Nella conversione in legge del decreto “Imu-Bankitalia”, è maturata l’ennesima “porcata” istituzionale che, dietro l’alibi della cancellazione della II° rata dell’Imu, ha consentito una delle operazioni più immonde degli ultimi anni. L’aumento di capitale della Banca d’Italia permette infatti alle principali banche italiane (Intesa e Unicredit, in testa) di incassare svariati miliardi di euro per sistemare i propri conti patrimoniali in vista dell’esame europeo per entrare nella nuova lobby speculativa dell’Unione Bancaria Europea. Leggere per credere.
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Non bisogna essere dei fini analisti della comunicazione per immaginare che il provvedimento definito Imu-Bankitalia, approvato a fatica dal Parlamento italiano, adottando modalità che ben poco hanno di democratico, non sia stato assolutamente compreso dalla maggioranza della popolazione italiana.
In primo luogo, perché nel decreto in oggetto e ora convertito definitivamente in legge, sono compresenti due provvedimenti che nulla hanno a che fare tra loro e che sarebbero dovuti essere discussi separatamente. Il primo riguarda l’abolizione della II° rata dell’Imu, come già concordato in sede di formazione del governo Letta, il secondo invece ha a che fare con la ricapitalizzazione della Banca d’Italia.
Perché allora presentarli insieme? La risposta è semplice: perché si tratta di un “do ut des”, tra lo Stato e gli interessi speculativi immobiliari e creditizio-finanziari. Da un lato, l’abolizione dell’Imu favorisce i redditi medio-alti, le rendite territoriali e i processi di gentrification a scapito di entrate fiscali, dall’altro la ricapitalizzazione di Bankitalia consente di ottenere nuove entrate per il bilancio pubblico compensando i mancati introiti dell’Imu. In più rappresenta un vero e proprio regalo alle principali banche italiane, in vista degli stress test (sui bilanci) della Bce e dell’Eba (European Banking Authority), stabiliti negli accordi di Basilea 3 e funzionali alla creazione dell’Unità Bancaria Europea.
Se gli effetti dell’abolizione della II rata dell’Imu sono facilmente comprensibili, non altrettanto lo è l’operazione Bankitalia, via rivalutazione delle quote azionarie e sua ricapitalizzazione
Tali operazioni hanno due obiettivi: consentire ad altri privati (ovviamente di “grande responsabilità imprenditoriale” (!!)) di entrare nel ristretto mondo degli azionisti Banca d’Italia, favorendone la privatizzazione, e soprattutto consentire un aumento della patrimonializzazione degli istituti di credito azionisti di Bankitalia, risultato quanto mai necessario se si vuole passare l’esame europeo. Come è noto, la Banca d’Italia, pur essendo un ente Pubblico, non è di proprietà pubblica, ma di un board di azionisti privati, al cui interno possiamo annoverare sulla base decrescente delle quote azionarie detenute, Intesa San Paolo (30,3%) e Unicredit (22,1%) e con quote più piccole Generali (6,3%), Carige (4%), Bnl (2,8%) e Mps (2,5%).
Secondo la nuova legge, la rivalutazione di tali quote azionarie passa dagli attuali 156mila euro (cifra diventata irrisoria oggi) a 7,5 miliardi di euro (cifra da molti ritenuta eccessiva). Nulla di male in tutto ciò, se non fosse che tale aumento di capitale non è a carico dei soci azionisti (come accadrebbe in ogni aumento di capitale privato) ma a carico delle riserve dell’istituto di via Nazionale. Si tratta, si badi bene, di riserve pubbliche (non private, anche se la BdI è privata), in quanto accantonate negli anni passati sulla base dei saldi della Bilancia dei Pagamenti dell’intera economia nazionale. Attualmente tali riserve sono composte nella parte ancora aurea da 2.400 tonnellate d’oro – per un valore corrispettivo di circa 110 miliardi di euro – e dai guadagni che derivano dalla gestione della moneta circolante girata a Bankitalia dalla Bce.
