Premessa
Questo testo vuole essere soprattutto un invito alla ricerca epistemologica sul successo liberista che s’è compiuto grazie anche e talvolta soprattutto grazie alla conversione neo-liberista della “sinistra” in particolare nel campo degli affari militari e di polizia, campo di ricerca troppo spesso trattato superficialmente se non totalmente ignorato anche per ciò che riguarda l’intreccio stretto con altri campi Con formidabile lucidità nel suo celebre 1984 (del 1949), Orwell scriveva quali principali slogan del regime: “La pace è guerra”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”. Orwell sintetizzava così quanto avevano mostrato il fascismo e il nazismo, e continuavano a praticare lo stalinismo e in generale tutti i regimi che, soprattutto dalla fine del XIX secolo, condussero alla Prima e alla Seconda guerra mondiale e ad altre mostruosità, smentendo le illusioni del progresso pacifico verso il benessere, la democrazia e i diritti umani. Dopo il 1945, ignorando i solenni proclami delle Nazioni unite, del “mai più” quelle aberrazioni, la storia politica del mondo è stata segnata da un coacervo di fatti che solo qualche volta sono andati in direzione della pace e dell’emancipazione dei popoli e dei diritti fondamentali di tutti. Scelba fu l’artefice dell’uso della polizia del secondo dopoguerra per affermare l’autonomia di governo DC della società italiana alienando all’alleato-dominante (gli Stati Uniti) il dominio degli affari esteri e della difesa[2]. Questo assetto di lottizzazione della sovranità in Italia fu del tutto accettato dalla sinistra (in virtù della via nazionale al socialismo imposta dal bipolarismo e approvata con Togliatti sin dalla svolta di Salerno del 1944) e infine approdò al compromesso storico partecipando da allora alla cogestione degli affari militari e di polizia[3]. La logica di questa cogestione è sempre stata quella di un mutuo rispetto tacito fra potere politico, settore militare e di polizia; ossia “ognuno si faccia i fatti suoi ed eviti di fare ingerenze nel campo altrui”. Così ognuno coltiva la sua autonomia, i propri privilegi, clientele ecc. Come mostrano alcuni storici, dal 1945 è prevalsa la riproduzione delle guerre permanenti e di ogni sorta di atrocità (dalla guerra di Corea, al Vietnam, ai colpi di stato, sino alle attuali tragedie in Siria, Libia e in tanti altre zone del mondo)[4]. Il dominio degli imperi USA e URSS impedì ogni tentativo di creare equilibri favorevoli a un processo di pacificazione. La pseudo “pace armata” a beneficio dei paesi dominanti si alimentava dell’esternalizzazione della guerra nei paesi “terzi”. Dopo la fine di tale dominio è stato sempre peggio (si pensi alle guerre nei Balcani, in Ucraina e ora nel Medio Oriente e altrove). Le spese militari che alcuni prevedevano destinate a un netto calo dopo la fine dell’URSS sono costantemente aumentate in tutti i paesi, insieme, ovviamente, alla produzione di armamenti sempre più sofisticati. Dalla fine del XX e il primo ventennio del XXI secolo s’è configurato una sorta di continuum delle guerre, delle violenze e dello sprezzo per il rispetto dei diritti universali di ogni essere umano. Già nel convegno del 1980, I limiti della democrazia, in memoria di Gino Germani, diversi autori avevano cercato di evidenziare alcuni aspetti che questo autore oggi dimenticato aveva provato a mettere a fuoco nel suo scritto particolarmente anticipatore “Autoritarismo e democrazia nella società moderna”[5]. E come scriveva Pierre Birnbaum, in Inghilterra si assisteva all’ascesa dell’autoritarismo attraverso la diffusione estremamente pervasiva di una videosorveglianza che faceva pensare a una sorta di rivincita di Bentham[6]. Tuttavia, la critica della deriva liberista nel campo della sicurezza ebbe molta meno fortuna rispetto all’adesione che tale deriva raccolse soprattutto negli anni Novanta. L’esempio più estremo di ciò è dato dai comportamenti dei militari delle potenze dominanti (Nato e Russia, imitati anche da altri paesi) e da quelli di diversi membri delle polizie anche all’interno dei paesi cosiddetti democratici (nelle operazioni di ordine pubblico, di cosiddetta lotta alla delinquenza e alla criminalità, oppure all’immigrazione “clandestina” e