Si apre oggi pomeriggio a Milano, a LUMe – Laboratorio Universitario Metropolitano, in via Vittorio Veneto 24, FEMI, Festival dell’Editoria e dalla Musica indipendenti (qui il programma), una “due giorni” di libri e musica aperta all’intera città. Tra oggi, sabato 13, e domani, domenica 14 ottobre 2018, dibattiti, incontri e presentazioni con gli autori e con le case editrici indipendenti, momenti di musica live, dj set in notturna

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Come salvaguardare un mercato editoriale piccolo e sano, ma soprattutto la “bibliodiversità” garantita dal lavoro di editori che operano ogni giorno per far circolare idee e pensieri fuori dal coro della narrazione dominante? E ancora: come tutelare non solo la pluralità e l’eterogeneità dei saperi, ma anche l’insieme di soggetti vivi ( autori, editori, librai, lettori, docenti e bibliotecari) che il concetto di “bibliodiversità” racchiude e il loro ruolo all’interno della nostra società?

Fondamentale è ripartire da quel rapporto diretto tra editore, libraio e lettore che è andato sempre più disgregandosi negli anni. Bisogna creare dal basso una collettività consapevole, una comunità etica di resistenza culturale che abbia come scopo quello di pretendere la qualità e la libera circolazione dei contenuti che i libri trasmettono. E che non si nasconda tra le pieghe del web o viva di brevi entusiasmi d’eventistica occasionale, ma che si coaguli intorno a una concezione del libro come bene comune e che si batta per la sua autonomia rispetto a logiche di consumo avvilenti e degradanti. Se poi molti editori si nascondono dietro l’etichetta di indipendenti, senza fare alcuno sforzo per rivoluzionare lo stato del mercato (anche perché spesso questi sono gli editori che possono contare su una base economica in grado di competere con quella delle grandi catene), alcuni altri stanno lavorando per far sì che il rapporto diretto e la comunicazione con i librai e i lettori diventi il centro del loro operato.

E questo impegno non sta emergendo in maniera univoca. Diverse librerie indipendenti, che hanno puntato sulla figura del libraio esperto e conoscitore dei cataloghi, stanno facendo la differenza soprattutto per i piccoli e medi editori, riacquisendo il ruolo di mediatrici e lavorando sempre più alla ricerca di libri di qualità da proporre ai propri lettori, che stanno ritrovando il piacere di avere una libreria di riferimento e una persona di fiducia in grado di consigliarli.

Quando si è Davide di fronte a Golia, l’unica forma di resistenza possibile è quella di creare dal basso una collettività cosciente del suo ruolo e delle sue azioni. Aggredire le lunghe filiere della produzione e della distribuzione dei saperi non può infatti rivelarsi un mero esercizio di libertà e consapevolezza intellettuale, né può valersi solamente dell’impegno e della passione dei soggetti che, a questo scopo, orientano la propria vita e il proprio lavoro. Conquistare spazi altri di diffusione ed elaborazione dei contenuti non può prescindere infatti dalla creazione di comunità culturali combattive e pronte a sostenere politicamente ed eticamente l’editoria indipendente e i soggetti vivi che la compongono.

Per questo festival come FEMI rappresentano dei momenti fondamentali nella costruzione di una collettività informata, di una rete di contatti diretti che non si limiti solo a contenere dinamiche economiche ostili ma che sappia allargarsi per aggredire le lunghe filiere distributive dei colossi culturali.