Ne consegue che gli azionisti principali non sborsano un euro e si trovano invece ingenti somme in attivo. Ad esempio, Intesa e Unicredit potranno vantare guadagni in conto patrimoniale compresi fra i 2,7 e i 4 miliardi. A seguito di ciò, lo Stato incasserà un gettito fiscale maggiore pari a 1,1 miliardi, guarda caso una cifra non molto dissimile dal mancato introito fiscale in seguito all’abolizione della II rata dell’Imu.
Il conto così torna. Il bilancio statale può rispettare i vincoli di stabilità pattuiti in Europa con Il Fiscal Compact e le principali banche italiane possono presentarsi all’esame europeo con i conti in ordine già a fine 2013. Infatti, ciliegina sulla torta, la ricapitalizzazione è retroattiva al 31 dicembre 2013, a conferma delle vera finalità dell’operazione, che platealmente disconfermano le affermazioni del Tesoro Italiano: “nessun regalo è stato fatto alle banche, perché la rivalutazione del capitale e una più equilibrata ripartizione delle quote di partecipazione alla Banca d’Italia non comportano alcun onere per lo Stato”, dimenticandosi di dire che l’operazione è stata finanziata dalle riserve della stessa BdI.
Non servono altre osservazioni per descrivere una tale ignominia. Solo due considerazioni finali. La prima riguarda l’uso delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia. Tali riserve svolgevano una funzione economica rilevante in un contesto di sovranità monetaria nazionale, nel caso fosse necessario contrastare un processo di svalutazione della valuta. Oggi, in presenza dell’Euro, tale motivazione non ha più senso. Che farne allora? Non potrebbero essere utilizzate per altri fini, ad esempio a sostegno delle politiche sociali nazionali? 110 miliardi di riserve corrispondono a poco più del 6% del Pil e sono pari alle finanziarie degli ultimi 4 anni. Inoltre è liquidità immediatamente spendibile. Perché non utilizzarle per la costituzione di un primo embrione di moneta del comune, finalizzata a garantire continuità di reddito, finanziarie l’ampliamento dei servizi sociali e favorire progetti produttivi alternativi? La domanda è ovviamente retorica, visto l’utilizzo che proprio di questi tempi ne è stato fatto.
La seconda considerazione riguarda l’accordo europeo del dicembre 2013 che ha portato alla costituzione della futura Unione Bancaria Europea. Tale accordo ha due finalità: la prima è quella di costituire una sorta di ciambella di salvataggio di più ampia caratura per far fronte ai marosi della dinamica speculativa internazionale e quindi, in secondo luogo, di partecipare agli eventuali guadagni. Di fatto si è definito un nuovo investitore istituzionale finanziario sovranazionale, in grado di competere con le corporation multinazionali finanziarie di oltreoceano e anglo-nipponiche. A tal fine era necessario mostrare una minima solidità patrimoniale per evitare il rischio di insolvenze. E non è un caso, al riguardo, che, su pressione tedesca, alcune categorie di banche, quelle più a rischio o con più difficoltà per ottemperare i parametri di bilancio richiesti, ne sono state escluse (ad esempio, le Sparkasse dei Länder tedeschi). Ne è conseguita la definizione di un’oligarchia finanziaria in grado di meglio partecipare all’espropriazione speculativa della cooperazione sociale moltitudinaria. Rischia di prendere un abbaglio chi pensa che l’Unione Bancaria Europea sia la conferma della tenuta dell’Euro; è solo uno strumento del processo si razionalizzazione dei poteri forti europei in vista dell’allentamento delle politiche d’austerity. L’Euro ha tenuto nel corso degli ultimi due anni grazie alle forti iniezioni di liquidità che la Banca Centrale Europea, anche in contraddizione con il proprio statuto, ha concesso al sistema creditizio e finanziario europeo. Circa 1200 miliardi di euro sono così transitati nei depositi bancari finalizzati da un lato a sostenere la domanda di titoli dei mercati finanziari e dall’altro a ridurre i tassi d’interesse sui titoli pubblici dei paesi maggiormente indebitati. Non sorprende quindi che nel corso del 2013, anno in cui le politiche d’austerity hanno più colpito le condizioni di vita della popolazione europea, le rendite finanziarie (plusvalenze) abbiano maturato incrementi di quasi il 20% e gli spread siano diminuiti.
