Nello scorso marzo si è svolta la conferenza MoneyLab ad Amsterdam, organizzato dall’Institute of Network Cultures. Dopo il workshop svoltosi il 20 gennaio al Goldmiths College di Londra e l’incontro di metà febbraio nell’ambito del progetto D-Cent, sempre a Londra, è questo il terzo appuntamento europeo sul tema delle monete digitali. Riportiamo in anteprima in italiano (grazie alla traduzione di Lorenzo Fé) un articolo di Jerome Roos, animatore della Roar Magazine (qui nella versione originale), che descrive ciò di cui si è discusso ad Amsterdam. Ricordiamo che sul tema delle monete digitali e in particolare sulla proposta della Moneta del Comune e della creazione di una Istituzione finanziaria del Comune, Effimera sta organizzando un incontro internazionale a Milano il prossimo 21-22 giugno. Ringraziamo Jerome per la pubblicazione.

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Oltre dio e lo stato, è il denaro che comanda. È ancora possibile immaginare delle alternative? E quale ruolo giocheranno in questa lotta le recenti innovazioni come il bitcoin? Non è necessario aderire al post-strutturalismo vagamente oscurantista di Gilles Deleuze per riconoscere che il filosofo francese fece almeno due osservazioni quanto mai profetiche. La prima è la sua ipotesi dei primi anni ’90 secondo cui la società disciplinare, con le scuole, le prigioni e i manicomi che la caratterizzavano, avrebbe cessato di essere la modalità paradigmatica della governamentalità nel periodo neoliberista per lasciare il posto a un nascente “stato del controllo”. La seconda è l’osservazione, correlata alla prima, secondo cui nella società del controllo emergente la forma-moneta assume una rinnovata centralità all’interno della riproduzione delle relazioni di potere del capitalismo. “Oltre lo stato,” ha scritto Deleuze “è il denaro che comanda, è il denaro che comunica. Ciò di cui abbiamo bisogno oggi non è una critica del marxismo ma una moderna teoria della moneta che sia all’altezza di quella di Marx e che parta da dove la sua riflessione si era interrotta.” È interessante notare che Deleuze collegava queste due osservazioni alle catene del debito, che considerava essere la “condizione universale” del controllo capitalista.

Nel suo citatissimo Poscritto del 1992, Deleuze ha affermato che “l’uomo non è più un uomo recluso ma un uomo in debito”. Queste parole profetiche mi sono state ricordate il fine settimana scorso, quando ho partecipato all’affascinante conferenza MoneyLab ad Amsterdam. L’evento, organizzato dall’Institute of Network Cultures, ha coinvolto diverse superstar del panorama intellettuale europeo come Saskia Sassen e Franco “Bifo” Berdardi, assieme a un gruppo variegato e internazionale di studiosi, artisti, attivisti, hacker ed economisti eterodossi, tra cui gli ex collaboratori di “ROAR” Max Haiven e Brett Scott. Lo scopo centrale del pioneristico incontro interdisciplinare era quello di esaminare “esperimenti di revenue models, sistemi di pagamento e valute sullo sfondo del corrente declino economico globale”.

Gli organizzatori hanno creato il contesto appropriato con dibattiti aventi per argomento “la monetizzazione di tutto”, “lo smantellamento della finanza globale”, “oltre il bitcoin”, “una critica del crowdfunding” e “la progettazione di alternative”. In un mondo dominato dalla finanza, un mondo indebitato fino ai capelli in cui la moneta ha a tutti gli effetti assunto la funzione di un significante universale che sta rapidamente sussumendo ogni aspetto della vita sociale e naturale, c’è un disperato bisogno di cominciare a esplorare alternative radicali alla forma-moneta capitalista – non perché le valute alternative possono essere una panacea ma perché chiaramente lo stato e le banche non svolgeranno mai questo compito al nostro posto. Nonostante i grandi progressi tecnologici degli ultimi anni, le invenzioni dei libertari di destra quali il bitcoin non risolveranno i nostri problemi. Per questo c’è un urgente bisogno di analizzare, discutere e scoprire nuovi modi di valorizzare il lavoro, il tempo, la natura e i frutti del nostro lavoro collettivo.

