Giovedì 10 marzo, Mario Draghi è intervenuto in modo deciso per potenziare le politiche di Quantitative Easing (QE). Non solo ha alzato a 80 miliardi al mese il livello degli acquisti di titoli di stato estendo anche l’acquisto a nuovi titoli privati per creare liquidità, ma ha anche abbassato i tassi di interesse di riferimento allo 0.0%. La stampa italiana ha salutato questa manovra con entusiasmo e ha declamato le lodi e il coraggio del governatore della Bce. Ma si è trattato, crediamo, di un coraggio dettato dalla disperazione

Il bilancio di due anni di QE è infatti deludente e i risultati attesi non si sono realizzati, come argomentiamo nel presente articolo. E per di più una nuvola nera si affaccia all’orizzonte: l’insofferenza crescente del potentato economico rappresentato dalle Sparkasse tedesche (e non solo) che mal sopporta la riduzione dei tassi d’interessi se questi diventano negativi. Per il sistema bancario, infatti, tassi d’interesse reali negativi implicano una drastica riduzione degli introiti dell’intermediazione bancaria, in un momento in cui lo scoppio della recente bolla mette a rischio anche le plusvalenze di natura speculativa. E’ facile prevedere un aumento di tensione all’interno del board della Bce. Le avvisaglie di una crisi finanziaria ci sono tutte e Drsghi insiste nel perseverare della sua politica e soprattutto nel metodo finora adottato. Finanziare il sistema finanziario ben sapendo che difficilmente ci saranno ricadute sull’economia reale. Errare è umano ma perseverare è diabolico. Non è forse meglio utilizzare in modo alternativo la liquidità creata? In questo articolo discutiamo la proposta del QE for the people: le sue potenzialità ma anche la possibilità della sua realizzazione.

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Nella prima parte della recente intervista a Commonware, Christian Marazzi si sofferma sul fallimento della politica di Quantitative Easing (QE) adottata dalla Banca Centrale Europea (BCE) e sulla necessità di passare a un QE di tipo diverso, denominato QE for the people. Il ragionamento di Marazzi e dei sostenitori di tale proposta è il seguente:

  1. Il QE ha fallito due volte: a. nello stimolare una ripresa dell’inflazione, 2: nello stimolare la ripresa degli investimenti (il famoso trickle down, sgocciolamento). Gli stimoli (e i risultati) non si sono verificati.
  1. Di conseguenza, sarebbe più utile distribuire la liquidità del QE direttamente ai cittadini. L’effetto stimolo sarebbe sicuramente più forte, impattando direttamente sul moltiplicatore del reddito e quindi sulla domanda via consumi e non via investimenti (che, al limite, se la domanda cresce potrebbero poi accodarsi).

Sull’efficacia economica del QE for the people pochi sono i dubbi. Non solo si registrerebbe una crescita tale da scongiurare, almeno in Europa, il rischio di una nuova fase recessiva già alle porte (in seguito al calo del prezzo del petrolio, alla bomba dei crediti inesigibili delle banche europee – italiane e tedesche in prima fila -, al venir meno del ruolo di locomotiva mondiale della Cina e dei Brics, al rinforzarsi dei venti di guerra che pesano sull’instabilità finanziaria), ma avrebbe anche l’effetto di migliorare la distribuzione del reddito e prefigurare un nuovo modello di welfare se – come argomenta Marazzi . tale politica si prolunga nel tempo sino a configurarsi come una sorta di reddito di base (basic income) dell’ordine di 10.000 euro l’anno.

E si tratterebbe – si badi bene – di un basic income erogato su scala europea, che si aggiunge alle eventuali forme di sussidio già esistenti a livello nazionale (quindi aggiungendo e non sostituendo o tagliando) e, soprattutto, indipendente dai vincoli posti dalle politiche d’austerity in quanto creato da moneta di nuova creazione. L’unica possibile obiezione potrebbe essere i vincoli e gli obblighi giuridici posti dal trattato di Maastricht all’azione della Bce.

Una proposta di politica economica di tal fatta, nella sua semplicità e immediatezza, sarebbe come il classico uovo di Colombo. Non potrebbe correre neanche il rischio di alimentare inflazione, perché ai tempi della moneta puro-segno, dove la liquidità cash (M1) è oramai una quota irrisoria della liquidità globale manovrata e creata dalla speculazione finanziaria, la teoria quantitativa della moneta (cioè il legame diretto tra moneta e prezzi, secondo il quale se la quantità di moneta eccede il livello di reddito, allora si genera inflazione, lo spauracchio degli anni Settanta agitato dai neo-liberisti per contrastare gli interventi di politica economica in nome della maggior di efficienza e di autoregolazione del libero  mercato) non è più valida, a dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che oggi il processo di accumulazione e valorizzazione del capitalismo contemporaneo è strutturalmente diverso da quello fordista – materiale.

Non stupisce quindi che anche autorevoli commentatori di testate di matrice liberista (come l’Economist o il Financial Times – per penna di Martin Wolf o di Wolgang Munchau) alludano alla necessità di un intervento più incisivo del QE, che bypassi il sistema delle banche e abbia effetto in modo diretto sull’economia reale. Come ci ricorda lo stesso Marazzi, il QE for the people non viene mai nominato. Ma il suo spettro si aggira anche nelle stanze del potere o, per lo meno, è oggetto di indiretta discussione. Ne discutono, invece, in modo diretto e lo sostengono alcuni autorevoli esponenti della sinistra europea a partire del nuovo leader del Labour inglese, Jeremy Corbyn. Lo stesso ex ministro delle finanze greco, Yannis Varoufakis, ne ha fatto un cavallo di battaglia nel lancio del nuovo movimento europeo Diem, acronimo di Democracy in Europe Movement, lo scorso 9 febbraio a Berlino.

