Anche il secondo giro di consultazioni si è concluso e non ci sono state novità significative. Rimane dunque in carica il governo di Travicello Gentiloni, senza necessità di un voto parlamentare. L’esecutivo non si limita affatto all’ordinaria amministrazione; procede invece nell’imporre ai sudditi le linee guida indicate dalla Banca Centrale Europea e dalla Commissione.

La legge 7 aprile 2011 n. 39 impone di presentare entro il 10 aprile di ogni anno il Documento di Economia e Finanza(DEF). Vi ha provveduto il ministro Padoan, dopo l’insediamento delle due commissioni speciali (Camera e Senato), presiedute da Nicola Molteni (Lega) e Vito Crimi (5 Stelle), incaricate di procedere all’esame degli atti urgenti. Entro il 30 aprile il testo deve essere poi inviato nella sua interezza per l’esame da parte dell’Unione. Come era facile prevedere fin da subito, i due pretesi vincitori delle elezioni non hanno scelta, debbono accettare la dura realtà, pena la minaccia di violente ritorsioni.

Tutto sommato Gentiloni si presenta, al momento e in attesa di tempi migliori, come il male minore, e anche come l’unica possibilità di temporanea sopravvivenza per questa variopinta compagnia di giro giunta a Roma dopo le ultime elezioni. Lui, placido Travicello, lo ha capito, e i suoi ministri si sono adeguati al nuovo copione, immobili e inutili. Anche l’ambizioso Calenda, troppo spesso sopra le righe, si è ben presto calmato, e ora si limita ad esporre qualche banalità o a tacere come tutti gli altri.

La lettera segreta della Banca Centrale Europea rimane nel frattempo in vigore e dispiega i suoi effetti in barba a Salvini. Gli ordini sono tassativi per tutti. In Italia il reddito di cittadinanza non è consentito, in alcuna delle sue possibili varianti, anche quelle di minor costo. Come spiegano gli economisti embedded, nei loro commenti diffusi dalla stampa di regime, non si può andare oltre il REI (reddito di inclusione), secondo la legge di bilancio già in vigore con decorrenza 1 luglio 2018, dunque fra breve. E tanto meno sono permesse variazioni della legge Fornero in tema di pensioni, se non a carattere peggiorativo, con nuove riduzioni o nuovi tagli. Neppure potranno esservi modifiche in tema di costo del licenziamento, se non con lo scopo di colpire ancora più a fondo il precariato o la massa già intimorita dei lavoratori stabili. L’ordine liberista si fonda sulla repressione del dissenso, sulla paura, quando necessario sul terrore.

Il messaggio è chiaro. Non vi piace come governa Travicello Gentiloni? Preparatevi allora, cittadini e gente del popolo, a qualche cosa di peggio; vi conviene stare buoni, consigliano gli esperti. Il milanese Emilio De Marchi, con il suo celebre Demetrio Pianelli, aveva ben compreso quanto il processo di sussunzione fosse legato alla condizione di infelicità; e ci ha lasciato anche una deliziosa traduzione in versi, ripresa dal testo di La Fontaine, della fiaba di Travicello:

allora i ranocchi con Giove borbottano

che vogliono un re che faccia da re.

 Il re degli dei, per torsi il fastidio

-prendete- risponde e manda la gru

che becca, che stuzzica, che infilza, che storpia:

resistere i sudditi non possono più.

Ma Giove, gridando, pon fine agli strepiti:

ognuno il governo che merita avrà.

Sono ben 19 i decreti legislativi che il governo Gentiloni ha consegnato alla Commissione Speciale; e fra questi anche quello, assai controverso, sulle carceri, oggetto di una richiesta di rinvio avanzata dai grillini per evitare uno scontro imbarazzante con esito incerto. Siamo giunti ormai al termine del primo bimestre della nuova legislatura, e ci stiamo ormai abituando alla situazione di stallo. Non è ancora il Belgio, ma siamo sulla buona strada. La democrazia, spiegano i giuristi accreditati, vive anche senza la fiducia delle Camere. Si susseguono intanto, senza sosta, fantasiose ipotesi e possibili alleanze, senza una logica e soprattutto senza alcuna base di appoggio. La composizione di una nuova maggioranza ricorda, per come ci viene presentata, il gioco delle tre carte; non ci si stupisca dunque se vince sempre il banco, barando o distraendo l’attenzione.

