Il 10 aprile scorso si è svolto uno sciopero unitario di sindacati di base e collettivi di operatrici e operatori sociali per chiedere l’internalizzazione dei servizi sociali ed educativi che da anni sono affidati al Terzo Settore attraverso esternalizzazioni. Il giorno dello sciopero, a Milano, Sial Cobas e CUB Monza hanno organizzato un’assemblea-seminario per discutere e approfondire il tema. C’erano diverse decine di lavoratrici e lavoratori ed è stata un’occasione importante di confronto e riflessione sulle prospettive di analisi e di azione. Per raccogliere alcuni degli spunti emersi dall’assemblea proponiamo un’intervista a cura del Laboratorio Welfare Pubblico (LWP) a Matteo Maserati, operatore e delegato sindacale Sial-Cobas. L’intervista parla dell’internalizzazione e dei servizi, di come sono e di come dovrebbero essere. Si tratta del primo di una serie di contributi che il LWP sta elaborando per discutere l’idea dell’internalizzazione dei servizi in tutte le sue implicazioni e aprire un ragionamento collettivo sul Terzo Settore.

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1. Come nasce la giornata di sciopero e come è stata declinata a Milano?

Uno dei punti centrali era legato alla questione dell’internalizzazione: un tema che sia nei comitati che nelle nostre reti e nei sindacati di base bolle in pentola da tanto tempo e ha avuto un’accelerazione nell’ultimo anno legata alla presentazione di diverse proposte di legge depositate in Parlamento.

Però, al di là della contingenza di queste proposte, quella dell’internalizzazione dei servizi è un’idea con una storia lunga, che viene dal basso e che aveva avuto una nuova spinta propulsiva durante la pandemia, quando è emerso in modo clamoroso che il sistema degli appalti ed esternalizzazioni non prevedeva delle tutele fondamentali in termini di ammortizzatori sociali. Questo era diventato evidente proprio nel 2020 quando, con il decreto “Cura Italia”, il governo Conte aveva dato la possibilità agli Enti Locali di erogare alle cooperative l’intero contributo dovuto, anche in caso i servizi si fossero dovuti interrompere a causa del lockdown, in modo da non penalizzare dal punto di vista salariale lavoratrici e lavoratori che non avessero potuto svolgere il proprio lavoro. Come avevo raccontato in quei mesi in un’altra intervista proprio a Effimera, la scelta degli Enti Locali fu però quella di pagare solo il lavoro diretto, penalizzando molto lavoratrici e lavoratori del Terzo Settore. Per questo, proprio durante la pandemia, il 13 novembre 2020, c’era stato anche il primo sciopero nazionale di categoria, promosso dalla Rete Nazionale Operatori e Operatrici Sociali e dalla neonata rete intersindacale con la parola d’ordine “Diamo il 100% vogliamo il 100%”. Quello del 10 aprile 2024 dunque è stato il secondo sciopero nazionale indetto dopo numerose assemblee intersindacali che si sono svolte in diverse città italiane.

2. Rispetto a quel momento, come accennavi, oggi siamo in una fase in cui il tema è – per la prima volta – all’ordine del giorno anche dell’azione legislativa, con due proposte di legge in discussione in Parlamento. Come si pone la questione a livello legislativo e qual è la vostra posizione?

Durante questa giornata c’è stata particolare attenzione all’iter del DDL sull’internalizzazione presentato dalla senatrice Bucalo (FDI). Il disegno di legge sembrava ad un punto morto da più di un anno e USB ha proposto di rimetterlo al centro dell’attenzione per sostenere il processo di internalizzazione. Si sono così delineate diverse strategie d’intervento che hanno caratterizzato anche le varie mobilitazioni della giornata: dal sostegno al disegno di legge cosi come proposto, alla critica alle proposte legislative dall’alto per rilanciare su un processo partecipato che si interrogasse anche su che tipo di internalizzazione sarebbe utile e necessaria per migliorare il riconoscimento, le condizioni e la qualità del lavoro nel settore. Nonostante queste differenze, la scelta unitaria è stata quella di convergere nella giornata del 10 aprile e dare rilevanza alla piazza di Roma, nella quale delegazioni da tutta Italia hanno portato il proprio contributo.

In diversi altri territori si sono svolti, presidi e flash mob sotto le sedi comunali dei servizi sociali e assemblee di lavoratrici e lavoratori.

