Pubblichiamo un testo collettivo di MultiNômade Brasil sulla drammatica situazione brasiliana alle prese con l’epidemia di Covid-19, tra politiche eugenetiche condotte da Bolsonaro e dalla struttura di potere che lo sorregge e le necessità di risposta e resistenza della popolazione più colpita dal virus. “La lotta contro il razzismo è in prima linea nella mobilitazione sociale contro gli effetti politici ed economici della pandemia e del fascismo perché è una lotta per la vita e per la fraternità. Dobbiamo manifestare, proprio ora, e farlo in modo pacifico, plurale e potente”

Giugno 2020 – Giugno 2013

Con una coincidenza carica di un potente simbolismo, il monopolio fake delle manifestazioni, fake delle milizie presidenziali, si è rotto a giugno. Come nel 2013, una serie di manifestazioni per la democrazia è iniziata a maggio a Porto Alegre, e poi, sull’Avenida Paulista di San Paolo a giugno, hanno raggiunto un altro livello. Le manifestazioni del 7 giugno 2020 sono state consistenti, diffuse da nord a sud e con un forte potenziale di crescita. Chi aveva necessità di rispettare il confinamento sociale era alle finestre, battendo pentole e applaudendo i manifestanti.

Come abbiamo detto dall’inizio della crisi, siamo nel pieno paradosso della democrazia: come difendere e proteggere la vita svuotando le strade? In un primo momento, abbiamo detto che la moltiplicazione della solidarietà popolare e la mobilitazione per un reddito di base di emergenza erano il terreno di lotta in grado di affrontare il paradosso. Ma l’enorme sacrificio che i più poveri hanno fatto, è stato criminalmente interrotto dal potere esecutivo. Da un lato, hanno fatto della “marcia della bara” un lugubre inno alla nazione, dall’altro, hanno asfissiato economicamente gli Stati e iniziato a minacciare i governatori. Oggi siamo economicamente sfiniti, senza che il contagio sia stato adeguatamente controllato: i più poveri (e i neri) pagano il prezzo economico (disoccupazione e perdita di reddito) e sanitario più elevato (la maggior parte delle vittime letali). Il sacrificio del confinamento sociale viene sprecato in nome della politica di morte di Bolsonaro.

Come abbiamo detto, a maggio, i giovani e gli ultras antifascisti di Porto Alegre e San Paolo hanno deciso di affrontare l’impasse: non solo “moltiplicare la solidarietà per svuotare le strade”, ma anche “riempire le strade per continuare a difendere la vita”. Ciò significa difendere la democrazia. Quando è cominciato a spuntare a Rio de Janeiro, Curitiba e Manaus, questo inizio di movimento si è connesso allo scoppio della rivolta multietnica e antirazzista statunitense e, il 7 giugno, le mobilitazioni per la democrazia, contro Bolsonaro e contro il razzismo, si sono allargate e moltiplicate in tutto il Brasile. I giovani scesi in piazza in Brasile hanno risolto l’enigma come lo hanno fatto le moltitudini americane: per i poveri e per i neri, per le madri dei ragazzi João, Pedro e Miguel (un elenco infinito di angeli sacrificati quotidianamente sull’altare della corruzione della polizia) il confinamento non è mai stato totale, hanno sempre dovuto esporre i loro corpi per le strade. Oggi sanno benissimo che la fuga in avanti miliziana di Bolsonaro è grave quanto “il ginocchio al collo” che ha ucciso George Floyd. Così, la lotta per la democrazia si presenta come un’attività essenziale per la vita. La democrazia è il polmone della moltitudine, così come la moltitudine è l’ossigeno della democrazia. La lotta per la vita (democrazia) è in ballo e si fa urgente come e più della lotta per la sopravvivenza (contro il virus). Per questo, l’insurrezione democratica americana ha al centro la lotta contro il razzismo, che è, per definizione, una lotta biopolitica, una politica di corpi.

Come muoiono le democrazie

La divulgazione della registrazione della riunione ministeriale del 22 aprile ha confermato: non è solo il clan Bolsonaro che vuole imporre il suo eugenismo (“che viva il più forte!”), ma lo stesso governo: a partire da Guedes e dai presidenti delle banche pubbliche che hanno mandato a morire le piccole imprese, quelle che generano oltre il 50% dei posti di lavoro. Nella stessa riunione, i Generali ministri abbassavano docilmente la testa dinnanzi all’affermazione anti-patriottica degli interessi di un capo-clan che invitava le sue milizie ad armarsi. Gli stessi Generali non hanno detto e fatto nulla di fronte alle misure  volute da Bolsonaro contro il tracciamento di armi e munizioni da parte dell’esercito. Poco dopo, il Segretario alla Comunicazione prendeva come riferimento il motto che è ancora all’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz: “Il lavoro rende liberi”.

