In queste settimane molte morti di migranti hanno attraversato il nostro paese, chi cercando di attraversare i confini, chi disperato nel non trovare un futuro migliore ha scelto di togliersi la vita, chi aggredito da un razzismo feroce, chi muore perché vittima di condizioni disumane sul lavoro o nei centri di accoglienza, senza dimenticare i naufragi nel Mediterraneo che continuano ogni giorno.

Anche la nostra città è coinvolta fra i tanti episodi. Venerdì 24 Marzo è stato ritrovato il corpo di un giovane, morto in mare.

Il ragazzo sembra essere stato identificato. Qui sotto le parole di chi l’ha conosciuto e che pensa che per lui e tutte le altre persone non si possa più rimanere in silenzio.

Al presidente nero con una “enne”

Quando John Kenedy – il presidente con una “enne” – arrivò in Italia era poco più che maggiorenne. Ne dovette passare di “selezioni” per scampare ai più che conviene “lasciar morire” ed essere scelto tra chi si può “far vivere”.

Ha superato la selezione del deserto

Ha superato la selezione delle carceri libiche

Ha superato la selezione del viaggio in mare

Ha superato la selezione dell’hotspot

Ha superato la selezione dell’arrivo a Genova.

Sì, perché un tempo, circa due anni fa, funzionava proprio così. Si arrivava allo spulmo (questo il gergo usato tra noi operatori sociali: spulmo e non sbarco perché a Genova gli arrivi avvengono via “pullman” e non con la “barca”) spesso ore prima di quando effettivamente arrivassero i possibili ospiti. La prefettura chiamava direttamente i responsabili/referenti/coordinatori dei CAS – Centri accoglienza straordinaria – dicendo che tra le 23.00 e le 06.00 del mattino sarebbero arrivati i migranti da far entrare nelle strutture.

Così, in quel lasso di tempo ci si organizzava a occupare spazi strategici per i mezzi nel piazzale di piazza caricamento. Spesso andavo sola, nonostante i miei colleghi maschi volessero accompagnarmi per galanterie, talvolta per rispetto, spesso per sostegno. I lampeggianti di una volante nel buio della notte segnalava l’arrivo dei pullman.

Un campanello di responsabili/referenti/coordinatori ma troppo spesso semplici autisti e/o operatori sociali si raggruppavano dalle porte degli autobus a individuare il “proprio migrante”. Prima le donne e i bambini e poi, la salita sul pullman. Spesso con la mascherina un po’ per la paura delle malattie (all’epoca c’era il pericolo ebola – come se fosse appiccicata addosso agli stracci che portavano) un po’ per l’odore di corpi presi come trovati dai barconi ricoperti di benzina, ustioni, piscio e vomito, taluni, i più fortunati, con una tutina di carta bianca.

Io rimanevo a terra, non per la paura dell’ebola o del puzzo ma perché non avevo alcuna intenzione di partecipare alla sagra della selezione di chi conveniva lasciar vivere. Così come delle volte rimanevano Eritrei, Liberiani e Sierraleonesi quella sera rimase John, insieme ad altri quattro connazionali.

Quando mi disse come si chiamava, ricordo lo sguardo tra me, lui e il mio collega… Kenedy come il presidente ma senza una “enne”!! Nessuna domanda… è perché poi non potersi chiamare come il presidente degli Stati Uniti? Chissà magari quel giovane nero nigeriano era figlio di qualche schiavo… parrebbe così strano?

Quindi, ricapitolando, John Kenedy

Ha superato la selezione del deserto

Ha superato la selezione delle carceri libiche

Ha superato la selezione del viaggio in mare

Ha superato la selezione dell’hotspot

Ha superato la selezione dell’arrivo a Genova

Ha superato la selezione di chi conviene “lasciar morire” ed è morto.

“Il cadavere di uomo di origini presumibilmente africane è stato trovato in mare in zona Foce”, così il titolo del giornale, poi dicono di averlo identificato e che quel corpo in elevato stato di decomposizione sia quello di John Kenedy, 21enne, Nigeriano.

