Proponiamo la versione italiana del Manifesto Adéu 78, opera del collettivo omonimo, che si propone di raccogliere l’eredità dei movimenti sociali catalani e spagnoli in una modalità alternativa all’indipendentismo. Di seguito, riportiamo la traduzione di Dario Lovaglio dell’intervista al collettivo svolta sulle pagine di El Salto da Lola Matamala, che ringraziamo.

Nel maggio del 2011, l’austericidio che raggiunse livelli allarmanti in Catalogna e in Spagna, riuscì a riempire le piazze di persone stanche di ritrovarsi consegnate alla precarietà esistenziale grazie ai poteri politici ed economici che attentavano alle loro vite per accrescere i loro profitti, sia a livello statale che europeo. Al grido di “non ci rappresentano”, finalmente si riconoscevano come responsabili della situazione tutti gli attori principali che sin dal 1978 si sono spartiti il potere nel governo e nei consigli d’amministrazione delle grandi imprese: i due partiti spagnoli di maggioranza, il PP e il PSOE, con la connivenza dei sindacati maggioritari, e Convergència i Unió, il partito catalano che portava avanti uno dei tagli alla spesa pubblica tra più drastici di tutta l’Europa meridionale.

Sei anni dopo, quel malessere nei confronti di un regime che agonizza ma ancora agita la coda, cercando di mantenere la sua legittimità o ravvivando il discorso nazionalista o direttamente a manganellate, sta risorgendo con forza. Anche se adesso ha trovato espressione negli eterni problemi della divisione territoriale e contro la cecità unitarista che da Madrid soffoca la Catalogna e tutto il resto del territorio, crediamo che il problema di fondo sia sempre il patto che va in frantumi e che si mostra finalmente a volto scoperto. Il patto della transizione che ha instaurato questo malaugurato regime del ‘78 per noi non funziona. La costituzione, i partiti che vi si sono ritagliati un comodo spazio, la monarchia e la falsa democrazia rappresentativa, si mostrano nuovamente solo come un miraggio dell’armonia sociale. Gli scandali della corruzione, i continui tagli ai servizi pubblici e lo scontro tra le élite continuiste, segnalano un’altra volta la necessità di far partire un processo costituente collettivo, dal basso, che definisca come vogliamo vivere e recuperare la nostra dignità senza lasciarci schiacciare in tutti gli ambiti della nostra esistenza.

L’unica riforma della costituzione dal 1978 ha giustificato il pagamento di un debito ingiusto nei confronti di un’Europa votata agli interessi del grande capitale, e che adesso alcuni sperano ingenuamente che intervenga per risolvere i nostri conflitti sociali e politici. Ma quando quest’Unione Europea interviene, è sempre per sottrarre sovranità agli stati membri in nome degli interessi della BCE e del FMI, non certo per rafforzarla. La stessa ingenuità si ritrova quando abbiamo smesso di rivendicare che la decisione sulle regole del gioco e su come vogliamo vivere spetta al popolo, per consegnare invece la leadership di una presunta repubblica nelle mani delle stesse élite catalane che hanno fatto e faranno sempre patti con quelle spagnole, e che ci hanno massacrato a furia di privatizzazioni e tagli.

Nonostante tutto, diciamo insieme Addio78; e affermiamolo occupando le strade, persistendo nella lotta, autorganizzandoci e facendo partire un processo costituente dal basso. Non chiediamo a coloro che ancora continuano a non rappresentarci che lo facciano al nostro posto, recuperiamo la sovranità per diventare noi stessi il vero motore del cambiamento.

@adeu78

Il manifesto Adéu 78 propone un superamento del sistema stabilito nella Transizione spagnola tramite la mobilizzazione e l’apertura di un Processo Costituente. Parliamo con i suoi sostenitori, che preferiscono presentarsi come autore collettivo.

 (Di Lola Matamala)

Adéu 78 è il titolo del manifesto che si presenta come un’alternativa all’indipendentismo a partire dall’azione dei movimenti sociali. Per il momento, il manifesto ha raggiunto più di un centinaio di adesioni, tra le quali quella di Alberto San Juan, Franco Berardi “Bifo”, Carlos Fernández Liria e Guillem Martinez.

L’1 ottobre è stata la data che in Catalogna e nel resto dello Stato Spagnolo ha segnato un prima e un dopo. Durante tutti questi giorni le emozioni sono state a fior di pelle per tutti gli eventi che si sono susseguiti. I sentimenti sono esplosi sia nelle persone che si dichiarano indipendentiste che in quelle persone che non vogliono sentir parlare di un processo d’indipendenza per il territorio catalano. Naturalmente, durante tutto questo tempo, l’ombra del Regime del ’78 si è fatta notare.

Come vi presentate?

Siamo un gruppo di persone che, davanti alla constatazione dell’apertura di una ferita irreparabile nel cuore del Regime del ’78 e recuperando lo spirito del 2011 che denunciava i poteri economici e politici come responsabili del malessere generale, vuole sommare le forze per costruire un movimento che non si accontenti con le acrobazie delle élite che oggi sono peggiorate e più agonizzanti che mai, ma che chiami all’azione per rovesciare il regime attuale.

Perché proponete questo manifesto e di quanto tempo avete avuto bisogno per prendere l’iniziativa?