Quello che ci è sembrato importante fare a Milano, insieme alla CUB Monza, è stato discutere del tema della internalizzazione in maniera assembleare, in modo da continuare a costruire una posizione condivisa e articolata. L’assemblea-seminario cittadina ha quindi messo insieme diverse decine di operatrici e operatori di realtà lavorative differenti, afferenti a diversi contratti nazionali e iscritti/e a diverse sigle del sindacalismo di base (rappresentando abbastanza lo scenario nazionale). Pensiamo infatti che l’internalizzazione debba continuare a essere il nostro orizzonte rivendicativo, strettamente connesso alle condizioni contrattuali esistenti oggi, fortemente peggiori rispetto al contratto del pubblico impiego, e riconfermate – da ultimo – nel recente rinnovo del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali, che riguarda circa 350 mila dipendenti.

Una delle proposte chiave che sono emerse dal confronto del 10 aprile è stata quella di provare a consolidare su scala metropolitana e regionale questo coordinamento intersindacale, purché sia fatto da lavoratrici, lavoratori, delegate e delegati: questo significa lavorare per costruire organizzazione a partire dai luoghi di lavoro.

3. Durante l’assemblea milanese si è anche parlato, grazie al lavoro di documentazione e di analisi della trasmissione Signore e signori il welfare è sparito – storica trasmissione in onda su Radio Città Fujiko, condotta da ben tredici anni dal collettivo bolognese Educatori contro i tagli – delle diverse proposte di internalizzazione, tutte rivolte al mondo della cosiddetta educativa scolastica che sono state presentate in Parlamento.

Sì, il tema dell’internalizzazione ha per la prima volta varcato le porte della politica ed è stato raccolto da due proposte di legge entrambe concentrate sul mondo della scuola, dove operatori e operatrici lavorano quotidianamente a fianco dei dipendenti pubblici ma a condizioni molto peggiori. La prima in ordine cronologico è quella che nominavo poco fa, avanzata dalla senatrice Bucalo di Fratelli d’Italia nel 2022, l’altra quella della deputata Ghirra dell’Alleanza Verdi-Sinistra nel 2023. La proposta Bucalo, venendo dalla maggioranza, ha fatto più strada, con molte audizioni e con l’attività di un gruppo di sostegno, il MISAAC, che ha avuto una discreta presa nel settore. Si tratta di un progetto che ha però dei lati poco chiari, sia nel metodo che nel merito. La proposta della legge (DDL 236) è quella di internalizzare “la funzione di assistenza all’autonomia e alla comunicazione”, ma non l’insieme dei profili che operano nella scuola per sostenere l’integrazione di studenti con disabilità nella classe e per aiutare le classi stesse a trasformarsi in senso inclusivo. Al momento ogni regione ha una figura diversa e, nonostante la formalizzazione della figura dell’educatore avvenuta nel 2017, il quadro è ancora molto frammentato e precario, soprattutto nelle regioni del sud, in cui Bucalo è stata eletta e in cui la sua proposta ha un consenso più forte. Insomma, come sottolineato dal  parere della Conferenza Stato-Regioni  non è chiaro quali figure che oggi lavorano nella scuola saranno internalizzate e con quali compiti esattamente: semplice “custodia” del minore disabile o sviluppo di pratiche inclusive e trasformative? Il secondo problema fondamentale è la mancanza di chiarezza sulla provenienza e la consistenza dei fondi che finanzierebbero l’iniziativa, con il grosso rischio che rimangano in capo alle funzioni regionali, considerando anche il progetto di “autonomia differenziata” che il governo sta portando avanti in questi mesi. Su questi due punti sembra più chiara la proposta di Ghirra, che riconosce la figura dell’educatore – per ottenere il cui titolo moltissimi operatori e operatrici in servizio da anni hanno tra l’altro dovuto compiere un percorso di studi ad hoc dopo il 2017 – come perno del processo di internalizzazione e prevede anche in modo chiaro l’obbligo per il governo – una volta approvata la legge – di costituire un fondo ad hoc che vada a finanziarlo.

Come vedi molti dettagli concreti restano dubbi in questa fase di proposte. Per questo, la posizione del SIAL Cobas, come quella di altri soggetti e realtà collettive che hanno promosso lo sciopero del 10 aprile, è quella di continuare a promuovere ricerca e dibattito sul tema dell’internalizzazione affinché siano lavoratrici e lavoratori, magari insieme a chi questi servizi li vive e ne usufruisce, ad esprimere e contribuire a determinare una transizione di questa importanza in senso inclusivo e realmente migliorativo nello sviluppo del servizio pubblico e dei servizi di cura, valorizzando e migliorando qualità e condizioni di lavoro.

4. Nell’assemblea sono intervenuti diversi collettivi e delegazioni sindacali, che hanno raccontato di iniziative e vertenze particolari nel milanese. Possiamo fare un quadro di quanto emerso riguardo a questo?

