Continuiamo ad approfondire il tema delle monete digitali (o criptomonete) , presentando la traduzione in italiano della relazione svolta da Andrea Fumagalli  al workshop “Algoritmi e capitale”, svoltosi a Londra lo scorso 20 gennaio. In questo intervento, si cerca di delineare alcune caratteristiche che potrebbe avere una moneta del comune come possibile embrione della costruzione di un circuito finanziario alternativo, che sfugga al controllo e alle imposizioni delle oligarchie finanziarie.

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“.. L’importanza della moneta deriva essenzialmente dal fatto che essa è un anello fra il presente e il futuro”[1] (J.M.Keynes)

 “Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo, Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro”[2] (K.Marx)

1. Introduzione. Sul ruolo e la forma della moneta nella nostra storia[3]

La moneta è un’invenzione umana. La moneta non cresce sugli alberi. La moneta  ci dimostra che l’essere umano è un animale sociale. La moneta è relazione sociale. Una relazione sociale che oggi non è paritaria, ma che potrebbe diventarlo. La moneta è la dimostrazione dell’esistenza di una comunità, perché la moneta è frutto di un rapporto di fiducia. Ma la moneta è, soprattutto, potere. Potere di decisione, potere di arbitrio. E oggi è potere capitalistico. Per questo la moneta non è un bene comune. Essa è, o meglio potrebbe essere, dovrebbe essere, un common. Ma oggi più che mai non lo è. Nell’attuale bio-capitalismo cognitivo e finanziarizzato, se una  lotta deve esserci essa dovrà necessariamente essere la lotta per la moneta intesa come common. È lotta per il “comun(e)ismo”.

La moneta ha svolto diverse funzione nella storia dell’umanità. Esiste da subito,  come il fuoco, la ruota, la scoperta dell’agricoltura. Nelle società preistoriche è mezzo di scambio e unità di conto. Mezzo di pagamento per consentire la relazione sociale dettata dall’attività di scambio per la sopravvivenza: la necessità del neg-otium (la dannazione del labor), in opposizione all’otium (il piacere della creatività e dell’ingegno umano). E in quanto tale, unità di misura del valore delle merci scambiate. La moneta è quindi da subito rappresentazione fenomenica del valore. E in quanto tale, espressione di potere nel momento in cui tale misura viene stabilita sulla base di una gerarchia sociale.  Chi decide la “forma” della moneta? Ma soprattutto, nell’antichità come oggi, chi decide il valore della moneta?

La storia della moneta è connessa alla storia dell’umanità, dicevamo. Anticamente, sino alla formazione degli stati nazionali nel 1500 in Europa, la forma prevalente della moneta è la moneta-merce. Il valore della moneta è contenuta nel corpo stesso della moneta. La sua forma (peso) metallica (quindi fisica, sia essa rame, bronzo, argento o oro) ne indica il valore. Si attua così uno scambio tra equivalenti in valore. Un metro di stoffa che, supponiamo, abbia un valore di 10 grammi d’oro, viene direttamente scambiato con una moneta che contiene 10 grammi d’oro. Da questo punto di vista, lo scambio di moneta implica uno scambio rivale e solvibile. Quella specifica moneta di 10 grammi può essere usata solo per quello scambio, in una relazione “do ut des”, merce (stoffa) contro merce (metallo-oro). La moneta è quindi una merce (bene) come tutte le altre.

Secondo Erodoto[4], i Lidi furono il primo popolo a introdurre l’uso di monete d’oro e d’argento e il primo a stabilire “negozi” per la vendita al minuto in località permanenti. Nel momento stesso in cui la moneta metallica si diffonde come mezzo di pagamento e diventa unità di conto degli scambi economici (unità di misura del valore), essa diventa anche espressione di potere. Era infatti chi emetteva la moneta (il sovrano) a determinarne il valore e a esprimere il comando economico. 

In questa fase della storia (euro-mediterranea), la moneta-merce implica una struttura proprietaria (come tutte le merci). La proprietà si estrinseca nel monopolio di emissione (il sovrano). Non vengono ancora agiti i diritti di signoraggio. Sarà con l’impero romano, prima con Nerone e poi con Settimio Severo, che il valore della moneta (Aureo e Denario, rispettivamente in oro e argento) tenderà a non corrispondere più esattamente alla quantità di metallo pregiato utilizzato. Sorgono così i diritti di signoraggio.

Ma sarà solo con la formazione degli stati nazionali europei e il salto di paradigma tecnologico a cavallo del XV-XVI secolo che si assisterà al totale sganciamento tra il valore dichiarato della moneta e la quantità del metallo prezioso contenuto.

