Nel capoluogo lombardo si è tenuta la settimana del “Lavoro Agile” tra il 22 e il 26 maggio promossa dal Comune.  Milano, la capitale finanziaria ‘de noantri’ segna un punto a favore della retorica della Città-in-Vetrina, l’Eventopoli cool, che vorrebbe in Milano la città simbolo del progresso e dell’inclusività sociale. Tutto questo ovviamente non è vero. E ha un prezzo, soprattutto, per chi la vive e non ha le possibilità economiche, sociali e le coordinate culturali per muoversi all’altezza degli standard sul mercato odierno.

L’operazione è chiara e limpida, marketing metropolitano. La città dove si fattura e si lavora, appare oggi, nei racconti mainstream, il posto in cui innovazione e tecnologia incontrano il giusto humus per fertilizzare, dove se hai un’idea, o meglio un sogno nel cassetto da realizzare, ed un computer, ma soprattutto tanta voglia di sfondare, troverai di sicuro la giusta occasione per affermarti nel mondo. Uno su mille ce la fa. A te impegnarti a fondo.

Balle! Basta guardare qualche dato sulle start-up innovative per rendersi conto che chi ha già abbastanza soldi di famiglia apre la sua attività, perché se non hai una rendita, un capitale iniziale da cui partire, su cui investire, nessuno investe su di te a costo zero, ed è difficile immaginare che possa mettere su un’azienda per sé che si afferma per magia sul mercato, in tempo zero.

Figuriamoci poi pensare che queste “nuove aziende” con un tasso di mortalità elevatissimo (una su due sopravvive ai primi 5 anni) riesca a generare profitti e addirittura posti di lavoro utili come soluzione alla disoccupazione, soprattutto giovanile. Più volte Renzi e la stessa municipaltà di Milano  hanno speso fiumi di parole in tal senso.

La sharing economy si è inventata i co-working per mettere a valore spazi fisici a basso costo come escamotage per fronteggiare la crisi. I proprietari di spazio vuoti a disposizione, nella proliferazione di figure professionali costrette al lavoro autonomo e a forme di collaborazione atipica, hanno pensato di trasformare in utile il proprio bene, inventandosi delle postazioni in condivisione, degli uffici per chi non ne ha uno messo a disposizione dal proprio committente. Un’idea figa per un bisogno reale. L’ennesima domanda che ammette una risposta solo da parte di chi se la può permettere.

E proprio qui si concentra il paradosso più grande. Oltre all’esplosione delle partite iva indebite o delle collaborazioni coordinate, che sono state oggetto di cancellazione col Jobs Act, salvo poi tornare in auge sotto altre mentite spoglie, il Comune di Milano, che si ammanta di essere l’avanguardia nazionale propone un programma che incentiva al coworking e al telelavoro, grandi aziende e P.A.

Questa grande bugia potrebbe essere tranquillamente sintetizzata nell’infelice slogan “smart working in a smart city” ma c’è dell’altro. Dietro questa narrazione tossica che vorrebbe il telelavoro come soluzione per autogestirsi il proprio tempo e i propri spazi, come soluzione eco-sostenibile e bio-compatibile, c’è molto di più.

Quello che sta accadendo è che il modello sdoganato dall’economia “on demand” con l’ausilio delle piattaforme digitali e di un’app, crea i presupposti perché questa nuova forma di organizzazione del lavoro venga generalizzata. Sarà un caso che i lavoratori del delivery sono tutti collaboratori autonomi, sulla carta manager di loro stessi?

Da lì il passo è breve. Enel, Unicredit, Eon sono solo alcune delle aziende che sono in partnership con la sciagurata settimana. Altre, molte sperimentazioni a dire il vero, sono in corso nel pubblico tra università, centri di ricerca, istituti sanitari e comuni. E indovinate un po’? Questa settimana di promozione sociale patrocinata dal Comune di Milano ne rappresenta il volano.

A quali conseguenze porta è presto detto: con la scusa del taglio alla spesa pubblica, in alcuni settori, dove questa formula sarà meglio adattabile, si arriverà ad una formale esternalizzazione, magari con la parziale ricaduta fiscale sui prestatori d’opera (i lavoratori) e con la riduzione sensibile sia del potere di contrattazione col proprio datore di lavoro, sia di potere contrattuale direttamente, e ciò porterà gli impiegati “resi agili” a divenire operatori più ricattabili e meno pagati.

Fantascienza? Chissà. Noi siamo scaramantici, preferiamo mettere la mani avanti.

http://www.comune.milano.it/…/vivi…/qualitavita/lavoro_agile

#smartwork #LavoroAgile #Milano

 

 

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