Da un punto di vista strategico, eventi come FEMI risultano essenziali nel contrastare le attività di promoting e marketing culturale del capitale: da un lato, infatti, si cerca di portare avanti una battaglia estetico-organizzativa che garantisca visibilità e partecipazione all’iniziativa ( sottraendo pubblico, contestando spazi di diffusione sui social, servendosi dei linguaggi grafici, multimediali ed estetici in modo strumentale)  mentre, dall’altra, si tende a concentrare ed esaltare la natura pubblica, sociale e politica dell’insieme dei soggetti vivi che costituiscono la filiera del libro indipendente. Combattere la logica dell’eventistica da vetrina con momenti ad alta partecipazione e scambio significa contrastare le vuote dinamiche di consumo ed incontro-per-consumo tipiche della società odierna. L’intento politico è chiaro: la presentazione del libro, la condivisione e l’elaborazione dei contenuti, la possibilità di costruire reti e piattaforme, di ramificare ed approfondire concetti e tematiche o ancora di ispirare nuova ricerca risultano essere il vero portato dell’intera esperienza. E seppur tutto questo possa sembrare banale è fondamentale per smarcarsi da pratiche commerciali di passiva spettatorialità, per garantirsi una reale presa sul pubblico (oltre che renderlo partecipe) e far si che l’acquisto di un libro si configuri come l’apice di un percorso inclusivo, comune o come forma di sostegno etico-politica. Portare poi in un unico luogo come LUMe, informale ma non neutrale, librai, editori, autori e pubblico non è mai  cosa scontata: un contesto ontologicamente critico di per sé, nato attraverso la contestazione del sistema vigente e la conquista di una propria autonomia, non può che esaltare le dinamiche dialogiche e d’incontro di cui sopra.

In questa strategia, ricamata da contraddizioni che bisogna saper far valere ( assimilare gli aspetti estetici vigenti in modo strumentale ma praticare contro-cultura), risulta essenziale dotarsi di più linguaggi: di qui la scelta di unire la musica e la scena indie milanese ( ma non solo) per creare connubi di pubblico e di momenti culturali. Per creare ondate e risacche di contenuti, evitando momenti di vuoto, sempre nella logica ambiziosa di potersi battere ad armi pari con l’eventistica edonista dell’industria culturale.

Da un punto di vista teorico invece appare evidente invece la volontà, solita ed intramontabile, di costruire nuove relazioni e saldarne altre, di battere su temi caldi e costruire piattaforme di discussione destinate a non concludersi nell’evento in sé. Riunire autori, accogliere piccoli progetti di autoproduzione accanto a case editrici indipendenti più affermate, coinvolgere blog universitari, adunare massa critica e lasciare che l’accessibilità, la fruibilità, l’attraversabilità e la costruibilità di uno spazio come LUMe, bene comune urbano nella prassi così come nella volontà politica del suo collettivo, faccia il resto.

E di qui il desiderio più ampio di coinvolgere il quartiere e le sue strade, nel caldo ritorno ad una fisicità comunicativa di cui la componente digitale non può che essere semplice precorritrice, per legittimare e dare sostanza ad una presenza politica ed un’azione culturale al servizio della collettività. Gratuita, partecipata e percorribile.

Per questi motivi:

Dobbiamo ricordarci della natura politica, oltre che etica, di un gesto quotidiano come l’acquisto di un libro, del processo di creazione, distribuzione e partecipazione che lo può vedere protagonista, della sua capacità di essere veicolo di idee e visioni altre del mondo in cui viviamo.

Dobbiamo ritornare a popolare di corpi e voci le presentazioni di libri e le librerie di quartiere, per far valere la fisicità dei rapporti sulla digitalizzazione e l’economicizzazione delle relazioni sociali ed evadere all’opera di contaminazione e dominio dei modi di produzione capitalisti sulla società e sulla vita.

Dobbiamo sostenere con pragmatismo e coraggio l’editoria indipendente e l’insieme di competenze, passioni e soggetti che la incarnano per esercitare forme di contro-economia, contro-potere e contro-cultura che abbiano la forza di aggregare ed aggregarsi a settori affini e potenziali lotte ( dal declino del cinema indipendente e di quartiere a quello al del teatro e dell’artigianato, dal precariato grafico e dell’informazione ai subordinati dei nuovi media, fino agli artisti della pittura, della scultura, i performer, i buskers..)

Dobbiamo reimparare a lottare, in tante maniere e modalità, collettivamente e come individui, perché abbiamo bisogno di sperimentare prassi, linguaggi e strumenti culturali che garantiscano al piano politico il sostegno tecnico-teorico di cui ha bisogno

Non solo per evitare di perdere ciò che abbiamo ma perché è necessario, ora più che mai, ricostruire e alimentare le utopie.

 

Immagine in apertura, collage di Laurindo Feliciano

 

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