Emilio De Marchi

(Demetrio Pianelli, 1890)                                                                                                                                                                                                                                            

 

Mario Draghi va acquistando una sempre maggiore disinvoltura nella gestione del potere, senza più preoccuparsi delle critiche, ormai del tutto assenti, all’interno della maggioranza come pure nelle file della pretesa opposizione. L’arroganza iniziale si accompagna ora, con frequenza, a frodi e raggiri per procedere speditamente nell’attuazione del programma politico, economico e finanziario elaborato il 14 dicembre 2020, nella riunione del Group of Thirthy che ha preceduto la sua nomina a primo ministro.

Un precedente significativo passato sotto silenzio

Il provvedimento legislativo che ha introdotto il cosiddetto green pass in Italia si caratterizza, a prescindere dalle critiche di merito, per uno stratagemma davvero incredibile. I regolamenti europei sono composti di premesse, dette considerando, e di articoli ovviamente connessi. La giurisprudenza ritiene entrambi vincolanti per il legislatore nazionale dei paesi membri. Ma il considerando 36 del Regolamento europeo 2021/953 del 14 giugno, sfortunatamente per il governo, vietava ogni discriminazione fra i vaccinati e  coloro che invece, per scelta e non solo per necessità, avessero rifiutato l’iniezione. A questo punto il nostro ineffabile Primo Ministro ha fornito una traduzione infedele (meglio: falsificata per omissione) alla Gazzetta Ufficiale Europea, pubblicandola il 14 giugno, lasciando la necessità medico sanitaria ma cancellando la libera opzione. A seguito delle sdegnate proteste di alcuni parlamentari europei il 5 luglio 2021 la Gazzetta Ufficiale dell’Unione ha provveduto ad una imbarazzata rettifica, restaurando il testo. Ma il governo se ne è allegramente infischiato, tenendo ferma la propria traduzione (quella falsificata) e incaricando alcuni giuristi disponibili di sostenere, in via ufficiosa e giornalistica, la natura non precettiva dei considerando. Nessuna rivista giuridica ha osato tuttavia ospitare una così ardita opzione interpretativa. Una discussione sull’opportunità o meno, in concreto, di una misura sanitaria di contenimento della pandemia è del tutto comprensibile, quale che sia la soluzione. Ma qui il problema si poneva diversamente; qui il governo, per imporre la propria decisione, ha falsificato il testo di una norma europea! Ammesso e non concesso, come attenuante, il fine di proteggere la salute dei sudditi (chiamare cittadini i destinatari della frode è un po’ troppo!), rimane la ferita profonda inferta all’ordinamento proprio da chi avrebbe la funzione di proteggerlo. Una ferita provocata con la precisa volontà di piegare ogni resistenza futura.

Il colpo era ben assestato e ne preparava altri per favorire le imprese e colpire i lavoratori più deboli.  Solo il buon Landini non lo ha compreso, insistendo pervicace nella richiesta di tamponi gratuiti o di vaccini resi obbligatori per via legislativa ma tralasciando il nocciolo della questione.  Viene in mente il burlesco toscano Filippo Pananti: diceva quello che tosava il porco/molto rumor ma molta poca lana (Il poeta di teatro, canto CI).

E a seguire l’attacco ai precari

Come era prevedibile il Primo Ministro non si è fermato e prosegue senza incontrare ostacoli lungo il cammino prefissato. Ha spartito le poltrone della comunicazione eliminando i meno affidabili fra i giornalisti, senza degnare di attenzione il leader del Movimento 5 Stelle e senza prendere neppure in seria considerazione la sua minaccia di non comparire in rete. Meglio, avrà pensato; non debbo neppure prendermi la briga di censurarli o metterli in ombra, questi noiosi grillini. Draghi ha buon gioco nel colpire, e colpisce sempre uno alla volta. Ripetitivo forse, ma funziona sempre, senza eccezione. Come faceva Lucy, mostrando la palla a Charly Brown.

Di recente, e ancora con un palese sotterfugio, è toccato ai precari. Lo strumento è quello del decreto legge, in materia fiscale e finanziaria, il n. 146 del 15 ottobre 2021, naturalmente urgente e improrogabile. Deve essere convertito nel termine massimo di 60 giorni, manca pochissimo e certamente sarà posta come di consueto la fiducia per impedire emendamenti sgraditi e per eliminare ogni discussione. Il comma 15 dell’art. 11 non è di facile lettura: all’art. 31 comma 1 del decreto legislativo 15 giugno 2015  n. 81 il quinto periodo è soppresso.

Il gioco dell’oca

Che significa un decreto urgente così concepito? Proviamo a seguire il percorso, come nel gioco dell’oca; i dadi sono truccati e sarà impossibile un 9 al primo lancio. Leggiamo il quinto periodo , da sopprimere secondo il governo con urgenza improrogabile: la disposizione di cui al periodo precedente ha efficacia fino al 31 dicembre 2021. Diavolo! E la disposizione precedente che diceva?  Questo: nel caso in cui il contratto di somministrazione tra l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore sia a tempo determinato (praticamente sempre, n.d.r.) l’utilizzatore può utilizzare in missione, per periodi superiori a 24 mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore somministrato, per il quale l’agenzia di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò determini in capo all’utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato.

