E se i Padri Padroni fossero invece di ritorno?

Per cominciare ringrazio tutti per aver letto il libro e «Materiali foucaultiani» per aver organizzato il forum! Non è una cosa scontata!

1. Non sostengo che la morale del debito sostituisce quella del consumo. Trattando del debito dicevo che la “crisi” mette in primo piano la colpa legata al debito, ma questo non esclude le altre morali, le fa invece funzionare insieme.

Nell’introduzione all’edizione italiana dicevo che le differenti morali (la morale del lavoro, la morale del consumismo, la morale del debito) convivono in maniera più contraddittoria di prima del 2007. L’esempio della «televisiun che ha la forza di un leun», con il suo discorso significante colpevolizzante (i giornali televisivi) e le semiotiche della pubblicità che spinge a un consumo compulsivo e frustrante, voleva mostrare questa coesistenza.

Come può il compagno Chicchi dire che la morale della colpa non funziona più, quando tutte le “riforme di struttura” hanno al loro centro e come obiettivo principale il mercato del lavoro?

La “riforma” che è diventata il modello europeo da copiare, è una pura e semplice violenza disciplinare che i socialdemocratici hanno scatenato in Germania contro i disoccupati e i precari e i salariati! Che il consumo (reale o fantasmatico) sia essenziale (e sottovaluto dai marxisti e anche da Foucault) per governare “les conduites” è evidente, ma questo non toglie nulla al fatto la che la morale del lavoro si abbatte come une mannaia su tutti i precari, i disoccupati, salariati. In questi giorni sono in corso in Francia le negoziazioni per il rinnovo dell’assicurazione contro la disoccupazione e i media hanno lanciato una campagna di colpevolizzazione mediatica contro gli intermittenti (“privilegiati” e “approfittatori”) degna della propaganda nazista.

Piuttosto che il discorso lacaniano dell’evaporazione del padre (la prima cosa da fare è gioirne!), mi sembra che assistiamo da parecchi anni al ritorno (non se ne era mai andato) del padre e della sua autorità, che il ’68 e soprattutto il movimento delle donne aveva messo in discussione.

Il tratto comune “soggettivo” a tutte le politiche della contro rivoluzione capitalista è la rivincita sulle donne che hanno osato attaccare il piedistallo di ogni potere: il potere del padre (e del maschio).

Cos’è il nuovo liberalismo se non, come dice Foucault, la centralità dell’impresa e dell’imprenditore? Ora se togliamo la “novità” semantica del termine impresa e imprenditore, contrabbandata come nuovo management negli anni ’80 e ’90, ci resta il Padrone e la sua vecchia filologia. È lui (esattamente come il padre di famiglia) che va a vivere il mondo, per cui gli dobbiamo rispetto e sacrificio, riconoscenza eterna e obbedienza cieca. La follia del neoliberalismo è di voler trasformarci tutti in padroncini di noi stessi! Interiorizzare non solo il padre della legge sessuale, ma anche il padre della legge economica.

Cosa sono i tutti gli integralismi religiosi, i neo nazionalismi e i neo regionalismi se non un ritorno violento del Padre celeste, del padre terrestre e della famiglia patriarcale?

Cosa vogliono i movimenti francesi di estrema destra cattolica e politica che si mobilitano da un anno? La famiglia edipica, la famiglia freudiano-lacaniana (padre, madre, bambino) organizzata attorno al fallo di papà, dove i figli possano uccidere il padre e scoparsi la madre!

Che la famiglia della psicanalisi fosse reazionaria, è dimostrato ogni volta che questi scendono in piazza. La cosa, da questo punto di vista, è diverte assai!

Certo che sono un bel problema queste famiglie (omosessuali) senza neanche un fallo o con due addirittura! Dove mai si andrà a finire con un disordine del genere, chi regolerà le cieche pulsioni se il fallo non potrà più distribuire in modo differenziale i ruoli, le passioni e le funzioni? Non c’è più religione, neanche psicanalitica!

Ogni azione politica di “destra” è accompagnata da un aperto o malamente nascosto “Ce l’ho duro”. Berlusconi effettivamente potrebbe rappresentare la morale della jouissance (il discorso del capitalista, lacaniano), ma con al centro un “maschilismo” all’ennesima potenza. Il Padre e la perversione del Padre insieme.

Qual’è il problema delle nostre società secondo l’evaporazione del padre? È che i sessantottini e soprattutto le donne hanno rifiutato la castrazione, hanno distrutto il simbolico (del potere e dell’autorità), e hanno delegittimato il padre! Senza queste nobili istituzioni che pongono i “limiti”, i riferimenti, la legge, evidentemente non c’è più società (la loro)! Aiuto Papà!

