#omaggio a Toni Negri 11

Aprile 2004, nei pressi della stazione di Venezia, arriva una telefonata: “Sta arrivando Toni. Vi fermate a cena così lo conoscete?”. All’altro capo del telefono Giorgio Agamben, del quale stavamo seguendo il corso del venerdì mattina allo IUAV, arrivando la mattina presto con il treno da Milano, e di cui eravamo presto diventati amici. Non ci pensiamo due volte, facciamo un rapido dietrofront e torniamo verso Campo San Polo. Troviamo Giorgio e Toni in un bacaro, avevano già preso una bottiglia di Prosecco e aspettavano “i milanesi”.

Ricordo con grande emozione questo primo incontro, in cui parlammo per ore; avevo letto Impero poco dopo essere stato a Genova e alcune cose non mi tornavano (ricordo ad esempio la discussione sulla scomparsa dello stato-nazione), e finalmente avevo l’occasione per discuterne direttamente con lui. Quel tardo pomeriggio si trasformò in serata inoltrata e la discussione proseguì, tra un bicchiere e l’altro. Toni mi chiese se conoscevo un folle geniale, tale Alex Foti, che si era inventato con altre persone la Mayday, il primo maggio precario… voleva  sapere cosa diavolo stavamo combinando a Milano. Due cose mi colpirono, e le ho sempre ritrovate nei successivi incontri, pubblici o privati: l’ascolto e l’attenzione mista a curiosità nei confronti delle persone con cui si relazionava (all’epoca noi eravamo studenti poco più che ventenni), e poi, la potenza e la passione delle sue parole.

Negli anni seguenti ho avuto modo di rivederlo in diverse occasioni: ricordo di aver sempre cercato il confronto rispetto ad alcune cose che non mi convincevano del tutto, ad esempio l’annosa definizione di “lavoro immateriale”, che a noi del giro di San Precario risultava un po’ indigesta. Su questo argomento organizzammo un incontro nel 2008 in un centro sociale milanese (Pergola) in cui  Toni si confrontò con noi sulla composizione precaria del lavoro e sulle possibili forme di organizzazione e lotta. Intanto l’onda della Mayday e di San Precario cresceva, c’eravamo messi in testa di organizzare gli Stati Generali della Precarietà e di lanciare il primo sciopero precario. Invitammo nuovamente Toni a Milano per discuterne: ricordo che in un’affollata assemblea al Teatro “I” disse che San Precario era ormai diventato un’istituzione del Comune, lasciandoci quasi spiazzati considerato ciò che pensavamo delle istituzioni… Più tardi, a casa di Cristina e Andrea, Toni chiarì cosa intendeva per “istituzione”, e il legame che questa aveva con un’idea di contropotere (ad altre latitudini si sarebbe detto “praticar autonomia”). In seguito ci ritrovammo ancora a discutere intorno all’idea del comune, cercando convergenze per leggere e affrontare il presente con gli strumenti dell’intelligenza collettiva. Nelle numerose conferenze, dibattiti, assemblee ricordo sempre Toni seduto a confrontarsi e ad ascoltare per diverse ore, a suo agio nelle aule universitaria, nei centri sociali, nei teatri occupati… sempre con uno sguardo attento e curioso.

Quando un sabato mattina di metà dicembre è arrivata la notizia della morte di Toni, la tristezza è stata grande. Allo stesso tempo tantissime compagne e compagni hanno sentito l’esigenza di scrivere, sentirsi, abbracciarsi, per cercare un senso del noi che ci facesse sentire meno soli.

Ho pensato tanto a lui in questi giorni e, provando a guardare indietro, mi sembra che ci sia un punto che tiene insieme la sua lunga vita comunista iniziata tra gli operai di Porto Marghera: lo studio costante del mondo che ci circonda, con lo scopo non di riprodurlo, ma di trovare gli strumenti, teorici e pratici, per cambiarlo radicalmente. In altre parole, una spinta continua verso la rivoluzione. E quello che mi chiedo, adesso, è proprio come fare, insieme, per essere all’altezza dell’urgenza inquieta e rivoluzionaria di Toni: contro il capitale parassitario, dalla parte della potenza della moltitudine.

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