Di seguito viene raccontata un’esperienza, quella del Giardino degli Aromi, che risponde alle esigenze di fasce crescenti di popolazione che esprimono il bisogno di promuovere una nuova sostenibilità urbana, dove dalla possibilità di mettere le mani nella terra, esprimere un nuovo rapporto con il cibo, il suo consumo, la sua produzione e insieme sperimentare forme innovative di inclusione che sappiano concretamente trasformare la fragilità in ricchezza, intesa come il valore essenziale della diversità.

L’Associazione Il Giardino degli Aromi ha, infatti, come scopo prioritario l’inclusione sociale di persone in situazione di fragilità. Ha sede all’interno dell’ex O. P. Paolo Pini (l’ex Ospedale Psichiatrico di Milano), e conta più di 250 soci.
L’area del Parco dell’ex. O. P. Paolo Pini e del Bosco della Bovisasca è da anni a rischio di edificazione e, mentre chiacchieriamo dell’importanza dell’Area Verde da difendere, una delle persone che passeggiano all’interno del Parco del Pini, in carico ai Servizi di Salute Mentale, mi dice: “Le persone fanno i luoghi e i luoghi fanno le persone” pausa, silenzio, poi riprende “Le persone fanno i tempi e i tempi fanno le persone”.
Se penso ai luoghi che l’associazione ha trasformato, insieme a persone di ogni età ed estrazione sociale, aree verdi ridotte ad ammassi di mobili trasformate in orti comunitari, senza barriere tra un appezzamento e l’altro e con aree di sosta amate da tutto il quartiere, mi è chiara questa interdipendenza tra luoghi e persone. Tanto più che i pionieri di questi orti nel 2004 sono stati un gruppetto di ragazzi delle medie che durante l’estate hanno iniziato a coltivare alcune aiuole di ortaggi chiedendo l’aiuto del Giardino degli Aromi. L’area è, infatti, prospiciente a quello che tuttora si chiama “Il Mandala delle erbe” il luogo in cui l’Associazione aveva iniziato la sua attività di coltivazione di erbe aromatiche.
A partire da quella richiesta chi animava l’associazione ha inizialmente assecondato e aiutato i ragazzi per poi imitarli nel recuperare quell’area abbandonata. Oggi gli ettari coltivati sono due tra l’area di Milano e quella di Cormano e le persone che vi coltivano sono circa 200.
L’orto comunitario è diventato nel tempo un momento sempre più importante di socializzazione e di scambio di conoscenze e saperi. La socialità ha coinvolto anche le persone più anziane, anche se si caratterizzano per un forte attaccamento alla propria aiuola, ed ha avuto subito una dimensione più “lavorativa”e “fattiva”, scambi di sementi, piantine e condivisione durante i lavori collettivi. Non l’orticello singolo ma orto partecipato dove creatività e cooperazione possono effettivamente esplorare le potenzialità umane che vanno oltre il conto in banca o il livello di consumo medio a cui ci paragonano. Oltre agli orti sono nati dalle espresse esigenze di questa comunità così vasta i luoghi di sosta, le casette per riporre gli attrezzi, l’impianto d’irrigazione, si sono messi a dimora alberi e arbusti per aumentare la biodiversità urbana.

