Nell’Irlanda della miracolosa ripresa, il 30% della popolazione è a rischio povertà, il 10% ha lasciato l’isola per emigrare all’estero, e il 40% dei bambini ha sperimentato condizioni di deprivazione materiale. Perché l’Irlanda non è un modello da seguire, né per la Grecia né per gli altri paesi europei: lo spiegano Michael Taft, di Unite the Union Ireland/Greek Solidarity Committee, e più di 100 accademici irlandesi. All’articolo, infatti, segue un appello a sostegno della lotta della Grecia contro l’austrity

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In tutta Europa l’Irlanda viene presentata come un esempio da seguire per la Grecia. L’Irlanda si è sacrificata, si è impegnata in modo costruttivo con la Troika, ha perseguito politiche per la crescita, e ha superato la crisi, diventando l’economia con la crescita più rapida – o almeno così ci viene raccontato. Questa retorica profondamente inesatta, tuttavia, si basa su molti fraintendimenti e ancor di più su una serie di omissioni.

La Troika

È vero, il rapporto dell’Irlanda con la Troika non era controverso; e per validi motivi. Quando la Troika è venuta in Irlanda non ha dovuto imporre un programma, predisporre editti economici o emanare alcun decreto. Il governo irlandese aveva già perseguito il programma della Troika – anni prima che le tre istituzioni arrivassero nel mese di dicembre del 2010. Il governo irlandese ha iniziato il suo programma di austerità nel 2008 ed ha accelerato con quattro piani di bilancio altamente deflazionistici nel corso di un periodo di due anni. Nell’autunno del 2010 la Commissione ha proposto altri quattro anni di severa austerità nel suo piano nazionale di risanamento. Quando la Troika è arrivata non c’era alcun bisogno di negoziazioni; hanno semplicemente approvato questo piano a loro congeniale.

Quindi, se l’Irlanda aveva seguito il piano della Troika ancor prima che la Troika arrivasse – perché aveva comunque bisogno di un piano di salvataggio? Il fatto è che l’Irlanda ha avuto bisogno di un piano di salvataggio proprio perchè ha seguito le prescrizioni ortodosse della Troika, ovvero politiche fiscali deflazionistiche combinate con politiche bancarie che hanno socializzato il debito privato. Quando la Troika è arrivata non ha avviato nuove politiche, ma ha finanziato il programma di austerità già esistente, in cui i creditori internazionali avevano smesso di credere. A questo proposito la Troika è divenuta creditore di ultima istanza per finanziare il piano di austerità.

Un piano inefficiente e dispendioso

Negli anni successivi, l’esperienza di austerità irlandese diventerà un caso di studio; vale a dire, passerà alla storia come uno dei piani più dispendiosi ed inefficienti per risanare le finanze pubbliche. Oltre 30 miliardi di euro sono stati ottenuti tramite misure di austerità. I tagli alla spesa pubblica e gli aumenti delle tasse ne costituiscono la maggior parte, e ammontano a oltre il 15 per cento del PIL. In Irlanda, il Nevin Economic Research Institute ha valutato l’impatto di questi tagli di spesa e aumenti delle tasse e ha scoperto che per ogni 3 € di misure di austerità, il disavanzo è stato ridotto solo di 1 €. Che fine hanno fatto gli altri 2 €? Si tratta di danni arrecati all’economia, tramite disoccupazione, povertà, fallimenti di imprese, eccetera.

Solo un terzo del programma di austerità dell’Irlanda ha realizzato quello che si proponeva di fare – risanare le finanze pubbliche. Oltre due terzi delle misure di austerità si sono tradotte in una considerevole distruzione della vita sociale ed economica irlandese.

Il lato oscuro

Questo lato oscuro dell’austerità irlandese viene raramente menzionato nei dibattiti europei o nazionali. Oltre il 30 per cento degli irlandesi vivono in condizioni di privazione secondo l’agenzia statistica del governo. Oltre il 40 per cento dei bambini ha sperimentato la povertà. E, ancora una volta, secondo il governo, una su dieci persone è a rischio di povertà alimentare (cioè soffre la fame).