Il quadro è sorprendente. Il Partito Democratico, sconfitto e pesantemente ridimensionato, si proclama forza di opposizione ma al tempo stesso guida l’esecutivo, insieme a formazioni politiche disciolte e scomparse, come quella di Alfano, attuale ministro degli esteri o come quella di Lorenzin, attuale ministro della sanità. Le due commissioni speciali di nuova nomina sostituiscono tutte le cessate commissioni tradizionali e hanno i numeri per deliberare in ogni materia, interna o estera; in questi organismi la maggioranza è in mano alla strana coppia Lega/Cinque Stelle, sia alla Camera sia al Senato. Per costituire le nuove commissioni ordinarie, tuttavia, bisognerebbe prima avere un governo, e questo allo stato pare, se non impossibile, almeno improbabile. Per il momento si avanti così; Travicello Gentiloni galleggia, e in caso di fallimento della consultazione e di conseguenti nuove elezioni sarebbe il primo governo della repubblica rimasto in carica nel corso di tre legislature. Un record.

Il ritenere che la crisi siriana, la riforma carceraria e il DEF 2018 possano essere considerati ordinaria amministrazione richiede una certa disinvoltura, una bella faccia tosta e una sostanziale mancanza di prospettive politiche, a breve o a lungo termine. I singoli dirigenti dei gruppi parlamentari si abbandonano pertanto a commenti che ostentano un perdurante contrasto, una costante ostilità incrociata, invocando ciascuno la guida del paese con la piena consapevolezza di non poterla ottenere. Ultimato lo sfogo lasciano il cerino nelle mani di Travicello Gentiloni e dei suoi silenziosi ministri; loro sanno che la cosiddetta ordinaria amministrazione consiste nel mettere in atto le istruzioni contenute nella lettera segreta della BCE e nei successivi aggiornamenti.

La nuova costituzione materiale va consolidandosi dentro questi curiosi esperimenti di governance creativa. Archiviata la differenza fra destra e sinistra nel minestrone della società civile, cade ora anche la separazione fra maggioranza e opposizione. L&U è troppo piccolina per giocare da sola e viene ammessa solo se si mette insieme al Partito democratico. Sono cinque gruppi in tutto, e si possono applicare le regole del gioco dei quattro cantoni. Estranei e inamovibili rimangono solo Mattarella e Gentiloni, a prescindere dalle temporanee aggregazioni dei gruppi, dei movimenti e dei partiti.

Entra in crisi, complessivamente, il rapporto di fiducia fra le istituzioni e i governati, quel particolare rapporto creato con il mito del suffragio universale. Nella regione catalana la vittoria dei repubblicani autonomisti è resa vana dai provvedimenti della magistratura e dall’esercito monarchico, con il pieno consenso delle istituzioni comunitarie; in Grecia hanno piegato il dissenso con la violenza degli strumenti finanziari. Il limite delle elezioni, chiunque prevalga, sta nel prevalere di leggi interne al ciclo di estrazione della ricchezza, mai votate da nessuno eppure vigenti a pieno titolo, inderogabili.

Certo. Prima o poi la situazione di stallo deve finire e saranno necessarie nuove elezioni. Quale che sia la legge elettorale poco cambierebbe, visto che in ogni caso l’unico programma di governo consentito è quello elaborato dalla BCE e dalla Commissione Europea. L’impegno collettivo pare essere quello di evitare qualsiasi seria azione di disturbo. Anche le organizzazioni sindacali italiane, del resto, evitano di assumere posizioni radicali e tacciono sul formidabile sciopero che sta scuotendo gli equilibri in Francia; sembrano non comprendere che lo scontro con Macron avrà comunque conseguenze straordinarie anche nel nostro paese, nel bene o nel male.

L’aggressione repressiva e l’opzione autoritaria lasciano il segno; nel primo semestre del 2017 l’Inail ha registrato 593 morti sul lavoro, 29 in più del medesimo semestre 2016. Una strage impunita, rivendicata dal potere come un danno collaterale provocato dalle necessità della guerra di classe in corso. Anche questa è ordinaria amministrazione, non sono previsti interventi in favore delle vittime nel calendario del governo in carica. Minniti rimane ministro, elogiato per la fermezza con la quale contrasta i flussi dei migranti e per le omissioni che consentono lo sfruttamento della manodopera clandestina sottopagata, perfino negli appalti delle opere pubbliche. Quanto alla TAV l’unica misura istituzionale è stata quella di licenziare la cattiva maestra torinese e di processare i dissidenti, continuando al tempo stesso a rastrellare risorse per un’opera del tutto inutile. Siamo sempre nell’ambito dell’ordinaria amministrazione.

Il nuovo parlamento si agita, è diviso nell’individuare ciò che va mantenuto e ciò che va cambiato, strilla, pretende. Ma, al tempo stesso, non vuole rompere davvero gli equilibri, non vuole assumersi la responsabilità di uno scontro. In attesa di un futuro che deputati e senatori non sono in grado neppure di sognare, l’unico programma che accomuna i membri delle due camere è quello di lasciare Gentiloni al suo posto per il maggior tempo possibile.

Seregesen senkik jonnek (vengono i nessuno in folla), scriveva il poeta internazionalista ungherese Endre Ady poco prima della rivoluzione d’ottobre. E la folla dei nessuno implora: salvate il soldato Gentiloni!

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