Il Potere del padre è ben più antico e radicato (e di molto) nelle soggettività del potere capitalista. E’ per questa ragione che bisogna stare sempre dalla parte del ’68 contro il padre. Cosa sono la manciata di anni passati dalla messa in discussione del padre, di fronte al millenario dominio patriarcale ?

2. Interessante anche l’obiezione del compagno Lucarelli. Perché critico la genesi della moneta della scuola della regolazione? Perché ha la stessa origine teologico-politica della “castrazione” simbolica che i lacaniani vorrebbero reintrodurre.

Cosa dicono Orléan e Aglietta? Che la moneta permette di pacificare la guerra di tutti contro tutti creando un’istituzione “super partes”, per l’appunto la moneta.

Il modello è in fondo sempre lo stesso, Hobbes: ci si inventa (si presuppone) una situazione di caos, di concorrenza violenta tra agenti economici, come nella psicanalisi si presuppose il caos delle pulsioni. Se si lasciano agire il desiderio e le pulsioni si arriva alla distruzione delle società e dell’individuo. Quindi abbiamo bisogno di una mediazione riconosciuta e accettata da tutti che garantisce la pace, la civiltà, la società? Questa istituzione si chiama moneta.

Ed è qui che interviene il Padre, l’elemento religioso. Girard, filosofo integralista cristiano, riferimento filosofico e antropologico di Orléan e Aglietta, annuncia trionfante: è il sacrificio che permette la pacificazione (evidentemente il sacrificio che ci sta sotto sotto è quello della “croce”, del figlio di Dio sceso in terra per farsi carico del debito infinito che abbiamo verso suo Padre). Per essere socializzati, civilizzati, bisogna sacrificare le proprie pulsioni e desideri ciechi, accettare l’ordine del potere, del padre e della moneta.

Non credo proprio che la sovranità si formi in questo modo “civile” per l’appunto. La formazione della sovranità è conquista, violenza, sopruso, appropriazione. POI, per legittimarne l’esistenza e la continuità si inventano i “miti” alla Girard che ne fa un modello universale e necessario. Necessità del sacrificio, della moneta come moneta dello Stato. Quello che interessa a Orléan e Aglietta è in realtà lo Stato come alternativa, controllo, regolazione del mercato (versione monetaria del repubblicanismo francese).

Tra l’altro, la teoria di Girard è fondata su una “truffa” antropologica, perché non è vero che il sacrificio è un rito presente in tutte le società (rito che trova nel sacrificio della croce il suo compimento). Ci sono delle società che regolano i propri conflitti senza ricorso al metodo teologico-politico del sacrificio. Quando c’è sacrificio ci sono già i preti, la burocrazia e lo stato (e pure gli psicanalisti [ 🙂 ]). La critica di Viveiro de Castro all’antropologia del “sacrificio” è molto importante (a me sembra).

Questo schema è profondamente reazionario: oppone un mondo del desiderio selvaggio, della violenza cieca, del disordine universale a un universo dell’ordine sociale, della ragione, del giudizio (la psicanalisi dice esattamente la stessa cosa, c’è omologia dei dispositivi di potere e della loro narrazione fondatrice).

Orléan e Aglietta trasferiscono questo modello del necessario sacrificio sulla moneta e lo Stato. Se accettate la mediazione/castrazione avrete in cambio il “pubblico” che regola il privato e difende l’interesse generale contro l’interesse particolare. Mi sembra che questa favola sia volata in pezzi proprio grazie all’azione della moneta e dello Stato nella crisi (in realtà da molto prima) !

Malgrado che la costituzione dell’Europa si sia fatta indebolendo la sovranità degli Stati, la crisi del 2007 ha imposto una loro pesante attivazione. Lo Stato francese ha salvato le banche aumentando il debito pubblico e ha fatto, e sta facendo pagare la fattura ai soliti (e qui il discorso teorico di Orléan e Aglietta dello stato repubblicano, del “pubblico” come garante dell’insieme della società, non tiene!). Hollande taglia le tasse per le imprese e le aumenta per la popolazione. La gestione della crisi è incentrata sulla fiscalità. Lo Stato in tutti i modi gli imprenditori e impone tagli alle spese pubbliche in tutti i settori, senza eccezione. Hollande convoca il sinistro Hartz per “riformare” il mercato del lavoro, ecc., ecc., perché i disoccupati sono degli approfittatori (ancora la morale colpevolizzante del lavoro).