Oltre al rafforzamento dell’emergente network internazionale di studiosi, hacker e attivisti che stanno lavorando a una critica della finanza e allo sviluppo di valute, sistemi di pagamento e revenue models alternativi, forse l’elemento più importante della conferenza MoneyLab è stata la sua stessa esistenza. Infatti, solo cinque anni fa, erano davvero pochi quelli che parlavano seriamente di moneta. Oggi sembra esserci una vera e propria impennata nella consapevolezza (per lo meno nei circoli degli intellettuali e degli attivisti, ma sempre più anche nella popolazione in generale) della natura e dell’importanza della moneta e del ruolo cruciale che le valute alternative e i sistemi di credito mutualistico potrebbero avere nella sovversione del nesso stato-finanza e nella liberazione dal controllo capitalista.

Grazie soprattutto alla critica della finanza globale portata avanti dal movimento Occupy, alla pubblicazione dell’influente libro Debito: i primi 5000 anni, a un rinnovato interesse per una lettura non dogmatica di Marx e all’infaticabile (anche se non molto rivoluzionario) impegno di gruppi per una riforma monetaria eterodossa come Positive Money e la New Economics Foundation, la questione monetaria sembra essersi liberata dal soffocante monopolio di complottisti antisemiti, metallisti libertari di destra e anarco-capitalisti. Finalmente sta prendendo forma un progetto internazionale per cercare e sperimentare alternative concrete, ponendo le basi per un mondo in cui i mezzi di produzione siano di proprietà comune e in cui la forma e la creazione della moneta siano soggette al potere del controllo democratico diretto delle comunità degli utenti.

Anche se è impossibile inserire tutti gli argomenti della conferenza degni di nota in un solo articolo, voglio portare l’attenzione su quelli che secondo me sono stati i punti più importanti, aggiungendovi delle idee da essi stimolate (mi scuso subito per le innumerevoli osservazioni interessanti che mancheranno). Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, spero che approfondiremo maggiormente la questione monetaria su “ROAR”. Come sempre, i vostri contributi sono benvenuti: editor@roarmag.org

1. La moneta è debito

Un punto di accordo tra i partecipanti alla conferenza MoneyLab è la loro adesione a una teoria eterodossa della creazione della moneta nota come “teoria creditizia della moneta”. Concepita a inizio XX secolo dall’economista britannico Alfred Mitchell-Innes e popolarizzata di recente dall’antropologo David Graeber e da think tank eterodossi come Positive Money, la teoria creditizia della moneta si basa su due affermazioni principali. In primo luogo, le origini storiche della moneta non rimandano a una sua funzione di mezzo di scambio in grado di rimediare all’inefficienza del baratto (come sostenevano invece Adam Smith e Karl Marx), ma a una sua funzione di unità di calcolo per varie obbligazioni sociali. In altri termini, la moneta ha creato il debito o, meglio, la relazione debitore-creditore. La moneta non dovrebbe quindi essere vista come una cosa, un oggetto o una merce ma come una relazione sociale. La moneta, infatti, è una relazione di potere tra ineguali, che mette sempre i debitori contro i creditori. In La fabbrica dell’uomo indebitato, Maurizio Lazzarato sostiene addirittura che la relazione debitore-creditore è la relazione di classe fondamentale e che il capitale è il “creditore universale”.

2. Le banche private creano la moneta

La seconda affermazione dei fautori della teoria creditizia della moneta – ripetuta da molti partecipanti alla conferenza MoneyLab e recentemente confermata da un articolo assai discusso della Bank of England – è quella secondo cui una banca crea moneta ogni volta che concede un prestito. La semplicità di tale proposizione provoca spesso incredulità. Le banche private non potranno mica creare soldi dal nulla? La moneta non è forse creata dalle banche centrali, che agiscono per conto dello stato? La risposta è sì: le banche centrali creano moneta, ma la moneta che creano è credito concesso alle banche private oppure è contante – e il contante oggi non costituisce che una piccolissima percentuale dell’offerta totale di moneta.

In America e nel Regno Unito, la moneta cartacea e metallica costituisce circa il 3% dell’aggregato monetario più ampio (nell’eurozona è invece di circa il 10%). La quantità rimanente è moneta-credito “virtuale” che esiste solo nella forma di numeri su uno schermo. La maggior parte di questo denaro compare tramite un trucco di contabilità per cui una banca fa credito a un cliente creando contemporaneamente il relativo deposito.