al “degrado”, “per il decoro” e la “morale”). La quasi ibridazione fra militare e poliziesco s’è sempre più sviluppata grazie alla promozione della RMA (Revolution in Military Affairs) del periodo di Reagan, sollecitata dalle continue innovazioni tecnologiche, sostenute dalle lobby finanziarie spesso intrecciate con quelle militari, delle nuove tecnologie, del sicuritarismo e altre ancora[7]. Come è descritto dalla letteratura riguardante la critica della svolta liberista che comincia negli anni Settanta, questo processo sin qui accennato si compie grazie a ciò che s’è configurata come la conversione liberista della sinistra. Di fronte al successo dei think tank liberisti e dei conservatori con Reagan e Thatcher, prima i democratici statunitensi con Clinton e, poi, la “sinistra” europea con Blair e altri ancora, si convincono che ormai le “ricette” vincenti per governare sono quelle liberiste (più mercato e meno stato, smantellamento del welfare, corteggiamento delle lobby ecc.). Le conquiste sociali e i diritti universali della fine degli anni Sessanta sino ai Settanta, sono attaccate come la causa del dilagare dei clientelismi, della corruzione, degli sprechi e, quindi, dell’indebitamento pubblico e della crisi economica (tutti aspetti palesemente dovuti a governi consociativi che distribuendo qualche beneficio alle clientele favorirono i gruppi di potere a spese del debito pubblico). L’esaltazione del neo-modernismo o della post-modernità diventò così denigrazione della tutela del welfare e dei diritti fondamentali e, in Italia, anche della Costituzione. La più abile trovata dei poteri liberisti fu innanzitutto quella della distrazione di massa: la “colpa” delle conseguenze devastanti dello smantellamento dell’assetto economico e sociale della società industriale fu attribuita ai “nemici di turno”. Disoccupati, nuovi poveri e precari sono così incitati a scagliarsi contro chi “ruba il lavoro”, chi “vuole vivere a sbafo delle nostre politiche sociali e della troppa tolleranza”, chi “scippa la pensione delle vecchiette”, chi “vuole violentare le nostre donne”, chi “viene a casa nostra per mettere bombe”. Immigrati, devianti, marginali, terroristi, “gentaglia che viene da paesi incivili e barbari”: sono questi i nemici additati come responsabili di tutti i malesseri e problemi delle nostre società[8]. Allora la guerra contro questi nemici diventa la priorità che giustifica sia l’aumento delle spese militari per colpire gli “stati canaglia” e i terrorismi ovunque essi siano, sia l’aumento delle spese per dispositivi e polizie, per la guerra e per la sicurezza anche nel quotidiano dei nostri paesi, a cominciare da quella contro l’immigrazione “clandestina”. Anche filosofi di sinistra avallano il teorema che la “sicurezza è sacrificio delle libertà”. Il protezionismo e il proibizionismo sono ovviamente applicati solo contro le migrazioni, mentre i capitali e le diverse attività economiche godono di quasi totale libertà di movimento: è il trionfo del liberismo globalizzato che riproduce la neo-schiavitù un po’ dappertutto. I lavoratori sono spesso senza alcuna tutela, segmentati in diversi inquadramenti anche per mano del caporalato etnicizzato nelle economie sommerse. L’asimmetria di potere a favore dei dominanti si accresce senza limiti. Anche quando milioni di persone protestano contro la guerra, le multinazionali e la troika, non riescono a esercitare alcuna pressione sui governi, sulle lobby e ancor meno sul mondo della finanza. L’erosione e la vanificazione dell’azione collettiva dei senza-potere e delle vittime dei diversi disastri del liberismo confermano la tragica impotenza delle proteste e il trionfo della deriva liberista. La distrazione di massa è stata, e continua ad essere, talmente pervasiva e potente da riuscire a manipolare questa stessa impotenza, la protesta e l’odio per i potenti, conquistando consensi a colpi di discorsi definiti populisti, d’anti-politica e di disprezzo della cultura e dello stato di diritto democratico. Non stupisce, quindi, il successo del trash Trump, come prima quello di Berlusconi, di Grillo e altri ancora, e non stupisce che il mondo finanziario sembri giocarci: meglio se il disordine, così come le guerre e la destrutturazione