Come ci si rialza, come ci si riprende dalla atonìa seguita alla vicenda greca, come innescare un sovvertimento che risponda a un diffuso e inespresso desiderio di rivalsa e alla spinta che viene dall’affettività comune, reazione di forza superiore e contraria alla frammentazione imposta attraverso gli stati d’eccezione e le logiche individualiste neoliberali? Per questo è importante capire che cos’è successo in Francia, quale è stato il processo che ha portato il paese, nel giro di pochi mesi, a rovesciare completamente la cappa dello stato d’emergenza introducendo l’effervescenza del movimento #nuitdebout che resiste da due mesi a questa parte a partire dalla piazza simbolo della repressione emergenziale di Valls e Hollande, Place de la République. Pubblichiamo dunque l’ottimo intervento che Davide Gallo Lassere ha fatto al Piano Terra di Milano, giovedì scorso, portando una testimonianza diretta da Parigi. La discussione si è articolata guardando all’appuntamento del 15 maggio, che, ricordiamo, a Milano è fissato in Piazza XXIV maggio, #nuitdebout Milano, dalle 19.30. A Roma dalle ore 17 al Phanteon, a Torino dalle ore 23 .00 in Piazza Vittorio Veneto, a Genova dalle ore 18.00 in P.za Rostagno, a Padova dalle ore 17.00 in via VIII Febbraio, a Napoli Piazza San Domenico dalle ore 19.00, a Messina, invece, il 14 maggio, in Via Peculio Frumentario dalle ore 22.00 (per non sovrapporrsi alla manifestazione No Muos di domenica 15 maggio).
Data che coincide con il quinquennale del 15M spagnolo e dunque con il tentativo di rilancio globale dei movimenti europei, #globaldebout
* * * * *
Inizierei col sottolineare il fatto che intrattengo un semplice rapporto di semi-internità rispetto a Nuit debout, nel senso che dal 31 marzo vado regolarmente a Place de la République, tra le 3 e le 5 volte a settimana, seguo i dibatti nelle Assemblee Generali – in particolare i momenti di restituzione e di sintesi –, partecipo a delle commissioni (economia politica, azione collettiva, internazionale ed Europa), organizzo dei dibattiti, per esempio sul reddito di base assieme alla “Coordinazione degli intermittenti e dei precari”, e prendo parte a delle iniziative di blocco, di disturbo o di solidarietà che partono da Place de la République per andare aldilà di Place de la République (ve ne sono in continuazione, e di diversa natura). Ma non sono il referente o il porta-parola di nessuna commissione (ve ne sono circa ottanta oramai, suddivise in commissioni strutturali e tematiche), così come non mi sono implicato direttamente e in continuazione all’interno di una commissione in particolare, anche se poi magari, se volete, possiamo parlare dell’organizzazione degli incontri del weekend scorso con gli internazionali. Tutto ciò per dire che mi limiterò ad apportare, questa l’intenzione perlomeno, qualche elemento di riflessione generale, in modo da poter affrontare al meglio la discussione, che, immagino, finirà per concentrarsi soprattutto sull’Italia e sul lancio di Nuit debout a Milano e altrove questo weekend.
Mi pare che la prima cosa da porre in risalto per comprendere la mobilitazione in corso in Francia – con tutte le sue specificità, in particolare, e insisterò molto su questo punto, per quanto attiene all’articolazione tra le proteste contro la legge-lavoro (che vedono implicati in prima linea studenti, lavoratori e sindacati) e Nuit debout (la cui composizione è più mista) – per comprendere questa mobilitazione è importante ricostruire le coordinate spazio-temporali della crisi globale scatenatasi nel 2007-08 e del ciclo di lotte che l’ha accompagnata (sequenza greca, primavere arabe, Indignados, OWS, proteste brasiliane, turche, etc.). Bisogna cioè contestualizzare la mobilitazione in un quadro più largo, mostrando come “il lungo marzo francese”, se vogliamo chiamarlo così riprendendo una formula di Giovanni Arrighi, è tale non solo perché si prolunga aldilà del 31 marzo, ma anche perché affonda le proprie radici in una storia recente che lo precede. In particolare, per quanto riguarda la Francia, credo che i due fenomeni seguenti abbiano giocato un ruolo davvero cruciale nel “prima Nuit debout”: le rivendicazioni sindacali dello scorso autunno, e la cappa che ha soffocato lo spazio pubblico nazionale – e parigino in particolare – in seguito agli attentati di gennaio e novembre 2015.
