Il 2014 non sarà un anno facile da dimenticare. Un anno denso di accadimenti e allo stesso tempo molto problematico. Talmente problematico, soprattutto in Italia, che il suo ricordo rimarrà vivo in molte/i più per gli aspetti negativi che per quelli positivi (che pure ci sono stati).

Cominciamo dai primi.

In Italia, il primo fatto assolutamente negativo è ciò che abbiamo definito l’istituzionalizzazione della precarietà a seguito all’approvazione definitiva del Job Act, su cui abbiamo molto scritto (19 febbraio,  20 marzo, 25 marzo1 aprile, 1 luglio, 5 luglio, 22 luglio, 23 settembre6 ottobre, 9 dicembre. Si chiude così, almeno giuridicamente, la partita sulla generalizzazione della precarietà (nonostante la tardiva voce grossa della Cgil), si apre quella inerente il lavoro gratuito, avviata già dal 2013 con il primo accordo sindacale che per la prima volte lo introduce con la giustificazione del grande evento Expo 2015. Oggi, grazie a Poletti e a quell’accordo, il lavoro gratuito diventa potenzialmente estendibile a 800mila giovani secondo il piano Garanzia Giovani. Si ripeteranno, da parte sindacale, gli stessi ritardi e gli stessi errori di comprensione del passato sul tema della diffusione della precarietà e dello smantellamento progressivo dei diritti del lavoro? L’esperienza non insegnerà nulla?

Sempre sul piano economico, il decreto Sblocca Italia e la Legge di stabilità confermano, per l’ennesima volta, la filosofia conservatrice e la totale inadeguatezza delle scelte di politica economica di questa fase: da un lato, il mattatore Renzi promette “vivacità e ritmo” al paese e mistifica la crescita economica appoggiata sul saccheggio del territorio e sulle grandi opere, dall’altro si conferma la logica dell’austerity con la novità di un intervento di riduzione delle tasse solo a vantaggio delle imprese.

Sul piano politico, il 2013 ha visto il trionfo mediatico di Matteo Renzi, lo sdoganamento politico di Berlusconi, la crisi dei 5S e l’insostenibile inutilità della ex sinistra radicale del XX secolo. Questi due ultimi fattori potrebbero rappresentare un elemento di positività qualora si sviluppasse, anche in Italia, la capacità di generare movimenti autonomi di “sinistra”, non compromessi con retaggi di un passato lavorista né con populismi di breve periodo e retoriche dell’antipolitica e dell’anti-Euro. Tale capacità, per il momento, non è ancora maturata ed è ciò, dal nostro punto di vista, il lascito peggiore di questo 2014.

Ciononostante vanno segnalati anche aspetti positivi, soprattutto nella seconda parte dell’anno. Ci riferiamo, in particolare, al percorso dello sciopero sociale, avviato in novembre. Un percorso irto di ostacoli e di incertezze che rischiano di diventare insuperabili se non verranno attivati processi di soggettivazione che fuoriescano dai circuiti militanti – tra l’altro sempre più in difficoltà a causa dei violenti affondi della crisi, potente dispositivo di dispersione di energie, intelligenze, desideri. Si tratta, in modo davvero ineludibile, di riuscire a comunicare, a “parlare” in forma nuova con quei settori della società impoveriti e frustrati dalle politiche contemporanee, riconnettendoli sulla base di un progetto di trasformazione reale. Un progetto che può connettere quei soggetti, precari e non, giovani e meno giovani, che sono sempre meno attirati dalla retorica della sinistra tradizionale (sia essa di potere o di opposizione) e dalla “speranza di rinnovamento” per un breve periodo rappresentata dal “movimento” 5S.