A fronte di questa situazione vorrei sollevare alcuni nodi problematici da porre all’attenzione del lettore, premesso che la proposta di QE for the people, soprattutto se non una tantum ma persistente nel tempo, volta a creare le premesse di un nuovo modello di welfare europeo fondato sull’erogazione di un reddito di base il più possibile incondizionato (in quanto reddito primario), mi trova del tutto concorde.

1.La prima questione è di ordine economico. L’attenzione degli economisti, soprattutto di quelli più progressisti e radicali, dovrebbe ribadire in modo chiaro e preciso a chi deve essere rivolto il QE for the people. Lo stesso concetto di people è infatti ambiguo in quanto troppo generico. Con tale termine si vuole far riferimento, in particolare, al fatto che la liquidità creata dalla Bce deve essere canalizzata verso l’attività economica reale, intervenendo direttamente sulla domanda di beni. La domanda aggregata è composta principalmente da quattro canali: consumo, investimenti, spesa pubblica e saldo commerciale. E’ facile immaginare che quando l’Economist o il Financial Time auspicano un uso diverso dell’attuale QE hanno in mente soprattutto l’attività di investimento e di export, ovvero il sistema delle imprese. Il rischio quindi è che il QE for the people si traduca in uno strumento di finanziamento dei profitti industriali e solo secondariamente sviluppi un aumento dei consumi comunque finalizzato alla realizzazione dei profitti monetari e dell’export intra-europeo del sistema delle imprese.

2.La seconda questione, connessa alla prima, è di ordine politico. Esistono oggi in Europa movimenti e forze politiche in grado  di indirizzare nella giusta direzione il QE for the People, ovvero a finanziare il reddito delle fasce più povere della popolazione (migranti e profughi compresi), rinnovando così il sistema di welfare, garantendo a tutte e a tutti la possibilità di accedere a quei beni comuni materiali e immateriali di cui oggi sono espropriati e sotto il cappio delle politiche d’austerity, delle politiche di privatizzazione e dello sfruttamento della condizione lavorativa?  Detto in altri termini, ci sono oggi in Europa le condizioni politiche perché la proposta di QE for the people possa essere declinata come arma di distruzione dell’austerity e non sia semplicemente un modo intelligente per finanziare ancora una volta, seppur in modo nuovo, il divenire rendita del profitto? A meno che, con un’azione di forza altamente persuasiva,  non si riesca a costringere Draghi e il board della BCE a operare diversamente ….. e a firmare seduta stante l’attuazione del nostro QE for the people!

Al momento attuale non sembra che ci sia né che si profili all’orizzonte una capacità di contrattazione e capacità conflittuale a livello politico tale da imporre la nostra idea di QE for the people e non quella annacquata che viene perorata dalla pagine dell’Economist e del Financial Times, probabilmente compatibile con il mantenimento dei vincoli di bilancio e economici imposti dalla Troika e dalla stessa austerity.

Ancora una volta, una buona e saggia proposta rischia di rimanere nel campo dell’empireo teorico-propositivo senza avere gambe autonome e proprie per la sua realizzazione pratica.

La realizzazione di una alternativa, anche piccola e non sistemica, richiede in questa fase politica e in questa Europa un minimo grado di autonomia e indipendenza rispetto alla governance autoritaria economia e sociale che oggi ci domina, soprattutto nella sua fase di sperimentazione e avvio.

Se si vuole perseguire un’Europa del comune contro l’Europa dell’Austerity, se vi vuole costruire un’Europa dell’accoglienza contro l’Europa dei muri, se si vuole pensare un’Europa della libertà e dell’autodeterminazione sociale al di là di ogni appartenenza nazionale contro l’Europa dei nazionalismi e della negazione della democrazia, non è più sufficiente dichiararlo o declamarlo. È necessario attivare subito pratiche di sperimentazione di queste forme di alternatività.

Cominciamo quindi a praticare forme di sperimentazione di autonomia, di cui già, per esempio, l’Italia e una città come Milano sono ricchi. Se è possibile costruire spazi di auto-produzione, auto-organizzazione e autogestione di pratiche alternative, dal consumo (ad esempio, i Gas e le filiere alternative del cibo), alla formazione (corsi autogestiti, anche all’interno di Università), alla cultura, all’arte, alla musica, al teatro  (centri autonomi di produzione artistica, ad esempio il circuito dei teatri occupati ma non solo oggi ancora attivi, Macao, Asilo, Sale Docs, ecc.), alla cura e all’assistenza (es. asili nido e centri sanitari autogestiti), alla produzione alternativa delle fabbriche recuperate (es. Re-Maflow e Officine Zero), molto più difficile è garantire a queste realtà sostenibilità economica e finanziaria, senza dipendere dal lavoro volontario di chi le anima o da finanziamenti random o dagli incassi ottenuti tramite iniziative, benefit o più semplicemente attività di ristoro.

Sono queste le attività che potrebbero e dovrebbero essere sostenute e finanziate da un QE for the people. Ma proprio per dare gambe a questa possibilità, dobbiamo cominciare a creare le condizioni di un QE nostro, autonomo e indipendente da un’attuazione che comunque dipende dai poteri forti europei. E’ per questo che Effimera scommette sulla possibilità di attivare circuiti finanziari alternativi, auto-sostenibili, in grado di per poter aprire processi di esodo costituente: prerequisito, in un futuro prossimo, per aprire spazi di interlocuzione politica anche a livello istituzionale.

 

Immagine in apertura: Matthew David Powell da Flickr

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