Serpeggia on line un certo malcontento per le iniziative universitarie a sostegno della libertà di ricerca. Si reclama, cioè, l’impossibilità di un “eccezionalismo universitario” rispetto alla repressione.
Sacrosanto. E, difatti, molte delle iniziative sin qui condotte sono state concordate col Movimento No-Tav (questa una delle principali: http://effimera.org/assai-piu-un-appello-un-dibattito-venaus-sulla-liberta-ricerca/).
La stessa intelligenza collettiva che per oltre un mese ha quotidianamente prodotto critiche all’operato della magistratura, oppure divulgato analisi sullo stato delle libertà politiche in Italia, sta adesso tentando di allargare il “fronte” e includere l’Università tra i territori all’interno dei quali condurre una nuova/vecchia lotta politica e culturale.
Una lotta che contempla certamente la rappresentanza delle istanze dei movimenti territoriali (No-Tav, No Muos, etc.) e quelle relative alle libertà politiche di tutti e tutte. Ma anche una lotta per l’Università.
Una lotta, cioè, finalizzata a riaprire i canali ostruiti tra università e società e ad affermare la responsabilità degli intellettuali “di professione” nei confronti della società stessa
Non possiamo tuttavia nasconderci che questa lotta parte quasi da zero. Parte, cioè, dal ritiro di una quota significativa della popolazione universitaria dal sociale, se non forse per gli aspetti tecnocratici, utili all’amministrazione, alla riduzione del danno e alla sostanziale riproduzione dell’ordine vigente e delle disuguaglianze.
Invertire la rotta non è facile. Ma di certo non è possibile farlo pretendendo che la “coscienza” degli universitari sia lì e che basti un cenno per riattivarla.
Non è possibile, insomma, invertire la rotta senza riscoprirsi orgogliosi della propria funzione sociale di ricercatori e persino senza riconoscersi come “potere” dentro la società.
Senza cioè prendere coscienza, dopo decenni di svilimento della funzione universitaria e intellettuale da parte di governi e opinione pubblica, del fatto che l’Università costituisce il vero “organo epistemologico” dello Stato.
Un potere concorrente e superiore a quello di polizie e magistratura (per definire i quali l’altisonante e forse un po’ ridicola espressione di organo epistemologico è stata originariamente coniata) in quanto impegnato non a reprimere, ma a ridare dignità alle realtà sociali “problematiche” e a quelle criminalizzate, per le quali la risposta più comune è il carcere, la psichiatria o i servizi sociali più beceri e repressivi.
Hanno perfettamente ragione coloro che pensano che il rischio che si cela dietro iniziative a favore della libertà di ricerca siano il corporativismo o la pretesa a un trattamento differenziale rispetto alle forze della repressione. Ma questi stessi compagni e compagne dovrebbero tenere a mente che quella in atto è un’offensiva composta da più livelli e, soprattutto, guidata dall’aspirazione a riportare la società dentro l’università e l’università nella società.
Senza contare che dire libertà di ricerca significa dire anche lotta ai processi di precarizzazione, ai ricatti occupazionali, alle linee guida dei programmi di finanziamento europeo e alla trasformazione dell’università in centro di elaborazione delle politiche sociali ed economiche neoliberali.
Lotta, cioè, ai processi di addomesticamento e conformizzazione della ricerca e dell’etica universitaria, volti alla produzione di un habitus che tutti noi conosciamo.
E’ da un mese che questa lotta va avanti. Ed è tantissimo. La Procura di Torino ha sentito il bisogno di confrontarsi con l’opinione pubblica in merito alla sentenza che ha condannato Roberta Chiroli. Le aree democratiche della Magistratura hanno posto questioni di metodo ai propri colleghi piemontesi. L’Università si ritrova pressoché ogni giorno sui quotidiani a reclamare diritti e a ribadire le proprie ragioni, dopo che per anni ha solo saputo subire supinamente tagli alle risorse e attacchi di ogni tipo.
Ciò che serve adesso è l’intelligenza collettiva e l’impegno di tutti e tutte per rendere questa occasione – quella fornitaci dalle condanne e dalle denunce di queste settimane – quella buona per una ripresa universitaria della lotta all’insegna di un interesse veramente generale, a favore delle libertà politiche e, certamente, contro ogni deriva corporativa.
Ricordando, però, che le consapevolezze, gli interessi e le biografie politiche e scientifiche degli universitari sono molto diverse tra loro e che il cammino inizia pressoché da zero. Una ri-alfabetizzazione politica e scientifica che riguarda dunque tutti noi e che non può fare a meno di includere anche momenti particolari, dedicati innanzitutto a noi stessi.
I compagni e le compagne, i colleghi e le colleghe, che vogliono dare un contributo si mettano in contatto e si uniscano alla lotta. L’occasione è, in un certo senso, storica e non va gettata alle ortiche.
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