economica, sociale, culturale e politica, sono permanenti (al pari di ciò che alcuni economisti liberisti dicono di un paese in guerra civile permanente come la Somalia, dalle “ottime performances economiche”). La conversione liberista della sinistra italiana come di quella europea ha radici lontane (si pensi alla corrente socialista di Giolitti all’inizio del XX secolo, a quella di Mussolini, a quella stalinista e, ancora, di quella “migliorista” nel PCI). Ma la conversione della sinistra “post-moderna” comincia a palesarsi negli anni Ottanta fra alcuni intellettuali che partecipano alla creazione della rivista Stato& Mercato così come di altre riviste, e che fanno parte più o meno delle cerchie di alcuni think tanks italiani, artefici anche dell’Ulivo e del PD (per esempio l’Istituto Cattaneo e il Mulino), di leader sindacali e alti dirigenti del PCI e del PSI. L’entourage di Craxi (che annovera innanzitutto Giuliano Amato) è il primo ad abbracciare esplicitamente l’approdo al liberismo in tutti i campi, reclutando anche alcuni ex di Lotta Continua che finiscono persino con Berlusconi. Nel PCI sono innanzitutto D’Alema, Veltroni e Violante a procedere in tale direzione, mentre persino nella pseudo-sinistra della sinistra non mancano “collaboratori” come Bertinotti, Diliberto, Vendola e altri, mentre fra i “verdi” abbondano i sabotatori di un’alternativa italiana seriamente ecologista, pacifista e di sinistra. Di fronte allo smantellamento dell’assetto industriale, i sindacati si limitano alla difensiva chiedendo solo ammortizzatori sociali e nulla contro le delocalizzazioni del tutto incontrollate di migliaia di attività economiche, oltre che le frodi fiscali e le truffe di ogni sorta (in continuità con la storica frode fiscale e l’esportazione illecita dei capitali). Da parte loro, buona parte degli scienziati politici e sociali italiani nei fatti avallano in toto il processo in corso, esaltando persino la “terza Italia”, i distretti e il made in Italy, ignorando che tutto ciò consiste nella conversione dell’informale storico nel sommerso liberista che riproduce lavoro nero e neo-schiavitù, al punto che in Italia questo sommerso oltrepassa il 32% del PIL. A ben guardare, c’è una certa continuità con la quarantennale governance democristiana e della mafia del “mangia e fa mangiare”: una buona parte della popolazione beneficia degli illegalismi tollerati e Berlusconi è popolarissimo anche per le sue battute sul sommerso come indicatore di vitalità dell’economia. La sinistra compete con la destra imitandola quasi in tutto, compresi il conflitto d’interessi, la corruzione, i favori a gruppi finanziari e banche, nonché a imprenditori di grandi opere, e nel lasciar perpetuare l’impunità di ogni abuso e crimine contro la res publica, in modo crescente a danno dei più deboli. Nel campo degli affari militari e della sicurezza la sinistra italiana (comequella francese e di altri pasi) si distingue per una particolare solerzia nell’adesione alla governance liberista. Nel suo piccolo, fu il senatore Luciano Violante nel 1996 il primo ad asserire che la sinistra doveva correggere la sua idea di sicurezza considerando pari le minacce della criminalità organizzata, dei terrorismi e della delinquenza di strada, senza più quindi alcuna sorta di indulgenza per quella che prima veniva considerata micro-criminalità o semplice devianza, oppure “inciviltà urbana”[9]. Non mancarono gli accademici ad abbracciare questo orientamento, asserendo che “bisogna finirla col dire che la devianza è una costruzione sociale o colpa della società, oppure che obiettivamente gli immigrati delinquono più degli italiani[10]. Nonostante la buona volontà e il sincero impegno di alcuni, i tentativi di proporre consigli per un governo della sicurezza effettivamente democratico e di sinistra sono clamorosamente vanificati. I dirigenti del PdS, dell’Ulivo e del PD e i loro più stretti amici accademici scelgono di competere con la destra sul terreno facile che questa ha già occupato, e che s’è imposto ormai su scala locale e mondiale: la distrazione di massa che incita ad accanirsi contro il nemico di turno e le prede facili; cioè immigrati, marginali, delinquenti comuni e lo spettro terrorista. Ovviamente