Mentre le condizioni sociali in Grecia sono conosciute, in Irlanda non lo sono. Secondo l’Eurostat, in Grecia il 37 per cento della popolazione è a rischio di povertà o di esclusione sociale. Il dato non è molto più basso in Irlanda, dove le cifre raggiungono il 30 per cento. Lo standard di vita irlandese, misurato dalla UE, è di gran lunga inferiore alla media europea. In realtà è molto più vicino agli standard di vita greci piuttosto che alla maggior parte degli altri 15 paesi dell’Unione.

Un tasso di disoccupazione in calo normalmente segnalerebbe una ripresa. Ma in Irlanda, questo nasconde un’altra falla sociale, l’emigrazione. Oltre il 10 per cento della popolazione è emigrato dall’inizio della crisi. Per ogni persona assunta negli ultimi tre anni, da quando la disoccupazione ha iniziato a diminuire, due persone in età lavorativa sono emigrate. Un giovane su sette ha lasciato il paese, portando a una diminuzione significativa della forza lavoro locale.

Dati statistici contraffatti

Secondo le statistiche ufficiali l’Irlanda è tornata a crescere nel 2014, ma come ogni studente dell’economia irlandese sa, i dati relativi alla crescita sono altamente sospetti per via dell’impatto delle multinazionali straniere che dominano le attività finanziarie del paese. Il consiglio consultivo sulle finanze (Irish Fiscal Advisory Council) ha recentemente stimato che la metà della forte crescita del PIL del 2014 era di fatto una finzione statistica, mentre la Banca centrale d’Irlanda ha dichiarato che una parte sostanziale della crescita è dovuta alla bassa tassazione di servizi finanziari che non hanno quasi alcun impatto sull’ economia nazionale.

Quando l’economia irlandese viene misurata in modo alternativo, ovvero eliminando l’impatto delle pratiche contabili delle multinazionali estere e della loro estesa evasione fiscale, è possibile vedere come la recessione sia stata molto più profonda e la ripresa molto più ridotta. Quando viene misurata l’economia reale, si vede anche che l’Irlanda soffre di una notevole crisi di indebitamento. Il debito pubblico, in gran parte determinato dal crollo delle proprietà immobiliari e dalla speculazione finanziaria, è del 125 per cento del PIL. Tuttavia, le statistiche ufficiali mascherano questo dato, ed è questo trucco statistico che ha aiutato l’Irlanda ad uscire dal piano di salvataggio e a tornare di nuovo sui mercati.

Il ricorso a paradisi fiscali

La capacità dell’Irlanda di superare la tempesta della recessione e l’austerità è stata rafforzata dalla presenza di multinazionali straniere. La politica economica irlandese è stata a lungo dipendente, troppo dipendente, dall’attività multinazionale. La domanda estera durante la recessione ha contribuito a mitigare la diminuzione della produzione. Il 90 per cento delle esportazioni e due terzi di tutti gli investimenti delle imprese proviene dal settore multinazionale. Tuttavia, la maggior parte di questa attività non ha ricadute sull’economia irlandese. Lo stesso Fondo monetario internazionale ha descritto la piattaforma multinazionale di esportazione dell’Irlanda come “un’enclave”.

Il successo dell’Irlanda nell’attrarre multinazionali, però, va a scapito di altri paesi dell’Unione. L’Irlanda opera con una logica da paradiso fiscale, anche se questa definizione viene negata a livello nazionale. Le imposte sulle società straniere sono molto basse (secondo i dati ufficiali degli Stati Uniti, le multinazionali americane che operano in Irlanda sono tassate al 2 per cento – un’aliquota più vicina al paradiso fiscale di Bermuda che alle norme europee). Inoltre, è relativamente facile trasferire i profitti generati in altri paesi verso l’Irlanda.

L’apparente successo economico irlandese dipende in ampia misura da pratiche fiscali che sono giustamente criticate in altri paesi, e che hanno un costo considerevole sulle entrate di altre economie. Ma il governo irlandese è determinato ad intensificare tali pratiche, e ha già annunciato un ulteriore dimezzamento delle già bassissime aliquote d’imposta.