Dalla vittoria del Brexit nel Regno Unito e di Trump negli Stati Uniti, sono state prodotte molte analisi sul declino e persino sulla morte delle democrazie. In Brasile, dal momento in cui Bolsonaro ha mostrato di voler marciare sopra i cadaveri per assumere il controllo delle diverse istituzioni della già fragile democrazia brasiliana, questo dibattito è stato guidato dalla moltiplicazione di minacce e attacchi autoritari condotti ogni singolo giorno. Al posto del presunto ruolo “moderatore” della cosiddetta “ala militare” del governo, diversi ministri Generali – tra i quali quello che sta trasformando un ministero costituzionalmente dedicato alla vita (“salute”) in una caserma per la gestione logistica dei cadaveri – sono apparsi nella manifestazioni dove Bolsonaro minaccia e cerca di intimidire tutti. Per non parlare delle minacce morali e fisiche dei manifestanti FAKE ai membri e persino ai familiari di varie istituzioni (della Corte Suprema, del Congresso, della stampa, ecc.), il clan presidenziale parla apertamente di “rottura istituzionale”, il ministro della Sicurezza Istituzionale ha rilasciato una nota – con l’assenso del Ministro della Difesa – sulle imprevedibili “conseguenze” di una eventuale decisione giudiziaria.

La minaccia che questa “rottura” possa verificarsi pende nell’aria e può (dovrebbe anche) essere una delle possibili letture delle conseguenze della crisi. Essa è dietro a una campagna per smobilitare le manifestazioni che, in questa prospettiva, diventerebbero il pretesto per un (auto)golpe: coloro che analizzano il governo Bolsonaro in questi termini, lo inseriscono in una forma tradizionale di “golpismo” militare, qualcosa che l’America Latina conosce molto bene. A noi sembra che questa lettura sia parzialmente sbagliata e incorre in altri due errori di valutazione politica. Il governo e la coalizione politica che sostiene Bolsonaro sono – anche se di nuovo tipo – fascisti e non militari. La direzione politica delle “guerre culturali” non proviene dall’ala militare o da un progetto di “ordine” e difesa di qualcosa (le istituzioni costituite) che sarebbe minacciato da forze sovversive. Non c’è alcun “caos” nella società che giustifichi – anche se strumentalmente – un intervento “ordinatore”. Il caos è lo stesso governo, come ha reso esplicito agli occhi del mondo l’incontro ministeriale del 22 aprile e la tragedia della pandemia conferma, inoltre con conseguenze economiche persino più drammatiche che nel resto del mondo.

Le forze sovversive che minacciano l’ordine e fomentano il caos (anche nella pandemia), oggi, sono scatenate dallo stesso clan che occupa il governo e dai suoi alleati: l’episodio delle dimissioni del ministro della Giustizia, Sergio Moro, è rappresentativo di un progetto generale di cattura e riduzione di tutte le istituzioni per far sì che si trasformino in legami di interessi privati di una fazione che non ha alcun compromesso oltre la propria riproduzione, nemmeno con le dimensioni apparentemente razionali o nazionali di una logica “militare”. La deriva di Bolsonaro non è pinochetista (nonostante il bagliore del suo ministro dell’economia con questa figura), ma chavista. In questo senso, anche se potrebbero esserci momenti golpisti legati al corso degli eventi (come nel caso del Venezuela), il piano e la pratica è di svuotare/catturare gradualmente le istituzioni, rendendole apertamente miliziane. La rottura del clan Bolsonaro con figure così diverse come Bebbiano, il governatore di San Paolo, quello di Rio, la deputata Joice Hasselmann o il Maggiore Olímpio, deve essere analizzata in questo senso. Il fascismo bolsonarista funziona esattamente come una copia speculare del settarismo dei gruppi stalinisti, eliminando (per il momento politicamente) tutte e tutti coloro che non mostrano obbedienza e docilità agli interessi privati del clan stesso. Ciò non esclude, naturalmente, negoziazioni corporative (con gruppi di imprenditori neo-schiavisti, settori delle forze armate e della polizia militare) o semplicemente corrotte (con il tale “centrone”).

Ciò significa che il tal “colpo di stato” è già in corso e consiste nell’occupare le istituzioni possibili e intimidire le altre fino a prendere il controllo anche di esse, esattamente come fece Chavez che distrusse lo Stato e l’economia del Venezuela: la guardia del corpo prima, l’infermiera personale dopo, finirono per essere nominati direttori del Tesoro nazionale. Ramagem nella Polizia Federale, il figlio all’Ambasciata a Washington, Weintraub all’educazione mostrano già da lì cosa viene. L’uscita di Moro mostra molto bene che Guedes non ha alcuna stabilità, a parte la totale sottomissione, come è avvenuto, ad esempio, con l’uccisione di piccole e micro-imprese che non hanno ricevuto alcun aiuto. Gli operatori del mercato finanziario della Faria Lima che si divertono degli attacchi presidenziali, dovranno affrontare conseguenze inaspettate. Non dobbiamo evitare un futuro cileno (pinochetista) per il Brasile, ma dobbiamo combattere sin da subito contro la sua venezuelizzazione. Bene, sappiamo che il risultato in Venezuela è stato la distruzione letterale di un paese dove l’unica opzione rimasta è quella di emigrare.