Traduciamo. Non si può, oggi, usare la stessa persona nello stesso posto di lavoro per oltre 24 mesi, anche a singhiozzo; superata la soglia o l’agenzia o l’impresa che lo usa deve assumerlo stabilmente, piaccia o non piaccia. Il Decreto Dignità (n. 87/2018 convertito con modifiche in legge n. 96/2018) aveva infatti introdotto un limite massimo di 24 mesi; l’intervento legislativo, con decorrenza 31 dicembre 2021, fa cadere questo limite abrogando di fatto un punto importante del decreto dignità. In sostanza il lavoratore somministrato potrà rimanere precario a vita. Con un linguaggio per iniziati una manina perversa, ed esperta, ha cancellato lo spiraglio introdotto nell’estate del 2018; e lo ha fatto con astuzia inserendo la trappola in un decreto finanziario che con il lavoro non c’entra un bel nulla, contando sulla disattenzione e/o sulla complicità. Complimenti! Tutti comprenderanno che bloccare l’assunzione stabile di un disgraziato precario dopo 24 mesi di purgatorio, specie in settori come Amazon in cui la pandemia ha creato occasioni di profitto incrementato, era questione davvero urgente e improrogabile, come prevede la Costituzione per questo genere di leggi eccezionali. Nessun rimorso quando la coscienza è disponibile.

Aggiornamento recente

Un bravo giuslavorista bresciano (l’avvocato Carbonelli) ha scoperto il marchingegno, segnalando il pericolo; dopo una serie di litigi e di trattative il 1 dicembre al Senato, in Commissione (Finanze e Lavoro) è passato un emendamento correttivo del testo originario del decreto. La vicenda va assumendo tutte le caratteristiche del complotto. L’emendamento non cancella del tutto l’abrogazione del limite, ma la rinvia al 31 dicembre 2022 (o forse al 30 settembre 2022: sul punto ci sono notizie discordanti) in ragione di un compromesso, e con l’astensione della Lega. La notizia è uscita su  Il sole 24 ore a firma di Giorgio Pagliotti, già il 1 dicembre, ovvero il giorno stesso dell’approvazione (filo diretto!); nella stessa giornata Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp invece di rivendicare il merito del rinvio – un rinvio è pur sempre meglio di una batosta – annuncia, a sorpresa, di opporsi alla modifica, auspicando la restaurazione in aula del vecchio testo elaborato dalla manina. Il quotidiano di Confindustria riporta la decisione sindacale con comprensibile entusiasmo. A giustificazione di questa porcata le tre organizzazioni dei lavoratori deducono il timore che le imprese non rinnovino i contratti ai precari in forza, sostituendoli con altri diversi neoassunti. Il precariato a vita come contrasto al licenziamento: geniale! Ricorda il celebre proverbio popolare padovano: xe pèso el tacòn del buso.

Europeisti intermittenti

La legge 96/18 (conversione del c.d. decreto dignità) aveva enunciato questo principio informatore del provvedimento: si intende intervenire con nuove misure per limitare l’utilizzo di tipologie contrattuali che nel corso degli ultimi anni hanno condotto ad una eccessiva e allarmante precarizzazione, causata da un abuso di forme contrattuali che dovrebbero rappresentare l’eccezione e non la regola.

Del resto si trattava di conformare la legislazione italiana alla direttiva europea e alle indicazioni vincolanti dell’Unione per gli stati membri. La Corte di Giustizia, con sentenza JK-KG del 14 ottobre 2020, in causa C-681/18, aveva del resto dichiarato, proprio nei confronti della Repubblica Italiana e dunque senza possibili equivoci: l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, in data 19 novembre 2008, relativa al lavoro interinale deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno stato membro non adotti alcuna misura per preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale nonché (osta) a che una normativa nazionale non preveda  alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore di missioni successive tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme.

Ebbene. Questo governo si dichiara europeista quando conviene alle grandi imprese private, alle banche e alla finanza internazionale, mandando lettere segrete e cancellando i diritti dei lavoratori. Ma non esita, al tempo stesso, a cancellare perfino le norme varate per allineamento alle direttive comunitarie vincolanti, o, magari, a falsificare la traduzione di passaggi sgraditi in contrasto con le decisioni dell’esecutivo. Mario Draghi, come già era uso fare quando stava al timone della Banca Centrale o della Banca d’Italia, applica una sorta di europeismo intermittente: le norme comunitarie valgono quando sono utili al Group of Thirty o a Goldman Sachs; si possono tranquillamente ignorare e non applicare quando sono loro di ostacolo.

Certo, ci sono contraddizioni anche dentro il palazzo, correzioni di tiro, aggiustamenti di linea, compromessi, mazzette necessarie, favori da ricambiare, avversari da corrompere. Ma la linea è chiara; e sanno usare bastone o carota, perfino la pandemia per imporre la road map elaborata. Ci vuole davvero molta ingenuità per sperare in una trattativa con questi avventurieri senza scrupoli, come avverte la saggezza contadina mai comprare la sugna dalla gatta. E’ gente che al massimo finge di piegarsi, poi attende la distrazione e colpisce, preferibilmente alle spalle dopo essersi assicurati che si tratti di persone disarmate. Contano, per imporre un moderno dispotismo adeguato alle necessità di profitto nella transizione, sulla pazienza della moltitudine precaria. La pazienza è spesso una virtù, ma può diventare invece un errore di prospettiva, di tattica prima ancora che di strategia. La pazienza è parente stretta della paura, confina con la sottomissione. O, quanto meno, il potere preferisce leggere in questa bonaccia di pazienza che caratterizza il tempo della pandemia l’anticamera di una vittoria, magari non definitiva, ma almeno di medio periodo. Per un capitalismo abituato ormai a vivere di soli obiettivi trimestrali, indifferente a tutte le conseguenze, è un orizzonte rassicurante, un programma di dominio. Davvero la pazienza dei popoli è la mangiatoia dei tiranni.

 

Immagine in apertura: Casa del popolo “Rinascita” di San Vito, Spilamberto, 1949. Dettaglio dell’altorilievo di Veldo Vecchi, scena che raffigura un episodio della lotta partigiana: Luciano Orlandi ucciso dai nazifascisti nel 1944