Raimondo Montecuccoli nacque il 21 febbraio 1609 nel castello di famiglia, sull’appennino modenese. Divenne il comandante dell’esercito imperiale austriaco e fu uno dei grandi protagonisti militari nel secolo decimosettimo: conobbe vittorie e sconfitte, la ricchezza e il carcere. I maggiori successi li ottenne combattendo nelle regioni dell’est europeo, durante le lunghissime guerre per il controllo di quei territori contesi; e fu uno sperimentatore infaticabile, introducendo innovazioni straordinarie sia nell’organizzazione degli eserciti sia nelle tecniche di armamento. Basti pensare che ebbe l’idea di introdurre in battaglia l’artiglieria leggera reggimentale, di rinnovare l’addestramento tattico e di perfezionare i fucili con il sistema Montecuccoli. Si ritirò a vita privata quando la sua fama era al culmine, dedicandosi agli studi e alla scrittura; morì a Linz nel 1680.

Pur se poco noto al grande pubblico viene considerato il più importante scrittore italiano in materia bellica, e uno dei maggiori stilisti del suo secolo; a riproporlo fu un letterato straordinario, il poeta Ugo Foscolo che mise in evidenza le radici ben piantate nell’opera di Machiavelli, l’originalità del pensiero tale da renderlo un classico. La corposa edizione critica dei suoi scritti è pubblicata dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore.

Poiché il rapporto fra guerra ed economia era colto con notevole acume, nel vivo del conflitto e prendendovi parte non da semplice spettatore, abbiamo ripreso, quasi fossero pensieri ed aforismi, alcuni frammenti tratti dalle opere di Raimondo Montecuccoli: denaro e comunicazione, un’occasione per meditare e ragionare al di fuori degli schemi consueti, una proposta di connessione fra la guerra e i temi che tratteremo nel seminario di sabato prossimo, 26 marzo,La guerra dei vaccini: brevetti, sanità, cura”, che si terrà alla Casa della Cultura di Milano.

Qui l’evento fb con tutte le coordinate.

Al seminario interverranno:

Andrea Fumagalli (Università di Pavia, Effimera) – Introduzione

Massimo Florio (Università di Milano): “La privatizzazione della conoscenza: il caso del vaccino NIH-Moderna”

Nicoletta Dentico (Director Global Health Program): “Geopolitica del vaccino”

Vittorio Agnoletto (Medico, docente di Globalizzazione e politiche della salute all’università degli Studi di Milano): “Vaccini Covid, diritto alla salute, profitti e geopolitica”

Lidia Demontis (Ricercatrice militante): “Per una produzione pubblica dei vaccini”

Gianni Giovannelli (Avvocato): “Brevetti e rivoluzione”

Cristina Morini (Effimera) – Introduzione

Roberto Faure  (Avvocato): “L’abolizione del brevetto come progresso giuridico ed economico”

Non Una di Meno Milano: “Sguardi transfemministi sulla salute”

Amelia Trombetta (on line) (Medico e ricercatrice scientifica) : “Effetto del diritto di proprietà intellettuale sull’accesso ai medicinali: la salute pubblica ostaggio delle corporazioni”

Alessandra Fiorencis (Ricercatrice in Sanità): “La privatizzazione della sanità e l’esperienza dell’Ambulatorio Medico Popolare”

Roberto D’Ambrosio (Sindacato di base): “Il caso dell’amianto alla Scala di Milano”

 

Per coloro che non potessero partecipare in presenza: verrà a breve fornito il link al quale connettersi.

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CONSIDERAZIONI SULLA GUERRA    

di Raimondo Montecuccoli            

Trattato della guerra (volume 1^, pag. 144 e seguenti, Roma, 2000)

Qualunque sia la cagione della guerra, ella è colorita col candore della giustizia e del suo mantello ricoperta, dando pretesto all’armi di guerra giusta, la quale per esser giusta, dee avere l’autore, la causa et il fine giusto.

L’autor giusto è il Principe, o quelli che in ciascheduna repubblica tengono luogo di Principe, incorrendo per legge in pena chi privatamente senza approvazione fa pace o guerra.

La causa giusta è di due sorte, cioè diffensione et invasione…. Il fine giusto è quello che non ha proposta la vendetta, la gloria o l’imperio, ma solo la tranquillità e la tutela, e così devesi intraprender la guerra che non paia che si cerchi altra cosa che la pace; per cagion della pace si fa la guerra e per goder l’ozio si soffre il negozio.