Da un lato, mi pare che le quattro manifestazioni che hanno scandito la fase espansiva del mese di marzo (il 9, il 17, il 24 e il 31 marzo) hanno fornito una forma collettiva e quasi-unitaria ai conflitti settoriali di Goodyear, Continental, Air France, etc., dando luogo a una sorta di climax ascendente culminato con la giornata del 31 marzo – giornata in cui prima sono scese in strada un milione e mezzo di persone, di cui un milione a Parigi, e giornata che ha inaugurato la Nuit debout. A tal proposito, l’entusiasmo con il quale è stata sottoscritta la petizione online contro la proposta di legge El Khomri tra fine febbraio e inizio marzo costituisce un momento emblematico di giunzione. Dall’altro, ciò che è veramente notevole con Nuit debout è la trasformazione che è riuscita ad imprimere al dibattito e allo spazio pubblico francese. Jacques Rancière, un filosofo allievo di Althusser, l’ha sottolineato chiaramente in un’intervista tradotta in italiano da Dinamo Press e rilanciata da Euronomade: Place de la République è passata da luogo della sofferenza e del lutto collettivo, da luogo di una gioventù ferita ed impotente, a spazio di discussione e di azione politica, a punto sociale e geografico di una soggettivazione politica che mira a rimettere in causa non solo la legge El Khomri, ma delle fette intere del mondo esistente (e, di nuovo, questa sensazione di debordamento del quadro era già molto presente nelle Assemblee Generali universitarie e “interlotta” che hanno costellato il mese di marzo). Mi sembra che anche qua il sito http://www.onvautmieux.fr/, messo in atto dal collettivo omonimo e divenuto virale verso la metà del mese di febbraio, costituisca una sorta di ponte (di nuovo, quindi, come con la petizione online, metà febbraio come momento di passaggio…), nella misura in cui, in linea con la crescita della contestazione nei luoghi di lavoro, ha impresso il passaggio da una narrazione delle esperienze vissute ruotanti attorno al dolore per le vittime, al cordoglio e alla paura del terrorismo verso il racconto delle discriminazioni quotidiane sul luogo di lavoro: maltrattamenti e soprusi vari, richieste extra-contrattuali, orari eccessivi, vessazioni, paghe irrisorie, discriminazioni razziste e sessiste, etc. scatenando così quella presa di parola, così diffusa sulla piazza, che ha provocato un’affettività e una volontà di azione comuni.
Questa piccola doppia premessa semplicemente per dirvi come l’effervescenza di questi ultimi due mesi non nasca dal nulla, che vi erano già lì diversi tasselli che non configuravano ancora una trama, ma che hanno senz’altro preparato l’atmosfera. Anche il film stesso di Ruffin, Merci patron !, ha cominciato ad essere proiettato a metà febbraio. E questo documentario assieme alle vertenze sindacali e ai video di #onvautmieuxqueça rappresentano a mio modo di vedere degli episodi di riscatto, ciascuno paradigmatico a modo suo, che hanno iniettato un desiderio di rivincita capace di allontanare al contempo il sentimento d’impotenza.
