I risultati delle elezioni francesi ci hanno dato respiro. Le cupe nubi che si addensavano Oltralpe, con un carico di foschi presagi, si sono diradate.

Lo sdoganamento della destra razzista di Vichy, guidata da Marine Le Pen e Jordan Bardella, non ha avuto il tempo di materializzarsi concretamente, a differenza del caso italiano. Questo un primo punto fondamentale. Il tentativo di spaccare i gollisti per dare una patina di rispettabilità al Rassemblement National è riuscito solo parzialmente.

Divergenze tra la destra francese e noi

Diversamente, in Italia, durante il governo Draghi, Fratelli d’Italia all’opposizione ha potuto gradualmente avvantaggiarsi  del logorio della Lega, stretta tra potere e opposizione, e cominciare a lavorare a una bozza d’intesa in grado di coinvolgere Forza Italia, partito in crisi di consenso e quindi obbligato a convergere nella coalizione di Centro Destra. Lo sdoganamento degli ex-missini era cominciato vent’anni prima, con l’endorsement di Berlusconi a Gianfranco Fini ai tempi delle elezioni municipali di Roma del 1993. In seguito, Fini con la svolta di Fiuggi aveva abiurato le proprie origini fasciste, dando origine ad Alleanza Nazionale. La parte più nostalgica e più legata all’ideologia fascista delle origini era comunque rimasta all’interno del partito come gruppo di minoranza.  Solo dopo la decisione di sciogliere Alleanza Nazionale per confluire nel Popolo della Libertà di Berlusconi, il gruppo degli ex-missini (Meloni, La Russa e Crosetto) ha fondato un proprio partito: Fratelli d’Italia.

L’apertura di uno spazio ancora più a destra delle posizioni conservatrici e pseudo-liberali incarnate da Berlusconi ha sviluppato la competizione tra le posizioni razziste e autonomiste della prima Lega e il nascente gruppo di Fratelli d’Italia. Il resto è cronaca dell’oggi.

Nonostante la storia – o forse proprio guardando a questa – in Italia lo spirito anti-fascista non ha mai attecchito in modo decisivo. Per varie ragioni, che non staremo ad elencare, nel nostro paese è sempre esistito un rigurgito profondamente reazionario, pronto ad affacciarsi e a rinvigorirsi nei momenti di maggior conflitto sociale (anni Settanta; periodo No-Global…) come strumento di reazione politico-repressiva. Oppure, all’inverso, in anni più recenti, i settori più conservatori hanno beneficiato della perdita di egemonia culturale del pensiero della sinistra, la quale (non va omesso) si è, con sempre maggior frequenza, allineata ai diktat neoliberisti e tecnocrati. La sirena del populismo sovranista in Italia agisce, dunque, in un campo più largo e duttile di quello esistente in altri paesi europei.

In Francia ha sempre tirato un’altra aria e il vento antifascista, a partire dal dopo Vichy e dalla nascita della IV Repubblica, non ha smesso di soffiare forte, riuscendo a forgiare ormeggi fondamentali contro l’avanzamento ieri del Front National e oggi del Rassemblement National.

Eppure, abbiano temuto che anche qui il fronte nazionalista, populista e di destra radicale potesse sconfiggere pesantemente il fronte repubblicano e democratico.

Al momento il progetto è stato sconfitto. Certo, nulla esclude che tale rischio possa ripetersi in futuro. L’esperienza italiana insegna. E sarà necessario vigilare sulle prossime mosse di Macron. Non è un caso che sia già partito il can can mediatico contro l’“estremista” Jean-Luc Mélenchon con lo scopo di rompere il Nuovo Fronte Popolare.

La sinistra italiana, questa sconosciuta

E per quanto riguarda la sinistra? In Francia, i conflitti sociali hanno influito sui partiti politici, nel bene come nel male, e soprattutto, a differenza dell’Italia, hanno messo in moto fattori di ricomposizione del fronte politico antagonista. Per restare solo agli anni più recenti, Il movimento dei Gilets Jaunes ha iniziato a manifestare nel novembre 2018 e ha continuato per buona parte del 2019. Dopo il periodo Covid, nell’ottobre 2021, in vista delle elezioni presidenziali francesi del 2022, Jean-Luc Mélenchon crea un nuovo movimento, l’Union Populaire. Questo raccoglie le istanze sociale e anti-capitalistiche del movimento dei  Gilets Jaunes: si creano le premesse per dare vita a una forza che raccolga istanze sociali, popolari ed ecologiste, la Nupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale). Al suo interno il partito de La France Insoumise (nata nel 2016) di Mélenchon svolge un ruolo fondamentale. Un progetto che (nonostante oggettivi inciampi) ha creato le basi per l’odierno nuovo patto in occasione di queste elezioni: il Nuovo Fronte Popolare è l’esito di questa storia.

Occorre notare che in Spagna, sempre nel 2023, si è presentato un nuovo cartello di forze che ha unito le forze alla sinistra del Partito Socialista Spagnolo: Sumar, formato da venti gruppi politici di carattere nazionale e regionale, contando anche su sostegni esterni. Nonostante il buon risultato elettorale, la coalizione Sumar non è durata a lungo ma c’è stata e ha ottenuto interventi importanti nella regolarizzazione del mercato del lavoro.

In Italia la situazione a sinistra appare bloccata. L’Italia ha un elevato tasso di sindacalizzazione ma allo stesso tempo di istituzionalizzazione dei movimenti sociali. La parabola neo-liberista del centro-sinistra ha costituito un freno all’emergere di movimenti sociali. È durante i governi di centro-sinistra che sono state varate le peggiori riforme che hanno favorito il processo di precarizzazione del mercato del lavoro (non ultimo il Jobs Act di Renzi). Il tutto è avvenuto senza alcuna opposizione sociale, o con un’opposizione sociale minoritaria molto frastagliata e divisa al suo interno. Una situazione d’impasse, che rende difficile la nascita di movimenti unificanti su proposte serie e radicali sia sul piano sociale che su quello ecologista, in grado di invertire il peggioramento della distribuzione del reddito e delle condizioni materiali della vita. Il diritto all’esistenza su tutti i piani contro un organizzato attacco biopolitico, diventato clamoroso con la pandemia.

L’Italia dopo essere stata il laboratorio europeo per eccellenza nella precarietà del lavoro è oggi tra i principali laboratori della destra europea. Un primato di cui non andare fieri. E non basterà scrivere, o declamare, “facciamo come in Francia”, se non si creano le premesse per una ricomposizione politica e sociale delle forze di sinistra in grado di uscire dalla scivolosa ambivalenza che per troppo (troppo) tempo ne ha caratterizzato la politica. Non ci pare di vedere, da queste parti, movimenti all’altezza della sfida. Per costruire dobbiamo prendere atto di questa fase.

Perciò, guardiamo alla Francia con rispetto e speranza. Perché è da lì, al momento, che ai giovani di questo paese può arrivare un messaggio che inviti a lottare.

 

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