la proposta di un trattamento sociale e democratico dei problemi strumentalmente attribuiti ai suddetti nemici di turno è apparsa totalmente “invendibile” sul mercato elettorale. Un insigne costituzionalista considerato di sinistra (che per alcuni periodi è stato anche ministro) di fronte all’allarmismo dell’inizio degli anni duemila a proposito dei reati di violenza sessuale su minori, e di fronte alla destra che i media davano egemone, ebbe a dire a un suo collaboratore di mettere a punto un decreto per istituire l’ergastolo ostativo, e che erano da escludere pene inferiori previste in quasi tutti i paesi democratici. Più polizie, più penalità, più dispositivi e risorse per la massima sicurezza: questa la ricetta vincente rispetto a cui, da oltre vent’anni, s’è scatenata senza tregua la competizione fra destra e sinistra (che non ha più senso chiamare tale). L’accelerazione più vistosa si ebbe proprio nel 1999 quando a capo del governo era approdato D’Alema (il primo ex-comunista ad arrivare a tale carica) anche perché il caso volle che in una sola settimana ci furono 9 omicidi a Milano (una casualità del tutto inconsueta e imprevedibile, senza alcuna logica che giustificasse l’allarmismo e misure “d’eccezione”). Fu proprio quel governo a lanciare per prima l’idea del “pacchetto sicurezza” e a spianare la strada del “la sicurezza non è né di destra, né di sinistra”. In concorrenza con la destra e soprattutto la Lega, i sindaci del centro-sinistra si impegnarono sempre più a dimostrare di non essere da meno, e persino più efficaci di quelli di destra nella pratica della “tolleranza zero”, nel sostegno alle “ronde dei cittadini per la sicurezza” ecc. Con la stessa logica il centro-sinistra varò la legge Turco-Napolitano, che fu confermata e solo un po’ indurita dalla Bossi-Fini, producendo quindi una normativa, insieme di sinistra e di destra, di palese accanimento proibizionista e di criminalizzazione contro gli immigrati. Il governo D’Alema si trovò a gestire la guerra contro la Serbia[11] che fu la seconda occasione dopo il 1945 – la prima fu la guerra del Golfo del 1990-91 – in cui l’Italia partecipò con sue truppe e suoi mezzi alle operazioni militari[12]. Dopo la piena adesione alla NATO da parte del PCI (dopo il colpo di stato in Cile nel 1972), la sinistra italiana si era allineata agli orientamenti di politica estera e di politica militare adottati dai democratici degli USA (Clinton) e dalla sinistra europea (Blair). L’intervento militare dell’Italia passa attraverso un’interpretazione discutibile dell’art. 11 della Costituzione, interpretazione che continua a essere manipolata per giustificare la dotazione di armamenti offensivi (quali i cacciabombardieri) e le missioni militari all’estero coperte anche con la retorica delle “guerre umanitarie” e del peace keeping, oltre che dalla sottoscrizione degli accordi internazionali e dalle delibere dell’ONU[13]. Così, dagli anni Ottanta in poi, la sinistra italiana si fa sempre più solerte rispetto all’impegno militare del paese, abbandonando per sempre la lotta per la pace e anche la democratizzazione delle forze armate e degli affari militari che aveva sostenuto prima. La logica di questa “svolta” – che si inscrive nell’approdo al “compromesso storico”- sta nell’adesione all’apparente ossimoro moroteo delle “convergenze parallele”: l’Italia cerca di autonomizzarsi rispetto all’alleato dominante – gli USA – mostrandosi servile verso questi e cercando contemporaneamente di sviluppare la sua ostpolitik (affari con i paesi del blocco sovietico), pro-araba ed europeista[14]. Ma soprattutto la principale ragione dell’impegno della sinistra negli affari militari è lo scopo di conquistare il ruolo di referente politico del settore, quindi credibilità e pieno sostegno da parte degli USA, da parte del mondo dei militari e da parte del settore economico. Si compie così il sogno di diventare partito di governo col beneplacito della stessa area conservatrice nella finanza, nel militare e negli affari esteri. Seguendo questa logica, da capo del governo, D’Alema si spinge a fare persino un passo che la stessa DC non fece mai e non avrebbe mai fatto: l’attribuzione all’arma dei carabinieri dello status di quarta forza