Ricordare questi elementi di continuità (per quanto riguarda il mondo del lavoro) e questa evoluzione della Piazza e del sentire cittadino (dall’unità nazionale soffocante del dopo Charlie Hebdo e dalla buona accoglienza riservata allo Stato d’emergenza alla disillusione nei confronti del sistema politico in vigore), ricordare questi elementi, l’ascesa della conflittualità sindacale e la politicizzazione di una parte della cittadinanza, non è innocuo in quanto la specificità della mobilitazione francese rispetto a quanto successo nella maggior parte degli altri contesti nazionali dopo il 2011, a parte la Grecia forse, comporta la messa in evidenza dell’azione reciproca, molto forte a mio avviso, che sussiste tra lotte salariali e rimessa in causa più generale dell’esistente, tra critica dello sfruttamento e critica del dominio, in fondo, tra critica del capitale e critica dello Stato, nella sua duplice forma di critica della delega e di critica delle violenze poliziesche, che è proceduta in parallelo con l’inasprimento della repressione – poi se volete ci ritorniamo, in quanto è un tratto sempre più distintivo. (Se ne parla forse di meno, delle manifestazioni, ma sono a mio parere, e non solo mio ovviamente, davvero centrali, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: ve ne sono state otto tra il 9 marzo e il 1° di maggio, ve ne è stata una il 12 di maggio, non all’altezza delle attese, e già altre due sono annunciate per la prossima settimana). Questa azione reciproca, appunto, è in opera anche tra il carattere di massa e via via più risoluto delle manifestazioni (è davvero interessante considerarle politicamente nella loro evoluzione) e l’occupazione (simbolica o meno) delle piazze – a Parigi, per esempio vi è accordo con la prefettura, non si tratta quindi di un’occupazione vera e propria (poi, se volete, ne discutiamo). Le manifestazioni rappresentano a mio modo di vedere una delle condizioni politiche decisive della durata e della riproduzione di Nuit debout, mentre Nuit debout si configura come la principale condizione materiale della ripresa delle manifestazioni (soprattutto a Parigi, dove c’è carenza di spazi sociali condivisi). Nuit debout, dunque, come luogo sociale e geografico verso cui convogliare le energie per continuare a incontrarsi, a dibattere, a confrontarsi, a organizzarsi e a lanciare delle iniziative ulteriori: delle azioni di solidarietà materiale contro le espulsioni abitative, delle azioni di distruzione delle gabbie che impediscono la costruzione degli accampamenti per i migranti, delle azioni di sostegno alle occupazioni dei teatri occupati da parte degli intermittenti e dei precari, delle azioni di intralcio delle messe in scene politicanti, di blocco della logistica e dei consumi, etc. etc. Nuit debout, insomma, come luogo estremamente fluido, non soltanto in termini di composizione soggettiva, ma anche come spazio dai confini in mutazione permanente.
Dal mio punto di vista, Nuit debout è molto più interessante come sintomo che per la forma e i contenuti espressi; ossia come apertura di una breccia, come squarcio nell’immaginario e come soglia di una potenziale nuova fase, piuttosto che come fenomeno in sé di sperimentazione di pratiche di democrazia partecipativa. Perché come sintomo? L’attivazione che ha diffuso Nuit debout e Global debout, nonostante tutti i dubbi di un tale lancio, ci consegna una doppia indicazione: primo, il fatto che il momento critico-negativo, il momento destituente, il momento della critica dell’esistente deve essere puntellato, supportato e integrato da una perspettiva più ampia, positiva-propositiva, una perspettiva che sappia integrare un momento istituente; e secondo, il fatto che lo sfasamento tra internazionalizzazione della governance e localizzazione delle lotte, tra deterritorializzazione dei flussi commerciali e finanziari e territorializzazione dei conflitti debba essere colmato in qualche modo – più facile a dirsi che a farsi – attraverso un’armonizzazione delle temporalità delle lotte e dell’auto-organizzazione delle diversità degli spazi. Per quanto concerne il primo punto, l’enorme dibattito sui beni comuni e la proliferazione di pratiche di auto-governo e di produzione alternativa che hanno connotato gli ultimi quindici anni sono lì a mostrare che ciò che sta succedendo in Francia in questi mesi entra in forte risonanza con quanto è già presente da diverso tempo ormai. Per quanto riguarda il secondo punto, il bisogno, venuto, mi pare, soprattutto dalla Spagna e dall’Italia, di sollecitare e di rilanciare l’organizzazione di un Global debout, che poi sarà soprattutto un tentativo di costruire un Europe debout, mostra la coscienza della necessità di articolare, dopo quindici anni di crisi, una pluralità di piani di risposta, una pluralità di livelli geografici e istituzionali per contrastare gli attacchi delle ristrutturazioni neoliberali delle società.