Disperati di tutto il mondo

Gli Orti Comunitari sono, quindi, una confluenza di persone: portatrici di saperi e consapevoli che stanno realizzando e curando un orto urbano, luogo di incontro, di lavoro, di formazione, di produzione e scambio con il territorio e con chi nella metropoli sogna un luogo accessibile a un’attività dentro la natura. Coltivare l’orto insieme non è ripiegamento su se stessi se nella progettazione come nella partecipazione si pone attenzione a ciò che ci circonda e ci attraversa. Il recuperato di  un rapporto consapevole e orizzontale con la natura che aiuta a ritrovare un equilibrio di pensiero e un ritmo biologico più sereno che è utile non solo a coloro che vivono forme di disagio ma che riguarda tutti noi.
Negli ultimi anni l’orto comunitario, con la crisi economica e l’aumento dei flussi migratori, è letteralmente diventato un luogo di rifugio per senza casa e per migranti che vagano durante il giorno per la città senza fissa dimora.
La comunità dell’orto da occasioni di sosta, socialità e si fa carico, a volte, della loro sopravvivenza. Così nella concretezza dell’orto comunitario si è superata la figura dell’ortista pensionato a cui si affiancato l’ortista migrante, l’ortista disoccupato, l’ortista esodato, l’ortista cassintegrato o in mobilità. Per sempre più persone l’orto diventa una forma se pur parziale di sopravvivenza e un luogo dove valorizzare il proprio “saper fare” e un’occasione per trovare una dimensione di senso, un luogo dove scambiare e per accogliere. La comunità lavora insieme per curare le parti comuni dell’orto ma non solo, si scambia informazioni e si dà lavoro a vicenda: la tapparella da aggiustare, la cantina da svuotare, la cucina da ritinteggiare, ecc…
Ma l’associazione non cura solo i luoghi, cerca di rispondere alle esigenze di chi è in difficoltà con tempi rapidi. Così vi racconto la storia di A. per rispondere al panico e risolvere la situazione debitoria e risollevare talenti sepolti.
A. vive da sola, ha una pensione e le succede spesso di non riuscire ad uscire di casa a causa degli attacchi di panico, spesso qualcuno dei lavoratori dell’associazione, o qualche volontario, la va ad aiutare ad uscire di casa. Non ha la percezione dell’uso delle proprie risorse economiche e si è anche indebitata con le banche in modo pesante. Insieme all’assistente sociale abbiamo lavorato con la Fondazione S.Bernardino che ha tra i suoi progetti – la proposta di forme di sostegno, sotto forma di consulenza e di accompagnamento, per la ridefinizione della situazione debitoria.
Ma A. è stata soprattutto uno dei soggetti promotori del progetto collettivo “la pulce nell’orto” a cui altri in situazione di difficoltà economica hanno aderito.
A. ci ha chiesto di aiutarla a vendere al mercatino dell’usato del quartiere bovisa alcune cose vecchie recuperate dai suoi vicini. Abbiamo appoggiato l’idea e l’abbiamo estesa coinvolgendo altre persone in situazione di difficoltà economica tra cui alcuni migranti richiedenti asilo. I responsabili del mercato ci hanno subito riservato uno spazio gratuito data la rilevanza sociale del progetto stesso. Nella raccolta e organizzazione dell’usato e nell’accompagnare le persone la domenica al mercatino è sta coinvolta tutta la comunità degli ortisti. Oggi il gruppo responsabile del mercatino è composto da persone indigenti, di recente immigrazione in condizioni di grave tensione per l’assoluta incertezza del proprio destino, con la presenza costante di due, tre volontari ortisti e non che aiutano nell’organizzazione del magazzino.
Il banchetto della domenica è segnalato da un cartello in cui vengono specificati gli obbiettivi:
la raccolta fondi per le persone più in condizioni di emergenza.
La responsabilizzazione delle persone in crisi sia psichica che materiale perché trovino un percorso di autonomia e di fiducia evitando l’isolamento.
E’ un po’ come liberarsi in modo positivo dall’eccessiva “consegna” nelle mani dell’assistenzialismo, delegando continuamente ad altri la “ripresa” della propria vita.
Ma la pratica dell’autorganizzazione è difficile da attuare soprattutto per chi ha una rete sociale piccola e a volte poche competenze, per questo è fondamentale che le pratiche di microeconomia vedano il supporto di una comunità di riferimento, da qui lo slogan della “Pulce nell’Orto” “Disperati di tutto il mondo arrangiamoci insieme!” .
Ma il mercatino dell’usato non è l’unica iniziativa portata avanti dall’Associazione Il Giardino degli Aromi stiamo promuovendo un laboratorio che aggiusti biciclette (la pulce in bicicletta), vogliamo realizzare un orto per la vendita diretta che dia lavoro almeno ad una persona; inoltre nel 2010 abbiamo fondato una cooperativa sociale “Aromi a tutto Campo” che è attiva nella manutenzione del verde e propone un catering vegetariano e vegano e attualmente dà lavoro a dodici persone stabilmente più altre collaborazioni occasionali.

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