P.S.: una volta approvata tale legge, i deputati del PD, in risposta alle critiche del M5S, hanno intonato a gran voce “Bella Ciao”. Atto del tutto singolare, a meno che oggi non si pensi, all’interno del principale partito del Centro Sinistra, che anche la Resistenza possa essere strumentalmente piegata a favore delle oligarchie finanziarie!
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Vorrei un chiarimento. Se le quote delle banche passano da 156.000 euro a 7,5 miliardi di euro senza nessun versamento da parte delle banche stesse, vuol dire che è solo un artificio contabile? E il passaggio in imposte dalle banche allo stato di un gettito fiscale maggiore pari a 1,1 miliardi per effetto delle plusvalenze è solo passaggio di moneta virtuale? E il valore delle da 2.400 tonnellate d’oro – per un valore corrispettivo di circa 110 miliardi di euro, dopo l’operazione a quanto ammontano?
Domanda più che pertinente. Si trattadi una partita di giro interno al bilancio della BdI. Si stornano 7,5 miliardi dagli attivi patrimoniali della BdI (voce riserve auree) per destinarla alla quota di capitale sociale. L’unica differenza è che prima di tale operazione le singole banche azioniste della BdI potevano mettere a bilancio gli utili derivanti dalle stesse riserve auree, nel conto dei profitti e delle perdite (al pari di qualsiasi altro utili derivanti da altre attività finanziarie), ora mettono nelle attività patrimoniali (quindi conto patrimoniale) la nuova quota derivante dall’aumento di capitale a 7,5 miliardi. Ne consegue che le riserve auree diminuiscono dello stesso ammontare. Spero sia chiaro.
scusi ma mi pare che il testo sia pieno di errori. Vi inviterei 1 a distinguere tra le riserve auree e le riserve ordinarie 2 a leggere il decreto 3 a leggere questa ottima analisi e rieditare il post. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di disguidi nell’informazione. ottima analisi, eccola qua: http://www.lavoce.info/quanto-vale-la-banca-ditalia/
se permettete sarebbe decisamente il caso di affrontare anche la questione del dividendo.
Grazie delle osservazioni. L’articolo di G. Siciliano su La Voce.it evidenzia l’anomalia della situazione della Banca d’Italia. Fintanto che le banche azioniste erano, pur Spa, “banche pubbliche”, un possibile conflitto d’interesse tra proprietà della BdI e sua funzione di Ente di diritto pubblico era tutto sommato controllabile (anche se non eliminabile). Con la privatizzazione del sistema creditizio italiano e la sua concentrazione a partire dagli anni ’80, tale anomalia diventa sempre più grave. Due banche private sono arrivate a detenere più del 50% del capitale sociale della BdI. Con l’aumento del capitale sociale la situazione muta. Viene posto un limite alla detenzione delle quote azionarie ma dall’altra l’aumento di capitale sociale della BdI avviene a costo zero per gli azionisti. Si utilizzano le riserve ordinarie, comunque una parte delle stesse attività patrimoniali della BdI. Ciò garantisce un aumonte delle poste attive per le banche interessate (funzionali al superamento degli stress test europei) e un aumento dei dividendi da incassare. Viene risolto in questo modo il potenziale conflitto di interessi? Direi proprio di no. Si fa solo un’operazione che è utile allo Stato che incassa 1 miliardo di tassazone al 12% delle plusvalenze e si migliorano i conti delle banche. Riguardo infine alla distinzione tra riserve auree e riserve ordinarie, la distinzione oggi ha perso quel significato che aveva ai tempi della lira, quando era possibile una politica valutaria nazionale (di difesa del cambio). Oggi le riserve auree sono a tutti gli effetti poste delle attività patrimoniali, sul cui uso non vi è la necessaria chiarezza. Sono formalmente un tesoretto dell’Ente di diritto pubblico denominato BdI o sono potenzialmente fonte di guadagno per le banche azioniste?
Cito da Siciliano:
“I profitti di una banca centrale infatti sono di proprietà della collettività perché ottenuti sfruttando in regime di monopolio un bene pubblico, ossia il diritto di signoraggio.