Ora, aldilà delle molteplici perplessità che potrebbero sorgere spontaneamente, mi limito a qualche breve constatazione. Bisogna innanzitutto registrare la larga presenza di italiani che sono venuti a Parigi il 7-8 maggio, in particolare la rete dello sciopero sociale transnazionale; vi erano pure molti spagnoli, legati alla sinistra di Podemos e, soprattutto, alle esperienze delle coalizioni municipaliste; e, a partire dalla domenica, i tedeschi della rete Blockupy. I francesi, tanto per il lato Nuit debout delle altre città, che per quello dei militanti e attivisti delle regione parigina, hanno risposto con meno entusiasmo. Senza entrare nei dettagli, credo di nuovo che ciò resti sintomatico. I nuitdeboutisti francesi, di fatto, non hanno veramente sentito il bisogno di federare le differenti esperienze su scala nazionale, almeno per il momento: questo appello non li ha colpiti al cuore. I militanti e gli attivisti parigini hanno sostanzialmente disertato il weekend. I tedeschi, invece, hanno privilegiato l’appello nazionale di sabato 7 lanciato in precedenza dalla rete Blockupy piuttosto che il weekend parigino, anche se durante l’incontro di Berlino hanno comunque sia dibattuto dell’organizzazione del Global debout di questo weekend, alfine di generalizzare il grosso lavoro che dalla cosiddetta crisi dei rifugiati i movimenti sociali, le associazioni e la società civile tedesca stanno compiendo su scala nazionale. Gli spagnoli, mi sembra, hanno colto l’occasione del quinto anniversario del 15M e delle nuove elezioni per rilanciare le mobilitazione e per interpellare Podemos, che si trova in un momento di difficoltà. Mentre gli italiani, di nuovo, mi pare che vedano nel lancio di Nuit debout lo strumento per catalizzare il malumore crescente della popolazione nei confronti del salvatore della patria, dei suoi avversari e delle false alternative, movimento cinque stelle incluso. Tutto ciò per dire che il quadro, molto complesso, rimane anche largamente frammentato e che Nuit debout, in sé, non è un fine, ma dev’essere tutt’al più un inizio, in quanto la convergenza delle lotte è ancora lontana dal realizzarsi, in Francia come altrove…
Ultime considerazioni e concludo. Per capire bene cosa sta succedendo in Francia e le fasi altalenanti che hanno caratterizzato questi mesi di marzo e aprile, credo che bisognerebbe insistere su diversi elementi; ne menziono quattro in modo molto lapidario, da tenere a mente per capire la mobilitazione francese, e che possono fornire degli spunti di riflessione:
- la centralità che il salariato e il sistema welfaristico classico mantengono tutt’ora in Francia come istituti attraverso i quali avviene l’inserzione sociale (questa è una specificità tutta francese, la quale cela senz’altro un razzismo strutturale, perché ad essere esclusi dal salariato e dal welfare classico sono proprio i soggetti post-coloniali);
- la crisi del Partito Socialista dopo le promesse elettorali tutto sommato galvanizzanti del 2012 e la strategia pericolosa di Valls di un neoliberalismo sempre più autoritario, disastrosa nell’immediato e terribilmente inquietante per il futuro prossimo, che può rivelarsi masochistica per il Partito Socialista a breve termine, ma che deve invece essere considerata e valutata come una strategia di medio raggio;
- la presenza trainante di giovani e giovanissimi durante le manifestazioni, che hanno toccato punte di conflittualità di un’intensità decisamente elevata, e che sono ciononostante riuscite a contagiare positivamente settori normalmente più restii della popolazione e della sinistra tradizionale a certe forme di manifestazione del dissenso;
- la fondamentale assenza, pesante e sintomatica, dalla mobilitazione della gioventù segregata e razzializzata dei quartieri popolari e delle cités, che costituisce il vero nodo da districare in Francia da oltre un decennio ormai e che rappresenta il vero filo conduttore tra le rivolte delle banlieue del 2005 e gli attentati del 2015.
Scrivi un commento