Ci riferiamo a progetti e proposte di trasformazione, anche in grado di interloquire con la controparte dal punto di vista della autorevolezza e della realizzabilità, senza cadere nelle trappole dei riconoscimenti ai tempi dell’economia della promessa, come l’esperienza del Teatro Valle ci ha mostrato. Il convegno sulla “Moneta del Comune” di fine giugno ci ha permesso di individuare una linea di proposta concreta (reddito di base, moneta del comune…) sulla quale occorre continuare a lavorare. Lo stesso convegno su “Crisi e composizione di classe” di fine novembre ci ha permesso di cogliere alcuni dei nodi problematici che attanagliano l’attività politica dei movimenti e il problema irrisolto dei rapporti con la controparte istituzionale. Il modello di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna non può essere semplicemente scimmiottato, magari partecipando a qualche evento elettorale, ma deve essere reinventato e declinato nel difficile panorama politico italiano, creando “pensiero altro”, generando egemonia in grado di modificare i rapporti di forza.

Anche sul piano internazionale, gli aspetti negativi superano gli aspetti positivi. Venti di guerra spirano minacciosi, dall’ennesimo massacro palestinese perpetrato da Israele alle tensioni in Ucraina a partire dalla Crimea per arrivare all’avanzata dell’Isis in Medio Oriente, per ora bloccata in modo autonomo e non convenzionale dalle forze autorganizzate dei Curdi a Kobane, ignorate dagli “esportatori di democrazia”.

La diplomazia è morta come è morto, oramai da più di 15 anni, il diritto internazionale. I confini si fanno più porosi ma allo stesso tempo più stretti, come nel 2014 testimonia il più alto numero di omicidi (perché di questo si tratta) di migranti nel Mediterraneo, perpetrato dalla governance territoriale europea. A conferma che le armi della guerra e della distruzione di massa si accompagnano sempre più alle armi della geopolitica e dell’economia.

La ripresa dei mercati finanziari che aveva caratterizzato buona parte del 2013 e la prima parte del 2014 in questi ultimi mesi si è in parte ridimensionata, facendo intravvedere nuove tensioni legate alla guerra valutaria in corso, che ha caratterizzato tutto il 2014. Una guerra che ha lo scopo di ridefinire le traiettorie internazionali dei movimenti dei capitali: un colpo di coda degli Usa per cercare di compensare la perdita del controllo della governance finanziaria mondiale in seguito alla crisi del 2008-09, dopo che era stata già persa quella tecnologica. Le ampie svalutazione in alcune valute dei paesi dell’area Brics unitamente al calo del prezzo del petrolio che mette in ginocchio la Russia (stretta anche nella morsa delle sanzioni economiche europee, che però rischiano di essere un boomerang per la stessa Europa favorendone la recessione) hanno infatti canalizzato ampie riserve di liquidità sui mercati anglosassoni per finanziare la crescita dell’economia Usa a scapito di una nuova tensione internazionale il cui esito è ancora difficile da individuare e rischia di essere assai preoccupante.

L’economia europea, unica area in cui le scelte di politica economica non vengono deliberate in modo omogeneo e coeso, piuttosto da strutture di governance differenziate, rimane così schiacciata e rischia di scomparire. Ma il 2015 potrebbe essere l’anno della svolta: le elezioni greche potrebbero fornire risultati in grado di alimentare la speranza e l’attuabilità di un’alternativa socio-economica Lo stesso potrebbe accadere con il referendum svizzero sull’introduzione di un reddito di base incondizionato: il primo che si svolgerà in Europa. Grandi e piccoli segni che potrebbero invertire la deprimente rotta che il 2014 ha tracciato.

Che cosa augurarci per il 2015? Ovviamente che sia meno gramo del 2014 e che il nuovo Presidente della Repubblica possa essere figura di garanzia per il paese, in questa fase drammatica, e non schiavo delle imposizioni della Troika come è stato Giorgio Napolitano. E soprattutto che si ricostruisca, in forme e velocità diverse, nei territori, sul piano della riproduzione sociale espropriata, la voglia di combattere per la vita, per il futuro, per la giustizia sociale, per un informazione diversa dall’attuale che ci fa ingoiare logiche mortifere e deprivanti, inique e controproducenti. Decise dall’1% contro di noi che siamo il 99%. Auguriamoci insomma che il 2015 ci renda più che mai consapevoli della nostra forza.

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