Un’economia interna debole

Accanto a questa eccessiva dipendenza dalle multinazionali, il settore dell’imprenditoria locale è estremamente debole. Le imprese locali si sono concentrate storicamente nel settore immobiliare e nella finanza, evitando la manifattura ed il commercio. Ad esempio, l’occupazione irlandese nel settore manifatturiero è la metà rispetto alle altre economie europee delle stesse dimensioni.

Le distorsioni della ripresa irlandese sono particolarmente visibili nel campo dell’ immobiliare. Un aumento sostanziale dei prezzi degli immobili residenziali e commerciali (dovuto alle speculazioni edilizie degli investitori) coesiste con una profonda crisi degli alloggi. Ci sono liste d’attesa per le case popolari, i senzatetto aumentano e gli affitti privati crescono 20 volte più velocemente del tasso di inflazione. Quando un uomo senza fissa dimora è morto mentre dormiva all’aperto d’inverno, a pochi metri dal palazzo del parlamento, si è scatenata l’indignazione popolare.

Benefici monetari diversi dal resto della UE

Non solo la Grecia, ma anche gli altri paesi europei hanno diritto a sentirsi danneggiati, dal momento che solo l’Irlanda beneficia di una politica segreta, ma reale, di finanziamento monetario. Nonostante la pratica sia potenzialmente illegale, e certamente osteggiata dalla BCE e dalla UE, l’Irlanda di fatto sta pagando una parte consistente del proprio debito a se stessa. La Banca Centrale Irlandese, infatti, ha rilevato il debito delle note banche Anglo-irlandesi insolventi, i cui eccessi speculativi sono costati all’Irlanda quasi il 20 per cento del PIL. Il governo irlandese, quindi, paga gli interessi sul debito alla Banca centrale, e questo interesse viene poi restituito al governo sotto forma di surplus. Se la Grecia – così come l’Italia, la Spagna ed il Portogallo – potessero beneficiare di un simile accordo, il costo del debito precipiterebbe e faciliterebbe la riduzione del disavanzo senza tagli di spesa e aumenti delle tasse. Ma nessuno vuole parlare dell’accordo speciale ottenuto dall’Irlanda, perché altri paesi vorrebbero poi ottenere lo stesso trattamento.

L’Irlanda è l’Irlanda

Interi settori e comparti sociali sono stati cancellati dalla retorica sulla ripresa irlandese. Molti in Irlanda proclamano con orgoglio: “Non siamo la Grecia”. È vero. L’Irlanda è l’Irlanda. Un paese che ha imparato poco dallo scoppio della bolla speculativa e non ha fatto abbastanza per affrontare la debolezza dei suoi settori produttivi, ignorando i profondi costi sociali imposti al proprio paese. L’Irlanda non solo non è un modello per la Grecia e gli altri paesi europei. Non dovrebbe essere un modello neppure per se stessa.

translated from English: Chiara Bonfiglioli

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Un appello di più di 100 accademici irlandesi: l’austerità ha devastato sia l’Irlanda che la Grecia

Il governo irlandese dichiara periodicamente che la Grecia dovrebbe seguire l’esempio dell’Irlanda: prendere la propria pillola di “austerità” per potersi così “curare”. In qualità di ricercatori che vivono in Irlanda, sappiamo che questa è una dichiarazione fortemente fallace.

Innanzitutto l’Irlanda ha un’economia molto più aperta di quella greca: la recente crescita del PIL irlandese è dovuto soprattutto alle esportazioni di prodotti farmaceutici, per i quali la domanda è rimasta forte. La struttura economica più chiusa della Grecia rende impossibile riprodurre questo fenomeno.
In secondo luogo è ancor più importante considerare che i benefici di questa crescita non hanno toccato la gran maggioranza della popolazione irlandese. Sì, la disoccupazione è diminuita, ma l’emigrazione netta dall’Irlanda è stata maggiore dell’incremento dell’occupazione. Inoltre una grande percentuale di quei posti di lavoro è precario, part-time, insicuro e sottopagato. Il salario medio continua a diminuire: è stato calcolato che un lavoratore su quattro guadagna meno di quanto è necessario per vivere. La percentuale di bambini in povertà grave e prolungata è raddoppiata fra il 2008 e il 2013 a raggiungere il 12%.