Sono parimenti altre cagioni che fanno intraprendere una guerra, benché tutte si ricoprano col manto della giustizia; e dove per rossore non si può direttamente mover guerra ad uno contro il quale non si sa trovar pretesto che vaglia, s’attacca indirettamente assalendo i suoi confederati, sì che sendo obbligato ad aitargli, bisogna che necessariamente muova l’armi; se bene non mancano mai pretesti di colorare onestamente l’impresa contro chi sia, dicendo che egli abbia somministrato aiuto ai nostri avversari o ch’ei sia mal animato contro alla nostra religione o facendo sua propria una lite ch’altro ha contro di lui o entrando in lega co’ suoi nemici.

Nelle sedizioni s’incitano gli animi delli imperiti, con arte varia, il che si applica tal’ora nelle parti, ne’ tradimenti nell’insidie e nelle congiure…vedendo altri ministri di sedizione pronti et accesi s’agisce più audacemente, si pubblica il pretesto della libertà, della religione ed altri be’ nomi e titoli ornamentali, si ricuoprono i vizi col nome della virtù, chiamando fortezza la temerità, desiderio di giovar al publico lo studio d’ingrandir se stesso … né fu mai alcuno ch’ambisse l’altrui dominio che non usurpasse questi stessi vocaboli, rimostrando ch’egli non vuol pigliar l’armi se non per metter in libertà il popolo, e più atti a persuadere sono i cattivi che i buoni …. Co’ primi facilmente concorda il volgo, et in prima i più leggeri e più creduli, i non provvidi del futuro, i più gonfi di vana speranza.

Si comprano con denari e si corrompono i preti e i predicatori che con auguri ed auspici inventati predicano mutationi, nuovi fati, tempi migliori dei passati et il fine delle miserie …. si spargono biglietti là dove non si può giungere con le parole o dove essere l’autore è pericoloso … si crea per amore o per forza un capo della rivolta de’ più abili e si ritengono intanto captivi i suoi figlioli e la moglie, come ostaggi della fede paterna.

Mentre la sedizione è in fervore si fa commettere qualche scellerataggine e usar qualche tratto irreconciliabile accioché nessuno pensi più all’accordo, né a separarsi per paura della punizione e del castigo che gli parrà di aver meritato per il fallo commesso, e che la grandezza dei crimini escluda la speranza del perdono.

Alcuni hanno preso in prestito una gran somma di denari da quelli da’ quali sapevano di essere odiati, accioché per paura di perdere il denaro prestato lasciassero di congiurarli contro, e così, dove gli altri donano denari per assicurarsi e salvarsi, questi, pigliandone, hanno messo la loro vita in sicurezza.

Si pubblicano le cause e la necessità della guerra per manifesti che si mandano in stampa, e per uomini eloquenti che le espongono in diversi luoghi, accioché tutti giudichino che le sue ragioni sono giustissime e che però s’abbia più facile il popolo a contribuir i stipendi et a soffrir i carichi della guerra.

Un gran politico ha avuto opinione che gli uomini e non il denaro siano il nervo della guerra, perché diceva egli, gli uomini armati possono sempre trovar danari ma il danaro non trova sempre gli uomini. Si può usare questa distinzione: che la parte principale sta posta negli uomini, ma l’instrumentale nel danaro, e quando si dice che il danaro è il nervo della guerra s’intende a condizione che la guerra abbia tutte le altre circostanze requisite …non solo dalla quantità del paese ma anche dalla quantità del danaro si fa stima d’una potenza.

Della guerra col turco in Ungheria (volume II, pag. 301 e seguenti)

È il danaro quello spirito universale che per tutto infondendosi l’anima è  ‘l move; è virtualmente ogni cosa lo stromento degli stromenti, che ha la forza d’incantar lo spirito de’ più savi e l’impeto de’ più feroci. Qual meraviglia dunque se producendo gli effetti mirabili di cui son piene le storie, richiesto tal’uno (n.d.r.: si trattava di Gian Giacomo Trivulzio) delle cose necessarie alla guerra egli rispondesse tre esser quelle: danaro, danaro, danaro.

 

 

Immagine in apertura: disegno autografo (1939) di Michel Fingensten, artista ceco-austriaco morto nel 1943 nel campo italiano di Ferramonti ove era internato perché ebreo. Viveva a Milano in Via Chiaravalle.

 

 

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