Tu dici che è più complicato, a me non sembra. Una delle cose che ha dimostrato la crisi è che quando ne ha bisogno, il Capitale si sbarazza della complessità senza nessun complesso.

3.Per la discussione con Sandro partirei dal punto della più ampia divergenza [ 🙂 ]. Non penso che sia più possibile distinguere tra liberalismo e liberismo nell’azione del capitale e della sua governamentalità. È un gran bel risultato, secondo me, di esserci sbarazzati, grazie all’incedere della “crisi” ma anche prima, della separazione tra liberalismo politico e economico, tra libertà politica e libertà economica. Queste separazioni oggi non ci sono più, se mai ci sono mai state.

Non penso (ma posso sbagliarmi) di confondere “governo” e “governamentalità”, dico solo che i dispositivi di governamentalità hanno subito una centralizzazione accelerata direttamente proporzionale alla intensità della “crisi”. In certi casi sono stati spazzati via come in Grecia (io non sottovaluterei quello che è successo in Grecia!).

In Grecia (laboratorio per il futuro più che caso limite) un “governo” internazionale della moneta decide su tutto, esautorando, “temporaneamente”, le tecniche di governamentalità o riducendole all’osso, ma proprio all’osso.

Il problema del liberalismo foucaultiano, “governare il meno possible” è direttamente legato alla possibilità di moltiplicare dei dispositivi di governamentalità, di distribuirli, di direzionarli. Ho solo detto che questo schema salta nella crisi o che la governamentalità è direttamente subordinata alla logica finanziaria. E non è la prima volta che capita!
L’articolazione dei diversi dispositivi del potere (“sovrano, disciplinare, sicuritario”) non solo non si deve leggere come une successione lineare, ma il loro intrecciarsi non è dato neanche une volta per tutte. Nel capitalismo contemporaneo evolve secondo l’evoluzione degli interessi dei “creditori” e non esiteranno a fare di tutto nel momento in cui la loro proprietà è o sarà in pericolo (anche a scatenare nuovi fascismi, nuovi padri celesti e terreni ecc.).

Questa sensibilità al lato distruttivo del capitalismo non c’è in Foucault, perché non ci sono, mi sembra, il capitale e la proprietà nel suo corso del 1979, ma anche più in generale. E’ vero che lo ha scritto nella fase del ciclo in cui sembra produrre della “libertà”, ma non tiene conto, teoricamente, dell’anti-produzione che è connaturale al capitale e non tiene conto nemmeno della storia del capitalismo e del liberalismo (se lo avesse fatto avrebbe dovuto pensare anche alla fase successiva, quella in cui la libertà è “distrutta). Nelle nuove traduzioni del libro inserirò une lettura dell’Imperialismo di Lenin, per far vedere come il liberalismo classico, nella mondializzazione che si è svolta tra il 1870 e 1914, si sia rovesciato da produttore della “libertà” in monopolio e poi in guerre mondiali, civili, fascismo, nazismo (cioè nella realizzazione, in soli trent’anni, della più grande carneficina nella storia dell’umanità).

L’organizzazione della governamentalità non toglie questa dinamica, cerca solo di controllarla (regolarla dicono Aglietta e Keynes), di spostarne i limiti, ma in fondo non ci riesce (vedi 2007), nonostante il dispiegamento di dispositivi anti-crisi costruiti dal keynesismo sulle macerie del liberalismo classico. Questa dinamica è quella del capitale e se non se ne tiene conto, ci si capisce poco (sempre a mio modesto avviso). In più si tratta di un capitale particolare, il capitale finanziario che esercita la sua egemonia su quello industriale e commerciale e ha delle “leggi” proprie (D-D’) particolarmente distruttive.

La governamentalità nella crisi corrisponde a un esercizio del potere che Foucault abbandona quando la sua analisi passa dalle società disciplinari alla società di sicurezza.

“L’esercizio quotidiano del potere deve poter essere considerato come una guerre civile. Esercitare il potere è in una certa maniera condurre la guerra civile e tutti gli strumenti, le tattiche, le alleanze devono poter essere analizzabili in termini di guerra civile”.

L’affermazione che il potere “non è ciò che sopprime la guerra civile, ma ciò che la conduce e la continua” (e questo vale pure per la moneta) non è valida solo per le società disciplinari, ma anche oggi.

Detto questo, utilizzo e continuerò a utilizzare largamente delle parti di Naissance de la biopolitique che trovo luminose. E’ vero che avrei potuto essere più cauto, perché Naissance de la Biopolitique è un corso e riguarda le posizioni dei teorici del “neoliberalismo” e non le politiche effettive. Ho voluto confrontarlo comunque con la crisi in atto, perché mi sembra che si continui a usare le categorie de Foucault (ma anche altri, per esempio Deleuze e Guattari) come se fossimo negli anni ’70 e ’80. Ora mi sembra che le cose siano cambiate profondamente.

