Nell’ambito del dibattito aperto su Effimera dal recente intervento di Denis Jaromil Rojo, pubblichiamo la traduzione italiana del contributo di Emanuele Braga, presentato al convegno THE ART OF DAO: si tratta di un evento che si è svolto lo scorso anno, precisamente il 9 giugno 2021, al Museo di Arte e Design di Amburgo MK&G all’interno del progetto LIFE ON PLANET ORSIMANIRANA e co-prodotto da Institute of Radical Imagination, in cui diversi esperti europei di Blockchain e Commons hanno discusso dei rischi e delle sfide ancora aperte nel mondo Crypto. Attorno a quel tavolo sono confluiti progetti e ricercatori che hanno sperimentato nell’ultimo decennio l’utilizzo di blockchain e cripto-economica per il processo di commoning.

La sfida proposta è stata (ed è) come usare la tecnologia non per un cieco tecno-ottimismo – replicando la finanziarizzazione capitalistica del sociale, della concorrenza e dell’individualismo – ma, al contrario, come le nuove tecnologie potrebbero utilmente infrastrutturare il pianeta a venire. L’occasione offerta da quella tavola rotonda è stata importante per chiedersi come la NFT (Non-Fungible Token), il processo decisionale, la raccolta fondi e la gestione comune delle risorse possano rappresentare risposte tecnologiche a domande politiche. 

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Dietro alla tecnologia ci sta la cultura della tecnologia. Il che significa che occorre capire come usare gli strumenti, quale è la percezione degli umani di questi strumenti, che storia hanno gli strumenti e di che contaminazione sono figli. Gli strumenti sono generati da storie di oppressione, di cooperazione e di lotte. Occorre capire che cosa vi è iscritto, quale sia la loro architettura per capire quali tipi di innesti sono possibili.

Un po’ per fortuna e un po’ a partire da queste considerazioni, nel 2013 abbiamo ospitato il team globale dei principali sviluppatori di Bitcoin, sono stati per un mese ad abitare con noi a MACAO (Centro per le arti e l’attivismo, a Milano) per sfuggire al controllo del governo americano… Capimmo allora che Bitcoin era una rivoluzione rispetto al sistema bancario tradizionale, ma che non lo era nei confronti del sistema finanziario ed energetico in cui si muove il capitalismo. Eravamo certi che Bitcoin e la blockchain avrebbero prosperato a medio lungo termine, ma a noi non importava solo questo punto di vista.

Ci importava molto di più capire come poter usare le nuove tecnologie per rispondere a dei problemi politici della contemporaneità. In quanto assemblea di artisti autogestiti avevamo il problema della precarietà. Nessuno di noi aveva soldi, nessuno di noi aveva un lavoro sicuro. Il mondo che era stato disegnato nel Novecento si era sciolto. Non c’erano più lavori stabili, posti fissi o aiuti pubblici. Mentre negli anni sessanta i nostri genitori avevano lottato per rompere ogni schema contro lo status quo, noi siamo cresciuti in un mondo instabile, precario in cui la stabilità, le sicurezze e gli schemi fissi sono un lusso. Per noi tutto è precario, un rischio, una sfida, e nulla è garantito, stabile e sicuro. Tanto più in quanto artisti: la creatività, l’improvvisazione tipica degli artisti sono diventati, piano piano, il modello per precarizzare tutto il mondo del lavoro.

Allora la domanda di questo inizio di millennio è: che fare in un mondo in cui tutto è precario e reticolare?

Una possibile risposta che è emersa in modo molto esplicito negli scorsi anni è: diventiamo tutti fascisti. Riportiamo un po’ di sicurezza e di regole, ritorniamo ad essere reazionari. Lottiamo per la protezione dei nostri confini, solo la Patria può garantire lo stato sociale, l’uomo bianco e maschio deve mostrare quanto è lunga la sua pistola per riportare ordine e giustizia. Credo sia stato sotto gli occhi di tutti questo fenomeno: la ex-classe operaia, la classe media impoverita dalla crisi finanziaria si sposta a destra a livello globale. Abbiamo anche analizzato il fenomeno delle crypto currencies in relazione a questa fascistizzazione della società. Speravamo che la blockchain fosse la tecnologia della sinistra alternativa e rivoluzionaria. Invece abbiamo scoperto che era per lo più la tecnologia della destra reazionaria. Il blocco sociale maggioritario che ha investito in cryptocurrencies è proprio caratterizzato da maschi bianchi impoveriti dalla crisi, con il sogno del guadagno facile, competitivi e individualisti.

La domanda è: il fascismo, l’individualismo e la competizione sono quindi l’unico destino per la blockchain?

In altre parole: è possibile generare forme di organizzazione a partire dalla instabilità e dalla precarietà che non siano fasciste?