Trascorso un tempo nel quale abbiamo osservato impotenti come l’indipendentismo fosse l’unico tema di dibattito mentre venivano approvate manovre economiche ingiuste e privatizzazioni, si verificavano casi di corruzione e repressione delle iniziative al di fuori del sistema dei partiti, abbiamo riconosciuto nel momento di culmine dell’ 1 ottobre l’opportunità di poter denunciare il doppio gioco dell’élite e la vergogna di un Regime che sa reagire solo con la violenza e l’imposizione. Si è aperta un’incrinatura d’opportunità da dove lavorare insieme per rovesciare questo stesso regime che ci opprime tutti nella stessa misura.

Come descrivete quindi la situazione che si sta vivendo in Catalogna in questo momento?

In Catalogna, dopo i drastici tagli alla spesa pubblica di cui Artur Mas fu il protagonista nel 2010-2011 e l’ampia protesta sociale che provocarono, l’indipendentismo si è convertito nel contenitore di tutto il malessere e il centro di tutto il dibattito politico, contenuto esclusivo dei programmi elettorali e delle discussioni tra i partiti. In particolare, la manovra della destra conservatrice, che prima d’allora mai aveva sostenuto l’indipendenza, è consistita nell’invisibilizzare la figura di Artur Mas, che è il grande artefice della politica dei tagli neoliberali, sostenitore della mano dura e degli affari delle banche in Europa e mascherarlo con la bandiera del nazionalismo che tutto diluisce. Ma non bastava il nazionalismo, bisognava alimentare la speranza messianica di un futuro per nascondere i delitti del presente. Questa è stata la linea che ha permesso di riarticolare un partito ferito a morte come CiU (ora PDeCat), riscattare dal naufragio ad altri partiti come ERC, e anteporre l’indipendenza nazionale alla giustizia sociale. Tutto ciò può essere riassunto nella frase “prima l’indipendenza, poi si vedrà”. In questo senso, gli eventi sono precipitati in questo deambulare tra passi indietro più che prevedibili e manovre propagandistiche, temerarie, non consensuali o poco efficaci e contraddittorie. Ad esempio proclamare una Repubblica e allo stesso tempo accettare delle elezioni imposte da uno Stato che non viene riconosciuto.

E per voi cosa rappresenta il Regime del ’78?

Il Regime del ‘78 è un regime basato su un patto fatto di silenzio e la perdita di memoria della dittatura, dei suoi elementi strutturali e molti dei suoi protagonisti. È un Regime che sorge facendo patti contro qualsiasi elemento trasformatore e stabilisce un’alternanza tra due partiti possibili e due sindacati maggioritari sprovvisti di qualsiasi pericolosità per il mondo imprenditoriale. Oltretutto è un Regime che nasce quando la socialdemocrazia comincia a essere liquidata in Europa ma che ne costruisce un miraggio, precario, e che nello stesso tempo stabilisce una Costituzione che porta con sé gli stessi problemi d’insufficienza democratica, centralismo esasperato, squilibrio territoriale etc. degli ultimi due secoli (XIX e XX), in cui gli esperimenti dello Stato liberale non sono stati risoluti eppure sono definiti da quarant’anni di una dittatura che, nella sua ultima fase, poggia le basi dell’economia e dell’ingannevole “benessere” che sarebbe dovuto arrivare con la presunta democrazia.

Siete indipendentisti?

Non ci consideriamo nazionalisti, né siamo a favore della creazione di nuovi stati. Desideriamo articolazioni distinte che, a livello territoriale e sociale, possano ripensare il modo in cui viviamo superando queste forme scadute e vuote di contenuto e sovranità come lo sono oggi lo Stato e la nazione. Se vogliamo ottenere una qualsiasi possibilità nell’Europa del debito e dell’austericidio, le forme di resistenza non si danno creando piccoli nuovi stati dentro questo stesso ente che ci asfissia, ma tornando all’internazionalismo e a forme di cooperazione in schemi più ampi che oltrepassino le frontiere nazionali e statali attuali.

Qual è l’obiettivo immediato a breve e medio termine che vi siete dati con questa proposta?

L’obiettivo più immediato è chiamare all’azione in tutto il territorio spagnolo rispetto all’evidenza di uno Stato che ci condanna all’austerità, marcio di corruzione e che governa per pagare un debito mentre mobilita la popolazione intorno a bandiere e discorsi di unione nazionale. A medio termine, ci proponiamo di riunire le diverse sensibilità per mettere in marcia un nuovo patto sociale che cambi lo stato di cose attuale e che, stavolta sì, parta dal basso con un vero processo costituente che proponga le condizioni nelle quali vogliamo vivere, come recuperare la sovranità che oggi detenuta dalle banche e avanzare verso un nuovo modello di organizzazione sociale. L’obiettivo è, in fondo, far cadere un Regime che ha dimostrato di aver esaurito il gioco che apparentemente funzionava e che ha esposto la sua disfunzionalità, la sua violenza disperata e la sua mancanza di senso e di adattamento.

Chi dovrebbe aderire a questo manifesto?

Firmare un manifesto è un modo per prendere posizione e provare a stabilire una voce forte oltre le opinioni individuali e la vergogna mediatica; è inoltre un tentativo di aprire uno spazio di possibilità a partire dal quale poter chiamare all’azione.

 

Fonte immagine: GAELX.

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