Resto comunque dell’idea che l’ipotesi “il capitalismo non è mai stato liberale, ma sempre capitalismo di Stato”, sia più operativa politicamente che la formula di Foucault “il problema del liberalismo è di governare il meno possibile”. Qui c’è una vera differenza di “punto di vista” tra Foucault e Deleuze e Guattari.

Il mio problema con QUESTO testo di Foucault è che non permette di cogliere la violenza del liberalismo, ne fa piuttosto un potere “soft”, cosa vera solo in determinate condizioni e fasi limitate del ciclo del capitale (la Belle Epoque di inizio secolo e la Belle Epoque di fine secolo, gli anni ’80 e ’90). E soprattutto non si possono cogliere le altri fasi del ciclo, non si può cogliere l’incedere, il degradarsi della “libertà”, cioè il trasformarsi nel suo contrario. Una governamentalità autoritaria non è prevista; Deleuze e Guattari invece enunciano una legge fondamentale del capitalismo: l’anti-produzione è inseparabile dalla produzione capitalista. Quello che vogliono dire è che il capitalismo non è mai “progressivo”, non è mai liberatorio e neanche libertario. L’anti-produzione è un potere di distruzione che si dovrebbe affiancare al potere sovrano, disciplinare, sicuritario. La “distruzione” accompagna la produzione capitalista quotidianamente, si è istituzionalizzata nella bomba atomica, nel nucleare civile e nella catastrofe ecologica e si concentra in certe fasi del ciclo, come in questo periodo, distruggendo capitale fisso e variabile. Questa è l’altra, complementare, necessaria faccia del liberalismo! Le modalità della governamentalità dipendono dal ciclo del capitale e non viceversa. Volevo dire solo questo.

4. Per quanto riguarda il testo di Emanuele. Devo riconoscere che “attivare” l’assiomatica (con una serie di concetti non facili), non è une cosa evidente

Ma pensavo che potesse essere utile confrontare il concetto di governamentalità con quello di assiomatica.

La forza di quest’ultimo è che si lega direttamente al concetto di Capitale, diversamente dal concetto di “governamentalità” che trovo più (troppo?) vicino alle tesi sulla “governance”, quindi al punto di vista del “potere”. Trovo più forza, più violenza, più realtà nell’assiomatica che permette di pensare insieme l’astrazione della valorizzazione capitalista con la concretezza del controllo delle soggettività.

L’assiomatica consiste è più adeguata al funzionamento del capitale finanziario che a quello del capitale industriale. In realtà noi non abbiamo une teoria del capitale finanziario, ma solo une teoria del capitale industriale. L’assiomatica e i concetti dell’Anti-Edipo mi sembrano di grande utilità perché sono costruiti a partire dal concetto di moneta (nel 1972 era la prima grande rilettura della moneta marxiana! Ma ancora adesso non vedo niente di meglio, non sicuramente, scusa Stefano, Orléan / Aglietta / Keynes [ 🙂 ] che esprimono comunque il punto di vista “democratico-riformista”).

Evidentemente la critica secondo cui evito di prendere in considerazione la classe operaia con il concetto di debito non mi sembra fondata [ 🙂 ]. Se il capitale finanziario gioca un ruolo fondamentale, bisogna prendere in considerazione la finanza come relazione creditore-debitore. Quindi, come per le morali, come per i diversi tipi di potere, non si tratta di sostituzione di una relazione con un’altra, ma di un loro funzionare insieme. In ogni modo la centralità della relazione non l’ho scelta io, l’hanno imposta i capitalisti.

Per quanto riguarda il conflitto, proponevo di ripensare il “rifiuto del lavoro”. Non partire dal lavoro “cognitivo” (o quello che volete), ma dal suo rifiuto, non dal farsi produttivo di tutto (nel dire che tutto diventa “produttivo” siamo specialisti!), ma dal rifiutare il “farsi produttivo”. Le due metodologie (partire dal lavoro e partire dal rifiuto) implicano due politiche, due filosofie radicalmente differenti. Ma non mi sembra che la proposta sia stata raccolta.

Ho pubblicato un libricino negli USA per far vedere come il lavoro artistico (assunto a modello delle nuove forme del lavoro) si può e si deve rifiutare e che quindi vita e lavoro artistico non coincidono. Io continuo a lavorarci.

 

 

 

 

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