Quello che non dicono è che in realtà sembra che sia ancora N.C. e che se rimarrà tale ancora per un po’ accadrà che si aspetterà uno o due mesi per fare un funerale collettivo e seppellire i N.C. tutti insieme.

Quanti di noi potrebbero essere al posto di quell’educatore e/o responsabile di struttura che ora sta piangendo quella morte? Che si sente responsabile per quella morte perché impegnato nei mille ruoli in cui ci costringono non riusciamo a seguire le nostre priorità, perché spesso siamo in pochi, perché spesso ne sappiamo più di alcuni coordinatori ai quali dobbiamo spiegare mille cose, perché spesso andiamo soli ai colloqui in ospedale senza un mediatore che possa far comprendere la gravità di una malattia o l’importanza di una terapia, perché ci programmiamo un colloquio importante ma poi veniamo chiamati per un urgenza che molto spesso è allestire un nuovo alloggio?!?!

Un educatore magari di qualche anno più grande di John; un responsabile di molti anni più grande di John che ha iniziato a lavorare nel sociale quando quel lavoro generava vita e non aveva a che fare con la morte. Quando si aveva il tempo di costruire e progettare insieme percorsi e opportunità, quando anche se il territorio era ostile si aveva il tempo per creare spazi in quell’ostilità e trasformarla in altro. Penso a tutti quei nuovi “operatori del sociale” che iniziano a lavorare nell’accoglienza e si trovano ad aver a che fare con un sistema che tutto è tranne quello che vuol palesare. Noi non apparteniamo a quel sistema che decide chi “lasciar morire”, non è quello il nostro ruolo.

E questa morte che porta il nome di John Kenedy deve diventare il nostro urlo di “disertori al ruolo che ci vuole altro da quello che siamo”.

L’8 aprile a Roma ci sarà un assemblea “autoconvocata” di operatori sociali che si dichiarano “disobbedienti al ruolo di soldati” che il Decreto Minniti vuole imporre.

Disertare questa guerra è una necessità prima ancora che un dovere. Operatori del sociale, chiediamoci come mai il Decreto Minniti incarica il responsabile di struttura o del centro come “pubblico ufficiale ad ogni effetto di legge” e affida “poteri straordinari ai sindaci per agire repressione e ‘confine urbano’ alle marginalità sociali”.

Di noi parlano e diventa necessario che siamo noi a parlare. Nel 2009 il pacchetto sicurezza Maroni voleva obbligare i medici e tutti gli operatori sanitari a denunciare alla forze dell’ordine gli irregolari che si rivolgevano al pronto soccorso per cure mediche. Questo scatenò la protesta di decine di migliaia di personale medico, infermieristico, dei servici sociali e sanitari che dichiarò incostituzionale quel decreto.

Siamo di nuovo al punto di partenza, ma questa volta tocca a noi a opporci a chi vuole creare un esercito di delatori al servizio del regime neofascista. Non lasciamoci distrarre: l’emergenza non è la crisi dei migranti, l’urgenza è la nostra a considerarci come classe lavoratrice, con le nostre professionalità e le nostre competenze oltre che con la nostra consapevolezza sociale, politica e umana.

Incontriamoci.

Che la morte di John Kenedy, diventi il nostro urlo di diserzione da questo sistema. Senza di noi il sistema crolla, con noi il sistema vive… questa significa che possiamo decidere come farlo vivere.

Stiamo organizzando una fiaccolata per la morte di John Kenedy, che vuole diventare un urlo di lotta e di coesione dei lavoratori del sociale. Questa morte non deve restare sulle spalle di un solo educatore di quella struttura, questa morte avrebbe potuto toccare tutti noi e lo sappiamo bene, questa morte ci appartiene.

Appuntamento Giovedì 30 Marzo alle h. 18:00 in Piazzale Kennedy.

Invitiamo tutte le realtà, gli operatori e la città a scendere in piazza.

OPERATORI X

RETE NO BORDERS GENOVA

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