C’erano lavoratrici e lavoratori di diverse realtà, con diversi contratti (Cooperative Sociali, Uneba, Diaconia Valdese) a dimostrazione della frammentarietà strutturale del settore. Per questo crediamo che sia importante la proposta, che ho già richiamato, di una piattaforma alternativa che pone come riferimento per tutti i contratti quello del pubblico impiego.

Un gruppo di lavoratrici di un CAS gestito dalla Diaconia Valdese ha raccontato dei problemi legati al rinnovo appena avvenuto di quello specifico contratto (sottoinquadramento, aumenti tabellari che non recuperano il gap con l’inflazione, abbondante ricorso alla banca ore) e delle azioni che stanno portando avanti in questa fase con il supporto delle CLAP.

Sono intervenuti anche alcuni lavoratori di due cooperative medio-piccole dell’area di Crema, che hanno raccontato di come l’adeguamento del loro contratto al rinnovo del 2019 è avvenuto solo nel 2023 e solo per alcuni servizi, mentre altri restano al di sotto delle indicazioni del contratto del 2019.

Un’altra presenza interessante è stata quella di compagni operatori che si stanno impegnando nella politica locale, misurandosi da dentro con i margini strettissimi che gli Enti Locali hanno per limitare le esternalizzazioni, stretti come sono tra vincoli di bilancio europei e nazionali, come anche una campagna nazionale di Attac  aveva evidenziato lo scorso anno.

5. Quali pensate che saranno le linee d’azione più importanti per i prossimi mesi?

Certamente il sostegno alla partecipazione e il coinvolgimento diretto di lavoratori e lavoratrici. Ciò che diciamo in ogni assemblea è che in ogni luogo di lavoro bisognerebbe sostenere l’elezione di rappresentanti sindacali (R.S.A. e R.S.U.) e rappresentanti della sicurezza (R.L.S.). La prima forma di coordinamento tra realtà sindacali e intersindacali che vogliono costruire progetti in comune dovrebbe partire dal coordinare delegati e delegate, oltre a spingere su una partecipazione attiva, allargata di lavoratrici e lavoratori che possano riconoscersi, prendere spunto e coraggio per lottare per il miglioramento delle loro condizioni di lavoro e per la qualità del lavoro di cura nei servizi in cui operano.

Questo livello di impegno e partecipazione è importante anche perché ci sono questioni, che riguardano l’organizzazione del lavoro e l’uso delle risorse, rispetto alle quali gli interlocutori sono le aziende e le organizzazioni per cui si lavora (cooperative, associazioni, fondazioni, consorzi di comuni riuniti in aziende speciali). Si tratta di questioni che già potrebbero determinare un miglioramento di alcune condizioni: ad esempio la conquista di “ore indirette” per la progettazione, co-progettazione, monitoraggio, verifica degli interventi e dell’andamento del servizio in cui si opera; il non abuso della banca ore; la riduzione dei contratti precari; il riconoscimento di ore retribuite per effettuare cure sanitarie e per lo studio e la formazione individuale; il riconoscimento e la delimitazione degli spostamenti durante l’orario di lavoro in una porzione del territorio.

Ci sono poi delle questioni di carattere generale che dovrebbero continuare a essere affrontare su scala nazionale come la costruzione di piattaforme per un contratto nazionale migliore, una campagna contro le speculazioni lobbistiche e nuovamente divisive legate agli albi professionali, un maggior investimento del pubblico in questo settore e il ragionamento su quale processo di internalizzazione immaginare e promuovere.

Rilanciamo inoltre la raccolta di adesioni alla piattaforma alternativa per un altro contratto possibile e necessario e la possibilità di inviarci osservazioni e commenti e un lavoro di promozione con le altre forze del sindacalismo di base con cui si è costruita la giornata del 10 aprile.

Riaffermiamo la nostra volontà e disponibilità a mettere lo strumento sindacale a disposizione di chi vorrà costruire assemblee e organizzazione nel proprio luogo di lavoro e nel proprio territorio, a partire dalla Lombardia in cui siamo maggiormente attive/i.

Mettiamo a disposizione materiali di consultazione e approfondimento a partire dai quali si potrebbe continuare a ragionare e costruire campagne e battaglie.

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Il Laboratorio Welfare Pubblico, nato nel 2021, è una rete nata di persone che lavorano nei servizi sociali e che fanno ricerca sul welfare nelle università e in altri contesti e vuole costruire uno spazio aperto e dialogico di scambio e riflessione sulla crisi del welfare pubblico e del lavoro sociale e sui modi in cui provare a risolverla.

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