L’alternativa governamentale al populismo/fascismo che è cresciuta nell’ultima decade è quella neoliberale democratica. La tecnocrazia liberale e democratica sta proponendo un’altra variante del ritorno dello stato e della competizione individuale. Dopo l’elezione di Biden alla guida degli Stati Uniti, il ritorno ad un investimento nella Nato dell’Europa e nelle linee guida del piano economico post-pandemico Next Generation EU, si può leggere un programma di restaurazione neoliberale che investe con tecno-ottimismo ponendo al centro gli interessi privati essendo in grado di mantenere il controllo sociale. È sotto questa lente che si possono leggere i riposizionamenti delle grandi piattaforme del capitale come Facebook, Amazon, Google, delle principali compagnie che controllano l’energia e le risorse energetiche, così come quelle che gestiscono la logistica, la farmaceutica e i mercati finanziari, che stanno cercando, attraverso il digitale e le nuove tecnologie, di controllare e determinare i comportamenti sociali, mantenendo la guida sui profitti e la distribuzione di ricchezza.

Sia i nazionalisti antidemocratici che i liberal democratici sono due varianti del neoliberismo, entrambe hanno un’idea della società come somma di individui che competono per garantire i propri interessi.

Ritorniamo allora al DNA di questa tecnologia per capire quali culture e assemblaggi possibili stanno dietro alla blockchain. L’architettura di Bitcoin e della blockchain si basa, a mio parere, su tre pilastri: autenticità, anonimità e un certo grado di automazione. L’autenticità è ciò che permette alle applicazioni della blockchain di essere così dirompenti. La combinazione fra sicurezza e semplicità è la forza della blockchain. La blockchain è un’unica catena di blocchi che tutti possono scrivere ma che nessuno può falsificare. Solo per questo aspetto la blockchain è stata in grado di sostituire il sistema bancario tradizional, di sfidare il mercato finanziario e di integrare il vecchio apparato burocratico. La tecnologia ha sostituito il ruolo delle agenzie di garanzia. L’anonimità permette invece di separare il destino del Cosa dal destino del Chi. La blockchain si può esplorare, è trasparente a chiunque, ma può mantenere nascosto l’identità di chi compie le azioni.

Il terzo aspetto principale della sua architettura è l’automazione. Attraverso le blockchains si possono automatizzare le azioni e quindi le relazioni sociali. Uno degli effetti più evidenti dell’automazione delle crypto è il limite di emissione di Bitcoin, il meccanismo del mining, il modo in cui questo processo ne determina la volatilità, la scarsità sui mercati finanziari e l’assorbimento energetico. Ma il grado di automazione è un aspetto molto importante anche nelle DAO (decentralized autonomous organization) e nella esecuzione degli smart contracts.

Allora la questione è semplice: perché ho parlato di Autenticazione, Anonimità e Automazione? Perché credo che su questi tre assi possiamo lavorare per comprendere la cultura che sta dietro a questa tecnologia e cioè come possiamo usare questi strumenti. Credo che essere sicuri di rimanere anonimi per competere con qualcun altro nella speranza di accumulare di più per me stesso, sia solo un modo di interpretare la potenza di Autenticazione/Anonimità/Automazione.

Insomma è indubbio che le crypto e la blockchian abbiano trovato terreno fertile nella cultura anarco-capitalista libertaria e individualista (prima) e fascista neoliberista dopo. Perché questa cultura declina autenticità/anonimato/automazione sugli assi di sicurezza/individualismo/competizione.

Quello che invece proponiamo noi è come declinare autenticità anonimato e automazione sugli assi della cura, della cooperazione, e della visione ecosistemica.

È una scelta politica? Sì.

In una prospettiva archeologica quale è la storia degli assemblaggi che hanno portato alla blockchain? La blockchain è nata da una crisi del capitalismo, da un terreno arido e depresso. Attecchisce e prolifera fra il precariato di tutto il mondo. I grossi fondi finanziari ne sono attratti per la sua resistenza tecnica e la duttilità nei mercati e per sviluppare tecnologie di controllo. La blockchain nasce e prolifera in questo terreno, un terreno rovinato dal capitalismo agonizzante. Quello che interessa a noi sono le forme di relazioni che possono nascere in questo terreno. La blockchain sfida in due direzioni, due modelli per stare nel deserto lasciato dalle rovine del capitalismo: il fascismo individualista da una parte e la cooperazione ecosistemica dall’altra. Lo stesso acronimo DAO, decentralized autonomous organization, credo metta molta enfasi sui due primi termini a discapito del terzo.