armata, una scelta né necessaria, né sensata neanche dal punto di vista conservatore, oltre che un fatto che suscita grande disappunto nei ranghi delle altre polizie. Ma D’Alema e il suo entourage, costituito innanzitutto da Violante e Minniti, punta al monopolio PD nella rappresentanza politica di tutto l’universo degli affari militari e degli esteri. D’altro canto, i malumori, soprattutto nei ranghi della polizia di stato, sono sopiti “grazie” al G8 di Genova voluto dal PD e gestito dal governo Berlusconi: è l’occasione di salvare De Gennaro innanzitutto per opera di Violante, Minniti e Amato[15]. Da allora, l’on. Minniti diventa il principale riferimento politico dell’universo militare e poliziesco e nel 2009 fonda la Fondazione ICSA con il sostegno di Cossiga che ne è primo presidente[16]. Ricordiamo anche che, grazie all’impegno di Minniti, Violante, Amato, Napolitano e altri ancora, l’ex capo della polizia De Gennaro è poi passato a dirigere i servizi segreti e, infine, alla presidenza di Finmeccanica, ossia la prima multinazionale italiana innanzitutto nella produzione e vendita di armamenti. La foto che sembra rappresentare bene la configurazione della lobby italiana militare-poliziesca-industriale e la sua rappresentanza politica è nelle immagini della loro partecipazione alla fiera degli armamenti negli emirati arabi, in particolare ad Abu Dahbi.[17] La sicurezza urbana secondo la distrazione di massa e la conseguente proliferazione delle insicurezze ignorate e delle loro vittime. Anche sindaci della “sinistra arancione” (Pisapia, Doria, De Magistris ecc.) e altri come Merola, non hanno fatto nulla per il risanamento democratico della polizia municipale delle loro città, da anni orientata verso pratiche palesemente sicuritarie, persino con unità che nel loro gergo si auto-chiamano “caccia al negro” ecc. In diversi casi comandanti e operatori di queste polizie, e anche delle polizie di stato contrari alla deriva spesso illecita delle scelte operative razziste e della “tolleranza zero”, sono stati oggetti di persecuzioni. I rari studi e ricerche svolte con un minimo di serietà e onestà intellettuale in questo campo[18] mostrano che tali scelte operative, allo stesso tempo, sono alimentate e alimentano la distrazione di massa e la distrazione di competenze di tali istituzioni: anziché occuparsi dei veri problemi e insicurezze che affliggono la maggioranza degli abitanti, è stata accreditata l’idea che il governo della sicurezza è guerra ai responsabili dei cosiddetti “degrado”, “inciviltà urbana” e amoralità, cioè i “soliti noti” e “prede facili” rappresentati da immigrati, marginali e devianti. Va osservato che questa deriva, purtroppo, è in parte dovuta alla scarsa capacità critica e riflessione da parte di quegli scienziati politici e sociali che cercavano di arginarla. Alludo ad alcuni criminologi, filosofi e sociologi del diritto che peraltro non hanno mai ripreso la riflessione sulla definizione della sicurezza dal punto di vista di uno stato di diritto effettivamente democratico e, quindi, anche dal punto di vista della Costituzione e della carta europea dei diritti dell’uomo. Il limite, se non l’errore fatale, di chi lavorava a progetti quali “città sicure” e “forum europeo per la sicurezza urbana” (e la sua versione italiana) sta esattamente nell’essersi limitati a invocare “risposte sociali” e di “riduzione del danno”.Occorreva invece puntare con forza sia sulla denuncia della distrazione di massa,della deviazione di competenze e risorse, sia sulle gravi conseguenze di questa, ossia la proliferazione delle insicurezze e delle vittime ignorate: i disastri sanitari-ambientali che producono ogni anno centinaia di migliaia di morti per cancro, malattie e incidenti sul lavoro, nonché terremoti, alluvioni e frane; il disastro economico e sociale connesso allo sviluppo liberista delle economie sommerse che riproducono immigrati irregolari e neo-schiavitù anche fra autoctoni, corruzione, violenze e persino assassinii[19]. Da notare che tutti questi disastri si sono aggravati e hanno fatto ancora più vittime proprio a causa del sostegno di destra e sinistra alla dinamica neoliberista. Negli ultimi 30 anni non è mai stato programmato alcun risanamento e quindi