccato il frutto al momento in cui era maturo per darlo in pasto al “variegato assortimento di individui impauriti e disorientati” che non aspettavano altro. Gli sforzi di “accorpamento” di “qualcosa di vagamente simile ad una comunità nazionale” è oggi tendenza notoriamente sempre più diffusa nel mondo: dagli Stati Uniti di Trump alla Gran Bretagna di May, dall’Ungheria di Orbán all’Austria di Kurz e così via. Ma per il momento atteniamoci agli affari di “casa nostra” dove anche le ultime elezioni comunali hanno definitivamente sancito uno dei trionfi più storicamente clamorosi di questa tendenza.

Sminuire la portata di questa svolta epocale non aiuta. Non è il caso cioè di attardarsi nell’insistere su fatti ovvi. Ad esempio, sul fatto che la politica di Salvini in tema di immigrazione non è altro che la continuazione sia pur esasperata di quella di Minniti, la quale a sua volta non è stata altro che l’esasperazione dei precedenti impostati dalla legge Bossi-Fini e così via. Resta che la novità assoluta di questi giorni c’è tutta ed è ben precisa: consiste nel fatto che la politica di respingimento di stranieri è stata eretta al primo posto dell’agenda politica, ossia è uscita fuori dal cilindro dove i cinque stelle la mantenevano sullo stesso livello di importanza di altre questioni come la politica anticasta o le propensioni antieuro. È qui, in questa nuova assegnazione di priorità, che sta il segreto, tanto del colmo del successo che sta incassando Salvini, quanto dello spaesato accodarsi dei grillini.

È infatti solo insorgendo senza remore contro “l’incarnazione della diversità” identificata negli immigrati – come spiega la citazione di Bauman – che Salvini riempie il vuoto di riferimenti, il disorientamento, provato dal “variegato assortimento di individui” recentemente sempre più accalcatisi attorno alla sua figura. Scatenandosi contro lo straniero e chi li aiuta pare loro infatti di  sfogarsi contro cause ben tangibili, dominabili, punibili, fin anche seviziabili, del loro smarrimento. Ed è solo partendo da qui, da questa diretta e immediata rivalsa contro supposti intrusi e loro complici, che pare tornare anche solo per un attimo il sollievo di sentirsi a casa propria e dunque la sensazione di potervi finalmente rimettere le cose a posto..: “da papà” – parola d’ordine essenziale di Salvini! Senza la priorità della politica dei respingimenti le promesse del “governo del cambiamento” apparirebbero infatti per quello che sono e che i gesti dei ministri giallo-verdi immancabilmente confermano: farfugliamenti velleitari accompagnati da più o meno maldestre rassicurazioni di continuità rispetto alle politiche neoliberali.

Sul “contratto” all’origine del governo ha ragione l’analisi critica di Euronomade[2]: approccio vagamente risarcitorio nei confronti delle vittime della globalizzazione; non tanto la decantata restaurazione della sovranità statale – in realtà fuori tempo massimo – quanto affermazione della centralità del potere esecutivo; ripristino della tradizionale idea proprietaria della giustizia e dello stato sociale conformemente ai sogni del piccolo capitale; e il tutto poi condito di razzismo, del razzismo di Stato.

Fantasie tanto ingenue quanto perverse, comunque senza avvenire? Forse non proprio. Nel corso dei lunghissimi preliminari per la formazione dell’attuale governo, l’impressionante e repentina bocciatura finanziaria di quella sorta di colpo di Stato tentato da Mattarella con l’imposizione di Cottarelli rispetto al già proposto Conte può anche far supporre altro. In un mondo dove Trump, Orban, May, Kurz e altri personaggi simili la fanno da protagonisti, non è da escludere che anche un governo giallo-verde in Italia (dopo le prime gesticolazioni inevitabilmente inappropriate e dopo essersi definitivamente spurgato a destra e a sinistra) non possa trovare la quadra e strutturarsi addirittura come regime. Sarebbe allora la “terza repubblica”, il peggio del peggio di tutta la storia dal secondo dopoguerra! A far temere questo c’è sopratutto il definitivo liquefarsi di quegli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra oramai definitivamente colpiti e affondati dalle loro stesse clamorose corruzioni e incapacità gestionali, fonti prime del successo giallo-verde.

Ma non si dimentichi un altro dato clamoroso. L’assenteismo e la renitenza elettorale. C’è anche questo tra le condizioni del successo verde-giallo, il quale, per quanto consenso goda, gode sempre di un consenso monco, proveniente da molto meno della metà degli italiani. In effetti, da noi come altrove non c’è tanto una crisi della rappresentanza politica di sinistra, quanto una crisi della stessa rappresentanza come criterio supposto essenziale per la democrazia. Anziché ricominciare a rimuginare su come resuscitare delle sempre più stanche e improbabili rappresentanze politiche di sinistra, non è forse il tempo in cui le forze collettive più vitali, ong, cooperative, centri sociali, sindacati di base e così via che operano in Italia si presentino, si dichiarino, si stringano tra loro,  facciano realmente un nuovo polo, cioè rinnovino radicalmente ciò che si chiama politica? Iniziative del genere per fortuna cominciano ad attivarsi[3]. Nell’altra metà del nostro paese che non si affolla per assumere le devastanti anestesie antipanico di Salvini, pullulano infatti esperienze coraggiose che sfidano ogni resistenza e pregiudizio per fare la cosa che più importa qui “da noi”, come, ma forse più che altrove: costruire cogli stranieri, quelli che ci sono già e quelli in arrivo, nuove prospettive per rifare da capo a piedi una società non certo così attraente come pare agli strenui difensori della sua identità originaria. Al di là dei problemi economici ed europei che tanta ansia e clamore suscitano “a casa nostra”, non si ricorda mai abbastanza infatti come l’Italia sia non solo demograficamente la nazione quasi più vecchia al mondo, ma sia anche statisticamente sempre meno istruita e con meno ambizioni di ricerca scientifica ed artistica; si aggiunga: con l’aggravante di essere martoriata da una malavita tra le più organizzate e penetranti che esistano, nonché con una popolazione più di altre omogeneizzata attorno alla stessa fede, per di più gestita dalla chiesa forse più potente del pianeta. Il tutto con una divisione tra nord e sud mai sanata e una povertà attualmente sempre più dilagante.

Senza la varietà prolifica e coraggiosa di nuove popolazioni nomadi affluenti il destino del nostro paese sarebbe immancabilmente quanto mai triste e declinante. Prima che i pappagalli giallo-verdi si mettano a costruire nidi nei quali i sedentari loro adepti e più gelosi della loro supposta identità nazionale si immaginino di vendere cara la pelle di fronte ad un’invasione allogena occorre fermarli. Occorre dissuaderli in nome di un’altra Italia aperta e non ostile al resto del mondo.  Il tempo non è molto. Occorre affrettarsi.

 

NOTE

[1] Bauman Zigmunt, Liquid Modernity, Oxford, 2000 ( trad. it. di Minucci S., Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2011)

[2]Il governo degli equivoci, la giustizia proprietaria e il popolo sovrano (http://www.euronomade.info/?p=10753)

[3] https://riforma.it/it/articolo/2018/06/25/solidarieta-europea-il-momento-di-agire; Costruiamo un fronte unito contro disuguaglianze e sfruttamento (https://www.facebook.com/events/1076350759185385/)

 

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