….. Per questo motivo, gli utili delle banche centrali (cioè i ricavi derivanti dal diritto di signoraggio meno i costi di funzionamento) vengono distribuiti allo Stato. Tuttavia, non tutti gli utili della Banca d’Italia vengono distribuiti allo Stato, perché una parte significativa è accantona a riserva. Lo statuto della Banca d’Italia prevede, infatti, che possano essere accantonati a riserva fino al 40 per cento degli utili (articolo 39). Le riserve sono investite in asset che generano a loro volta interessi e proventi, che si sommano ai ricavi derivanti dal diritto di signoraggio. In sostanza, tutti gli utili della Banca d’Italia derivano direttamente o indirettamente dallo sfruttamento di un bene pubblico. I soggetti privati titolari delle quote del capitale della Banca d’Italia non possono dunque vantare alcun diritto sui quegli utili.”
E poco dopo:
“i privati non possono vantare alcun diritto neanche sulle riserve, perché derivano da utili non distribuiti”.
E allora perchè l’aumento a 7,5 miliardi di capitale è andato a solo beneficio delle banche azioniste? Questo è il punto sottolineato nell’articolo, ovvero: è possibile una gestione “comune” di tali riserve e delle riserve aure per finalità sociali e non private?
Vorrei che fosse fatta luce, a beneficio dei lettori, sul fatto che in ultima analisi la ricapitalizzazione nominale potrebbe anche non dare luogo ad alcun esborso effettivo se non fosse per 1il dividendo calcolato sul nuovo nominale che determinerà di fatto il valore di mercato delle quote. Che dovranno essere cedute. Sarebbe anche opportuno informare i lettori che tali quote potranno esser di fatto possedute anche da soggetti esteri nell’ambito UE e che è sottostante una obiettiva strategia di allontanamento della banca da qualsiasi coup de tete mirante ad un ripristino della sovranità monetaria nazionale. Sono certo che i lettori come, chi scrive, condividono la propsettiva di un utilizzo delle riserve per il bene comune, sia esso in forma di un’operazione monetaria od altro, ma devono essere avvertiti di come e quanto questa ipotesi sia stata allontanata. Sarebbe importante anche indicare le modifiche alla governace dell’istituto centrale messe in atto dal provvedimento che possono essere ricavate da questo sunto http://www.liberazione.it/rubrica-file/-La-fine-della-Banca-d-Italia–nel-silenzio—.htm.. La ringrazio per l’attenzione che ha riservato al problema, di cui è bene che tutti siano partecipi al massimo livello di comprensione.
Peraltro, pur non avendo letto i bilanci, sempre che sia un esercizio utile tentare di decifrare un bilancio bancario dove la fantasia supera qualsiasi altra capacità redzionale, sembrerebbe che non ci fosse nessuna necessità di questa iniezione di capitale in relazione agli stress test. Anche questo dovrebbe essere chiarito: troppo spesso le banche piangono miseria per approfittare della collettività, senza alcuna urgenza sottostante. Ed il recente annuncio sulla mega bad bank di Intesa apparso sul financial times potrebbe non essere altro che smoke and mirrors vista la reazione dell’opinone pubblica. Vedremo se l’ipotesi si concretizzerà. http://www.trend-online.com/prp/banche-stress-test-bce-unicredit-intesa/2.html c’è anche un report precedente, sempre di equita sim.
L’articolo fa chiarezza su una serie di questioni che i cittadini non conoscono..c’è un passaggio però che mi rimane dubbio. Lo riporto sotto: “Si tratta, si badi bene, di riserve pubbliche (non private, anche se la BdI è privata), in quanto accantonate negli anni passati sulla base dei saldi della Bilancia dei Pagamenti dell’intera economia nazionale. Attualmente tali riserve sono composte nella parte ancora aurea da 2.400 tonnellate d’oro – per un valore corrispettivo di circa 110 miliardi di euro – e dai guadagni che derivano dalla gestione della moneta circolante girata a Bankitalia dalla Bce.”
Le riserve della banca d’Italia sono state accantonate nel tempo destinando gli utili parte agli azionisti (le banche appunto, con il recente decreto si destina il 6%), parte a riserve (circa il 46/48%) il resto al bilancio dello stato. Mi rimane perciò difficile capire come entra in questa ripartizione la Bilancia dei Pagamenti. In attesa di chiarimenti saluto e ringrazio.