alcuna efficace prevenzione dei rischi di disastri. È utile ricordare che fra gli artefici della conversione liberista della sinistra figurano personalità anche di alto rango accademico quali Giuliano Amato, considerato eminente giurista garantista; diventato ministro degli interni non esitò a stigmatizzare con sdegno estremo le critiche alla deriva liberista della sicurezza “di sinistra”, sposando l’orientamento della “tolleranza zero” già annunciato nel 1996 da Violante[20]. E’ alquanto emblematico che la sua invocazione di massima solerzia contro la microcriminalità non s’è mai manifestata rispetto ai reati e gravi danni alla res publica di cui furono responsabili Craxi e altri membri dei governi di cui il prof. Amato faceva parte. In una sua recente intervista, il neo-ministro dell’interno, Minniti, riprende e rilancia i propositi di Violante e Amato asserendo: “la sicurezza è di sinistra”. Una sicurezza a cui la sua “sinistra” attribuisce significati alquanto antitetici rispetto a ciò che definiva la stessa Costituzione del 1947. Ma, si sa, questa sinistra postmoderna/liberista vuole eliminarla come se si trattasse di un ammasso di norme obsolete. Fra i diversi aspetti emblematici della governance liberista della sicurezza all’opera dagli anni ’90[21], osserviamo innanzitutto la perpetuazione dell’omertà dei vertici politici e amministrativi rispetto alla riproduzione dei tanti casi di coinvolgimento di membri delle polizie in affari di collusione e corruzione, nonché di abusi, violenze e crimini. Appare alquanto evidente che tali fatti sembrano essere aumentati proprio a causa della deriva liberista che fagocita tutta la società e ancora di più chi gode di poteri discrezionali che facilmente scivolano verso il libero arbitrio. Ma, quando un’istituzione dello stato minimizza tali casi o li ignora, non si dota di alcun dispositivo e neanche di procedure di monitoraggio, risanamento ed efficace prevenzione, nei fatti istituisce l’impunità (si ricordi che non s’è mai votata neanche la legge sulla tortura a dimostrazione che destra e “sinistra” hanno la maggioranza assoluta in parlamento e ciò anche con la benedizione dei presidenti della repubblica che si sono succeduti).La salvaguardia dell’onore delle polizie diventa così legittimazione delle possibilità di commettere reati[22]. Questo aspetto riguarda sia persone nei ranghi dei vertici, sia nei ranghi delle strutture locali di tutte le polizie, comprese quelle municipali e private. Si può anche dire che, nei fatti, gli illegalismi relativamente diffusi fra politici, amministratori e anche polizie e amministrazione della giustizia legittimano e favoriscono gli stessi comportamenti in tanti segmenti della società. Non stupisce quindi che l’Italia passi per essere uno dei paesi europei più inquinati dalla corruzione, dalle economie sommerse e dai diversi tipi di illegalismi tollerati[23], proprio perché ciò fa parte della produzione di consenso verso l’attuale sistema di dominio economico, sociale, culturale e politico. Così la “sinistra storica” è diventata del tutto organica al mondo politico italiano che non ha mai osato proporre una seria ed effettivamente democratica razionalizzazione del comparto sicurezza, di quello militare e degli affari esteri. La timida riforma della polizia del 1981 è stata di fatto vanificata così come altre riforme. La sovrapposizione di competenze fra tutte le polizie e le altre agenzie di controllo, prevenzione e repressione, e quindi gli sprechi, sono flagranti. L’Italia è il paese in cui in proporzione si spende di più per la sicurezza pubblica e privata (inclusi i costi delle assicurazioni, le cui società sono molto attive nell’agitare allarmismi; e fra queste in testa l’Unipol). Le ultime due “perle” di questa ex-sinistra sono il prodotto del presidente Napolitano, del governo Renzi e, ora, del governo Gentiloni: l’accentuazione della deriva sicuritaria, in particolare contro l’immigrazione, per opera del solerte ministro Minniti e quella della prospettiva di un impegno militare sempre più in violazione della stessa Costituzione. Il ministro Minniti ha fatto votare al consiglio dei ministri un decreto che dà ancora nuovi poteri ai sindaci, incitandoli a esasperare il proibizionismo