A MACAO abbiamo sviluppato due progetti principali negli scorsi 10 anni: uno è Commoncoin, connesso alla distribuzione di Basic Income, l’altro è il supporto della cooperativa di FAIRCOIN e la fondazione di BANK OF THE COMMONS. Sia il progetto di Commoncoin che in quello di Bank of the Commons sono il risultato della capacità di combinare la decentralizzazione con il comune. L’autonomia dei soggetti e la cooperazione. Ciò che ci piace della decentralizzazione e del concetto di autonomia è lo spazio di libertà di autodeterminazione. Ciò che ci piace del concetto di comune è che l’individualità è sempre parte di un collettivo, di un dispositivo. L’unicità della persona tolta dall’ecosistema in cui è inserito è alienato, perde di valore. Quello che mi preme sottolineare nell’acronimo DAO è la relazione, apparentemente ossimorica, fra decentralizzazione, autonomia da una parte e organismo o organizzazione dall’altra. Il successo di una DAO credo sia da ricercare nella capacità di tenere insieme queste due dimensioni: processo di soggettivazione, da una parte, e organismo come bene comune, dall’altra. Se il comune controlla troppo la libertà del soggetto definendone ogni suo spazio di manovra la DAO fallisce. Se il soggetto si aliena dalla organizzazione pensando di realizzarsi come individuo la DAO fallisce.

Da queste considerazioni credo siano nati alcuni assemblaggi o alcune applicazioni della blockchain e delle crypto per me più interessanti. Il primo sono i portafogli comuni. Come gestire portafogli comuni. A Macao abbiamo preferito suggerire un meccanismo di tassazione proporzionale con vari metri di valutazione ai progetti partecipanti per creare portafogli comuni. Ogni progetto autonomo che gravita nell’organizzazione contribuisce in base alla sua capacità a dei portafogli comuni. Questi portafogli comuni li abbiamo usati in tre principali direzioni. La prima, è stata la distribuzione incondizionata di liquidità che chiamiamo Basic Income, rivolta a tutti i partecipanti alla vita attiva dell’organizzazione. La seconda, è una cassa comune per la cura e la manutenzione dei mezzi di produzione dell’organizzazione. La terza, un portafoglio comune per l’investimento in progetti politicamente rilevanti.

Per fare solo un esempio, il finanziamento delle navi che salvano i migranti nel Mediterraneo da parte dell’azionariato diffuso promosso dal movimento. Il nostro processo decisionale è basato sul consenso. Anche la disautomazione della macchina passa attraverso il consenso. Nel caso in cui non vogliamo che un certo pagamento venga effettuato, o nel caso in cui vogliamo interrompere un automatismo, ne discutiamo. Questa è la mia proposta per cominciare a parlare di DAO: la nostra dimensione sociale è fatta di unicità interdipendenti all’interno di un collettivo, ma l’aspetto più importante è cosa nasce da questa entropia. Come il processo generativo di questa entropia costruisce il comune in un movimento allo stesso tempo negantropico. In altre parole la pratica del commoning.

Questo si declina su diversi piani.

Il primo piano è quello della pratiche di common, del fare comune assieme. Su questo piano le forme organizzative sono multiple, diversificate e intersezionali. Molto spesso i movimenti per il diritto alla casa, la prospettiva femminista, la cooperazione, la lotta alla gentrificazione, l’antirazzismo, i clima-attivisti, le lotte per il reddito incondizionato non convergono in una unica identità ma interagiscono, creando alleanze diversificate. Le nuove tecnologie servono proprio a infrastrutturare questo tipo di alleanze. È per questo che piattaforme digitali autonome e autogestite e piattaforme cooperative decentralizzate stanno costruendo spazi economici alternativi per i commons e la cooperazione.

Il secondo piano è quello del ruolo della democrazia e delle politiche pubbliche. Non dobbiamo lasciare che le politiche pubbliche che assicurano un accesso universale a servizi, quali la sanità l’educazione e il reddito, siano lasciate alla falsa alternativa fra fascio autoritarismo e tecnocratici liberal. Dobbiamo difendere un ruolo dello stato come garante delle spinte dei movimenti e che sia alternativo alle varianti neoliberali. Per questo dobbiamo ostinatamente continuare quel programma di processo istituente dei movimenti che riescono a determinare la governance dello spazio pubblico e della geopolitica internazionale. Questa è una critica alla diffusa percezione di autosufficienza di tanti progetti comunitari artistici e di cooperative sociali. I progetti locali di creazione e invenzione tecno politica devono inserirsi poiché acquistano senso solo nella lotta dei movimenti sociali e nella creazione o invenzione di un disegno istituzionale politico post-capitalista comune.

Immagine in apertura: LIFE ON PLANET ORSIMANIRANA, MK&G HAMBURG, 2021 WITH MACAO, ASSEMBLE AND MANY OTHERS

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