Gli scettici ortodossi di solito replicano che questa moneta è in ogni caso tecnicamente creata dalle banche centrali, che concedono credito alle banche private le quali “moltiplicano” i loro depositi generando così altra moneta. Secondo questa classica teoria keynesiana della creazione della moneta, difesa strenuamente da Paul Krugman, le banche centrali sono ancora in grado di controllare l’offerta totale di moneta. Tuttavia dati recenti hanno messo in difficoltà questa posizione e l’articolo della Bank of England (BoE) – per quanto non neghi che le banche centrali abbiano tuttora un ruolo importante – afferma chiaramente che “in pratica la creazione di moneta è diversa dalle rappresentazioni erronee in circolazione – le banche non sono semplici intermediari che prestano i depositi affidatigli dai risparmiatori e non si limitano nemmeno a ‘moltiplicare’ i soldi della banca centrale per creare nuovi prestiti e depositi”. Accade invece il contrario: le banche private prendono l’iniziativa concedendo credito e cercano di attrarre nuovi depositi solo in un secondo momento. Per dirla con la BoE: “Ogni volta che una banca concede un prestito, crea un corrispondente deposito nel conto bancario del debitore, creando così nuova moneta”.

3. La finanza non è solo una questione di moneta

Il resoconto appena fatto dimostra chiaramente che la finanza non è solo una questione di moneta – o per lo meno di moneta in quanto cosa. Le banche non sono semplici intermediari che collegano risparmi e investimenti redistribuendo efficientemente il capitale nel sistema economico e perseguendo i rendimenti più alti. Anche se la finanza ha permesso la monetizzazione di ogni cosa, Saskia Sassen ha correttamente precisato che “chi riduce la finanza alla moneta ignora un aspetto fondamentale della faccenda”. Sassen definisce invece la finanza come una possibilità, non necessariamente benigna. La finanza è la possibilità di vendere qualcosa senza averla o, per tornare a quanto detto sopra, di creare moneta e concedere credito senza possederla realmente prima. Ciò conferisce alla finanza un grande potere strutturale e un potenziale enormemente distruttivo: basti pensare al 44% di famiglie greche che oggi vivono al di sotto della soglia di povertà o ai 9 milioni di famiglie americane e al quasi mezzo milione di proprietari di case spagnoli che sono stati sfrattati dalla propria casa dall’inizio della crisi del 2008. Secondo Sassen, la finanza moderna, con i suoi strumenti di debito, i suoi derivati over-the-counter e le sue infinite innovazioni, è fatta di “complicazioni enormi che producono semplice brutalità”.

4. Bisogna cominciare ad “hackerare” la moneta

Da quanto detto, risulta chiaro che per liberarci dalla schiavitù del debito, per democratizzare davvero la società e per creare lo spazio politico e fiscale per alternative di emancipazione radicale, è urgente demolire il duopolio pubblico-privato della creazione di moneta, quel che David Harvey ha chiamato il nesso stato-finanza. L’idea che ciò sia possibile senza attaccare il capitalismo è una pericolosa illusione. Non esiste una economia produttiva “reale” in qualche modo isolata dall’economia finanziaria “virtuale”. Il capitalismo contemporaneo è completamente finanziarizzato in quasi ogni suo aspetto. Prendersela con la finanza significa prendersela con il capitalismo e prendersela con il capitalismo significa prendersela con lo stato capitalista. Chiaramente al momento non abbiamo né gli strumenti né la forza per minare alla base il nesso stato-finanza, per non parlare di distruggerlo e rimpiazzarlo con qualcos’altro. Ma alcuni dei più privilegiati tra noi hanno l’opportunità di cominciare a sovvertire la finanza globale in nuovi modi ludici e creativi.

Questo era l’argomento dell’intervento di Brett Scott, intitolato “Hacking the Future of Money”, in cui l’attivista sudafricano ha sostenuto la necessità di applicare l’etica hacker alle modalità con cui interagiamo con la finanza: cominciare smontando le parti più piccole, studiare il loro funzionamento interno e la loro relazione con le altre componenti e tentare infine di manomettere le componenti centrali allo scopo di esplorare gli effetti di tali interventi. Che cosa succederebbe, per esempio, se eliminassimo il tasso di interesse? Se ci avvicinassimo al full-reserve banking? Se la nostra valuta includesse una demurrage fee automatica (una tassa sulla tesaurizzazione della moneta) che potrebbe essere redistribuita sotto forma di reddito minimo? Certamente “hackerare” la finanza con questi piccoli espedienti non basterà per mettere in crisi il suo potere strutturale in quanto tale, ma “aprire” la moneta e manomettere le sue componenti base sarà un primo passo fondamentale per approfondire la nostra comprensione del suo funzionamento interno e per capire come sovvertire il suo potenziale distruttivo (ma anche le sue possibilità creative) con un intento rivoluzionario.