Sia gli occupati che i disoccupati hanno sofferto per l’aumento delle tasse (incluse le nuove sulla proprietà e sull’acqua) e per i tagli ai servizi sociali: l’ultimo taglio ha colpito un sussidio per genitori soli, un gruppo che già soffre di molte privazioni.

In terzo luogo, l’argomentazione secondo cui questo “progresso” è stato favorito dalla ristrutturazione negoziata del debito irlandese è fallace: l’accordo del 2013 sulla “cambiale” del debito irlandese ha trasformato il debito leggero (e cancellabile) in debito sovrano, da pagarsi interamente fino al 2053.

In conclusione, la “cura” irlandese è stata parziale, ineguale e, per moti aspetti, illusoria. Essa non costituisce in alcun modo un modello da seguire per la Grecia o per altri paesi. Esprimiamo invece la nostra solidarietà al popolo greco nella lotta per una genuina ripresa economica basata sulla riduzione del debito illegittimo.

Andy Storey, John Geary, Bryan Fanning, Mary Gallagher, Margaret Kelleher, Gerardine Meaney, Dara Downey, Alice Feldman, Jane Grogan, Anne Mulhall, John Baker, Theresa Urbainczyk, Kieran Allen, Ailbhe Smyth, Julien Mercille, Marie Moran, Kathleen Lynch, Mariya Ivancheva, Theresa O’Keeffe, Judy Walsh, Mary Purcell, Maggie Feeley, Mary McAuliffe, Roland Erne, Katherine O’Donnell, Sean L’Estrange, Mary Alacoque Ryan, Mark Price, Kathryn Keating, Tom Murray, Amanda Slevin, Sharae Deckard, Michael O’Flynn, UNIVERSITY COLLEGE DUBLIN; Ciaran Cosgrove, Barbara Bradby, Norah Campbell, Sinead Pembroke, Jude Lal Fernando, TRINITY COLLEGE DUBLIN; Helena Sheehan, Eugenia Siapera, Jenny Williams, Paola Rivetti, Maeve O’Brien, Marnie Holborow, Karen Devine, Eileen Connolly, Antonio Toral, Kenneth McDonagh, Ellen Reynor, Mark O’Brien, Alexander Baturo, DUBLIN CITY UNIVERSITY; Luke Gibbons, Joe Cleary, Peadar Kirby, Ann Hegarty, Rory Hearne, Mary Gilmartin, Bernie Grummell, Colin Coulter, Laurence Cox, Sinead Kennedy, Robert Aiden Lloyd, John Reynolds, Pauline Cullen, Catherine Friedrich, Chandana Mathur, Michael Byrne, Steve Coleman, Jamie Saris, Sinead Kelly, MAYNOOTH UNIVERSITY; Rosie Meade, Piaras Mac Einri, Clare O’Halloran, John Maguire, Colin Sage, Lydia Sapouna, Féilim Ó hAdhmaill, UNIVERSITY COLLEGE CORK; Conleth D. Hussey, Eoin Devereaux, John Lannon, Lee Monaghan, Mikael Fernström, UNIVERSITY OF LIMERICK; Eithne Murphy, Lionel Pilkington, Paul Michael Garrett, Brian O’Boyle, NATIONAL UNIVERSITY OF IRELAND, GALWAY; Michael Pierse, QUEENS UNIVERSITY BELFAST; Goretti Horgan, ULSTER UNIVERSITY; Brian Hanley, independent scholar; Harry Browne, Alan Grossman, Michael Carr, Pat Hannon, James Rock, Michael Foley, Fabian McGrath, Jim Roche, Martin Hanrahan, Richard Fitzsimons, Edward Brennan, DUBLIN INSTITUTE OF TECHNOLOGY; Tom O’Connor, Brian McMahon, Cork IT; Kevin Farrell, IT Blanchardstown; Niamh McCrea, IT Carlow; Martin Marjoram, IT Tallaght; Tom Boland, IT Waterford; Justin Carville, Cormac Deane, Mark Curran, Paula Gilligan, INSTITUTE OF ART, DESIGN and TECHNOLOGY; Maurice Coakley, Barry Finnegan, GRIFFITH COLLEGE DUBLIN; David Hughes, ROYAL COLLEGE OF SURGEONS IRELAND

translated into Italian by Simone A. Bellezza

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