dell’immigrazione e la persecuzione dei rifugiati, con la chicca di istituire anche il lavoro obbligatorio gratuito per quelli che si lasciano rimanere sul territorio italiano. Nel campo militare (come scrive Dinucci[24]) alle Forze armate sono assegnate quattro missioni. La difesa della Patria stabilita dall’art. 52 è di nuovo riformulata (come nel modello di difesa del periodo degli euromissili, iniziato negli anni Ottanta[25]) come “difesa degli interessi vitali del Paese”, che, con la seconda missione, è definita “contributo alla difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica e al mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mare Mediterraneo”. Il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, stabilito dall’art. 11, è sostituito con la terza missione “gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire la pace e la legalità internazionale”. Con la legge quadro in vigore dal 2016, si istituzionalizza il fondo specifico presso il Ministero dell’economia e delle finanze per finanziare le missioni militari all’estero. Infine, con la quarta missione, si prevede che anche le Forze armate siano impegnate nella “salvaguardia delle libere istituzioni”, con “compiti specifici in casi di straordinaria necessità ed urgenza”, formula che rinvia alle funzioni assai inquietanti attribuite all’EUROGENDFOR. Peraltro, scrive sempre Dinucci, il nuovo modello di difesa (che in realtà riprende e rinnova quello in voga dal 1980) accresce fortemente i poteri del capo di stato maggiore della difesa e apre le porte delle Forze armate a “dirigenti provenienti dal settore privato” che potranno ricoprire gli incarichi di segretario generale, responsabile dell’area tecnico-amministrativa della difesa, e di direttore nazionale degli armamenti. Qui appare evidente la ‘manina’ di Minniti e De Gennaro, da tempo promotori dello sviluppo della produzione e del commercio degli armamenti italiani quale “pilastro del Sistema Paese”… poiché attraverso le esportazioni, riequilibrerebbe la bilancia commerciale e promuoverebbe i prodotti di settori ad alta remunerazione, creando posti di lavoro qualificati. E come propone Dinucci, così l’ex-sinistra riscrive l’art.1 della Costituzione:“la Repubblica è fondata sul lavoro dell’industria bellica” (o meglio “è fondata sul lavoro delle attività delle lobby militare e delle polizie”). NOTE [1] Qui i link dei principali testi accessibili : https://www.routledge.com/products/9781472472625; https://www.academia.edu/31446052/The_Italian_Police_Forces_into_Neoliberal_Frame_An_Example_of_Perpetual_Coexistence_of_Democratic_and_Authoritarian_Practices_and_of_Anamorphosis_of_Democratic_Rules_of_Law; http://www.oapen.org/search?identifier=391032; http://www.statewatch.org/analyses/no-152-genoa-palidda.pdf; //www.cairn.info/zen.php?ID_ARTICLE=DEC_CRETT_2010_01_0251 ; http://conflits.revues.org/3126;http://www.jstor.org/discover/10.2307/40690507?uid=3738296&uid=2129&uid=2&uid=70&uid=4&sid=21102275811027; http://www.libreriauniversitaria.it/sociologia-antisociologia-palidda-salvatore-libreriauniversitaria/libro/9788862927451; http://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S1980-85852015000200093&lng=en&nrm=iso&tlng=it;http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/razzismo-democratico.pdf; http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/conflitti-globali-5.pdf; https://infodocks.files.wordpress.com/2015/01/salvatore-palidda-polizia-postmoderna.pdf e; https://www.academia.edu/716477/Appunti_di_ricerca_sulle_violenze_delle_polizie_al_G8_di_Genova. [2] https://www.jstor.org/stable/40690507?seq=1#page_scan_tab_contents; http://www.scribd.com/doc/124193247/Salvatore-Palidda-Polizia-postmoderna [3] In Italia la sinistra ufficiale, e in particolare il PCI, non s’è mai curata dei diritti e delle libertà fondamentali; si ricordi peraltro la controversia fra Vittorini e Togliatti, e le rotture dopo l’invasione dell’Ungheria e poi di Praga e della Polonia. E si ricordi che i servizi d’ordine di stile stalinista – compresi quelli del movimento studentesco milanese – erano particolarmente violenti contro chiunque non fosse organico alle direttive dei vertici. [4] Fra altri, per una lettura semplificata, vedi M.