Il monopolio di emissione della moneta assume allora le forme di un diritto sovra-individuale e la moneta diventa variabile extra-mercato, controllata a livello istituzionale e non dalla dinamica di mercato. Una volta garantita dal ruolo statuale, che opera non come agente di mercato, ma al di sopra di esso, la moneta comincia a svolgere anche la funzione di riserva di valore e misura patrimoniale. Tale passaggio di fase è, non casualmente, accompagnato dal cambiamento della forma della moneta. Dalla moneta metallica, fondata prevalentemente sull’oro, si passa alla moneta cartacea: ciò significa che il mezzo monetario non incorpora più il valore stesso che dichiara. Come abbiamo ricordato, lo scambio economico “valore contro quantità” era sempre esistito come scambio di puri e diretti equivalenti in merce, ovvero un certo ammontare d’oro contro un certo ammontare di merci. Non è un caso che buona parte dei nomi delle valute in vigore ancora oggi, o sino a poco tempo fa, derivino, etimologicamente, da unità di peso (pound in Gran Bretagna, pesetas in Spagna, lira – da libra -in molti paesi) . Con la garanzia di una governance statuale (quindi istituzionale e extra-mercato privato), lo scambio economico comincia sempre più a caratterizzarsi materialmente come scambio tra un pezzo di carta, il cui valore intrinseco è poca cosa, e un certo ammontare di merce. Ma questo pezzo di carta – la moneta cartacea o banconota – viene garantita da un potere politico superiore che obbliga all’accettazione (fiducia) e ne garantisce il valore virtuale ivi riportato. Tale passaggio genera, tramite il ruolo sempre più importante della Banca Centrale, la possibilità di creare base monetaria in condizioni di monopolio.

Con la rivoluzione industriale e, nel XX secolo, con la Conferenza di Bretton Woods si assiste, così,  al graduale abbandono dei sistemi monetari fondati sui metalli preziosi e sulla inconvertibilità delle monete in metalli preziosi. La crescita degli scambi economici, provocata dalla diffusione del sistema capitalistico di produzione, ha imposto l’uso di monete la cui offerta non risultasse  vincolata dalla limitata disponibilità di metalli preziosi. Inoltre, l’affermarsi di talune monete, sempre più diffuse e accettate negli scambi internazionali, ha reso obsoleto il ricorso ai metalli preziosi per regolare tali scambi. Infine, l’affermazione del biglietto di banca e di altre forme di pagamento svincolate dall’uso di metalli preziosi, si spiega con la praticità dei sistemi di pagamento che non obbligano a trasferire ingenti quantità di pesante metallo prezioso.

Oggi, dopo la fine di Bretton Woods, assistiamo alla completa smaterializzazione della moneta. Il suo valore, convenzionalmente fissato nel 1944 a Bretton Woods nel rapporto di 35$ per oncia d’oro, è decaduto.  Da moneta “merce” e moneta “oro” si passa alla moneta come “puro segno” (Marx), passaggio che, grazie al processo di finanziarizzazione, ha di fatto ridotto il peso dei diritti di signoraggio e anche la possibilità da parte delle Banche Centrali di controllare in toto la massa monetaria in circolazione e il moltiplicatore creditizio e finanziario che ne consegue.

La moneta, tende così a smaterializzarsi del tutto. Oggi la moneta non è più una merce o un bene. Non esiste più un’unità di misura del valore della moneta, come il metro per la lunghezza o il chilogrammo per il peso. A prescindere dal fatto che esistono ancora i monopoli di emissione e i diritti di signoraggio, a prescindere dalla struttura proprietaria, in quanto non più un bene, la moneta non può neanche essere definita bene comune. Con la fine degli accordi di Bretton Woods, il valore della moneta non è più determinato da chi la emette. La sovranità monetaria (nazionale o sovranazionale, che sia), la cui governance è il compito della Banca Centrale, perde sempre più significato.  

2. La moneta – finanza come espressione della comunismo del capitale

Con l’avvento del sistema di produzione capitalista, la moneta diventa espressione del capitale e del rapporto sociale di sfruttamento del lavoro. Con il passaggio dal capitalismo taylorista-fordista al bio-capitalismo cognitivo finanziarizzato, la funzione principale della moneta si modifica. La funzione di credito, tipica di un sistema D-M-D’ (economia monetaria di produzione), dove l’attività di investimento nella produzione di beni richiede una anticipazione monetaria e l’indebitamento degli attori economici (siano essi imprese private o lo Stato), lascia sempre più