Loretta
Grazie della domanda, che permette di fare ulteriori chiarimenti. Le riserve aure sono una delle componenti delle attività patrimoniali del bilancio BdI, il cui ammontare è deciso dalle scelte di politica valutaria. Normalmente, se si registra un surplus nella bilancia dei pagamenti, nel nostro paese entra molta più moneta di quanto ne esca a seguito degli scambi internazionali. Tale surplus monetario è controllato dalla Banca d’Italia, (non avendo per Statuto la BCE la possibilità di fare politica valutaria: siamo in cambi flessibili). Vi sono due alternative: o tale surplus va interamente ad alimentare l’offerta di moneta oppure in parte viene trattenuto e va ad alimentare le riserve valutarie e quindi, in una sua parte, le riserve auree. Di conseguenza l’ammontare delle riserve auree come quota delle riserve valutarie dipende in ultma istanza dalla dinamica dei conti con l’estero, definiti dalla Bilancia dei Pagamenti. Detenere delle riserve aure/valutarie è importante, perchè nel caso di un deficit della Bilancia dei pagamenti, esse possono essere utilizzate per contrastare un processo di svalutazione della moneta nazionale (se esisteancora…). Nell’Europa dell’Euro, all’interno di un sistema di cambi perfettamente flessibile, tale intervento di gestione delle riserve auree non è possibile e di conseguenza tali riserve giacciono inutilizzate nei forzieri delle Banche Centrali e potrebbero essere utilizzate per altri fini.
Ma giusto per capire, qui si dice che i 7,5 miliardi non vengono presi dagli attivi patrimoniali della Banca d’Italia ma che “i proprietari delle azioni rivalutate le venderanno sul mercato per scendere al 3 per cento” e che “i soldi che andranno alle banche verranno dal mercato, non dallo Stato”. Chi ha ragione?
http://micheledisalvo.com/2014/02/le-balle-di-grillo-su-bankitalia.html
Tra gli attivi patrimoniali della BdI vi sono le riserve auree, quelle speciali e quelle ordinarie e straordinarie. La ricapitalizzazione fa riferimento soprattutto a quelle ordinarie e straordinaie (che ammontano a circa 15 mld), quindi agli attivi patrimoniali. In altre parole, l’aumento di capitale è finanziato dallo tesso patrimonio della Banca. E’ una cosa anomala per un aumento di capitale. Di solito, se si decide un aumento di capitale, tale aumento viene fatto aggiungendo risorse nuove fresche immesse dai soci azionisti, non utilizzando il patrimonio già esistente (quindi a costo zero). Si può dicutere poi dell composizione dell’attivo parimonale della BdI tra risrve auree e altre tipi di riserve. SE le risrve auree fanno la parte da padrone, non è esclso che si faccia poi affidamento su di loro….
Plaudo alla chiarezza dell’articolo e della visione socio-economica sottostante.
Rilevo però una confusione sulle riserve della Banca d’Italia. La Banca d’Italia “detiene e gestisce le riserve ufficiali del Paese”, di cui fanno parte anche le riserve auree citate nell’articolo. Ma le riserve da cui vengono i fondi per la ricapitalizzazione non sono queste, bensì le “riserve statutarie” della Banca d’Italia, ovvero le riserve, previste dallo Statuto, in cui la Banca d’Italia accantona anno per anno una quota degli utili di esercizio.
Se è vero che tali utili derivano anche, ma non solo, dalle attività di interesse pubblico svolte dalla Banca d’Italia, è anche vero che è già previsto appunto dallo Statuto (che, ricordo, è approvato con legge dello Stato, perché la Banca d’Italia è istituto di diritto pubblico) che parte di tali utili (non più del 20%) restino alla Banca d’Italia.
In termini formali e legali, dunque, nessun utilizzo di fondi pubblici o di riserve statali.
Da un punto di vista sostanziale, d’altra parte, dobbiamo sempre ricordare che l’assetto istituzionale dello Stato e i rapporti tra Stato e Banca Centrale non sono piovuti da un empireo giuridico su una terra capitalista: è il capitalismo stesso che si è dato (pur nelle sue contraddizioni e con le ovvie resistenze di classe) regole adatte a sopravvivere. L’operazione di ricapitalizzazione della Banca d’Italia è un ottimo caso di studio per mostrare che leggi formalmente ineccepibili (a parte, forse, il problema dell’accorpamento all’abolizione della rata IMU) sono cionondimeno (o forse proprio per questo) profondamente intrise di valori capitalisti. Finché ci concentriamo sul singolo provvedimento, cercando di mostrare la malafede di chi lo ha proposto o le eventuali menzogne con cui è stato portato avanti, non facciamo nessun passo avanti. Mentre tutti si concentravano sulle leggi ad personam dei governi Berlusconi, quegli stessi governi e i governi dei suoi avversari politici hanno portato avanti politiche sociali ed economiche condotte immancabilmente contro i lavoratori. Le leggi ad personam erano un epifenomeno, ma la sostanza era la precarizzazione del lavoro.
Così oggi dobbiamo concentrarci su quanto nelle leggi e nei decreti che vengono quotidianamente proposti c’è di organico ai progetti di austerity, e non su quanto c’è di anomalo, di contiguo, di individuale.
Scritto da A. Fumagalli.
D’accordo con il commento. Nessun utilizzo diretto dei fondi statali è stato fatto (infatti ciò è rivendicato da Saccomanni, che può parlare di guadagno per le casse statali, visto il pagamento del 12% sulle plusvalenze maturate dalle banche azioniste). Si è solo ricorso alle attività patrimoniali dell’Ente di Diritto pubblico, denominato BdI. Le riserve a cui si è attinto sono quelle ordinarie e straordinarie (non so se si chiamano “statuarie”). Come già scritto, l’aumento di capitale si fa con soldi freschi (onere per gli azionisti) e non attingendo al patrimonio della società…. (a costo zero per gli azionisti), altrimenti tutti i giorni (noi azionisti :-)) ci facciamo un bell’aumento di capitale….
Tali riserve ordinarie e straordinarie sono parte delle riserve ufficiali della BdI (insieme a quelle auree) e, anche se legalmente ciò è permesso, non mi sembra che ci sia tutta questa trasparenza. Ovviamente sono altri gli obiettivi che sono in gioco.
Due inesattezze. La prima: le ricapitalizzazioni, in realtà, si possono fare o battendo cassa agli azionisti o attraverso il patrimonio della società. In una società di diritto privato queste cose vengono decise dall’assemblea degli azionisti. Nel caso della Banca d’Italia gli azionisti non possono decidere su questo punto, ma può farlo la legge. Niente di strano, dunque.
La seconda: le riserve statutarie (ordinarie e straordinarie) non fanno parte delle riserve ufficiali (nazionali e BCE).
Riguardo la prima inesattezza, per quello che ne so (non sono un esperto di diritto societario) , l’aumento di capitale in una società privata (come è la BdI) viene finanziata dagli stessi azionisti. Se non erro, è possibile un aumento di capitale sociale “ope legis”, ma solo in occasioni particolari (ad esempio società di proprietà pubblica, vedi Iri) e non mi sembra che questo sia il caso della BdI.
Riguardo alla seconda presunta inesattezza, ribadisco che oggi nell’area Euro, non essendoci più una politica valutaria nazionale, la distinzione tra riserve ufficiali e riserve di altra natura è solo formale e non più sostanziale. Esse sono tutte parte dell’attivo patrimoniale e non mi stupirei (e nessuno potrebbe gridare allo scandalo, a meno che non abbia le fette di salame sugli occhi: è il capitalismo, bellezza!) se in un prossmo futuro, per varie ragioni, esse venissero utilizzate per fini privati, con una qualsiasi giustificazione di natura emergenziale o nazionale (come oggi).
per me come per la maggior parte della gente , purtroppo , è arabo , ci fidiamo dei 5 stelle e di Fumagalli , a proposito , non si fanno più quei begli incontri divulgativi al piano terra ? saluti
IL 13 febbraio ore 19 aperitivo e discussione con Carlo Formenti (autore), Cristina MOrini e Federico Chicchi sul libro: “Utopie letali”. omposizione del lavoro vivo,precrietà e forme di organizzazione….. A PIano Terra