È un errore politico pensare che si tratti di “evitare” il colpo di stato e dire che non è il momento di manifestare. È un errore politico anche affermare che per mantenere il confinamento è necessario aspettare per manifestare. Dobbiamo lottare, da ora, contro il golpe in corso e continuare a difendere la vita. La questione è un’altra, e riguarda le forme della lotta: dobbiamo lottare in maniera pacifica e non violenta (con attenzione alla prevenzione contro il virus).

Come resistono le democrazie: la democrazia nelle Americhe!

La difesa delle istituzioni democratiche è oggi un campo di lotta e mobilitazione che deve riunire tutte e tutti, così come lo fu la lotta contro il fascismo negli anni ’30 e ’40. Ciò che sta accadendo negli Stati Uniti è un contrattacco ed è molto potente perché non si limita né alla comunità nera né allo spettro politico del centro-sinistra, sebbene siano le lotte dei neri e del centro-sinistra a costituire i riferimenti. È la mobilitazione multietnica che è riuscita allo stesso tempo a trasformare la giusta rivolta iniziale nella costituzione di una nuova agenda che comprende ampi settori sociali. È una svolta costitutiva della difesa della vita (nella pandemia) nella mobilitazione della vita (che rifonda la democrazia).

La difesa della democrazia rappresentativa non significa né cedere alla nota affermazione di Churchill (“per quanto possa essere brutta, nessuno ha inventato qualcosa di meglio della democrazia rappresentativa”), né dover accettare il monopolio (hobbesiano) della logica sovrana della paura: homo homini lupus . Il nuovo fascismo di Trump e Bolsonaro sta usando i limiti della democrazia rappresentativa e persino le carenze della democrazia diretta che i social network hanno costituito durante le rivoluzioni arabe. Se accettiamo queste definizioni, gli impasse dell’attuale resistenza alla venezuelizzazione del Brasile sarebbero – come sono – irrisolti. Questi impasse sono almeno due: (1) ciò che finora ha sostenuto il ricatto bolsonarista è la paura che hanno le istituzioni in relazione al reale comportamento del braccio “armato” di questa sovranità; (2) la discesa verso l’abisso in cui ci troviamo è il risultato, da un lato, della chiusura della breccia democratica del giugno 2013 (per mettere negli stadi di lusso la base sociale bolsonarista) e, dall’altro, della distruzione di tutte le vie d’uscita istituzionali all’esaurimento del lulismo, e questo attraverso una polarizzazione (inflazionando il tema del golpe) le cui conseguenze sono attualmente di fronte agli occhi di tutto il mondo. Ancora oggi, il lulismo lavora contro l’unificazione del 70% perché continua a scommettere con il fascismo sulla polarizzazione monopolistica: Lula non pensa né al paese né alla democrazia, pensa solo a se stesso.

Ciò che rende la democrazia migliore di qualsiasi altro sistema è che, per essere tale, essa non può mai chiudersi nel suo stesso fondamento, cioè nel momento costituente: ciò di cui abbiamo bisogno oggi, in Brasile, come negli Stati Uniti, o in Europa e in Asia, è la riapertura di quel momento. Nelle strade antifasciste del Brasile, il momento costituente inizia ad apparire come appare nelle strade degli Stati Uniti. L’uso demagogico che il chavismo ha fatto di questo tema non elimina in alcun modo la sua centralità, ci allerta solo sulle ambiguità di una certa sinistra (a cui non a caso piace Bolsonaro quando si chiama Maduro). Ci allerta anche sulla chiarezza che – come ha scritto Rosa Luxemburg poco prima di essere assassinata – il momento costituente non abolisce la democrazia rappresentativa, ma la rende più viva ed efficace.

Fraternità: potenza della lotta antirazzista.

Nel marzo 2020, di fronte alla minaccia della pandemia, i più diversi governi del pianeta hanno scelto di sospendere l’economia per proteggere la vita. Non è un caso che i 16 giorni (fino al 10 giugno) di una rivolta democratica antirazzista siano avvenuti in uno dei paesi più colpiti dal virus e dal negazionismo fascista, con diverse milizie armate manifestandosi contro il lockdown: la rivolta americana è una rivolta della vita, una vita che afferma la sua fraternità e fa della mobilitazione democratica l’unica vera attività essenziale.

Dopo due giorni di tumulti spontanei in risposta alla violenza razzista, durante i quali è stata chiusa la stazione di polizia di Minneapolis, le manifestazioni si sono diffuse e auto-organizzate. Il potere del movimento organizza la sua non violenza. Ciò che infastidisce i suprematisti schiavisti bianchi, Trump in primo luogo, non è lo scontro, ma la fratellanza tra i giovani che gettano i loro corpi nella lotta e la folla, tra cui la polizia o persino i soldati della Guardia Nazionale che si inginocchiano, abbracciano e persino ballano con i manifestanti. Naturalmente, questi episodi sono minoritari e continuiamo a vedere immagini di brutalità della polizia. Ma questa fraternizzazione è abbastanza diffusa. A Minneapolis, lo stesso Consiglio Comunale è arrivato a votare per la destrutturazione (defund) del dipartimento di polizia.

Nelle lotte americane, sono le/i giovani bianche/i che fanno ciò che la lunga storia delle lotte dei neri contro la schiavitù ha insegnato: gettare i corpi nella lotta, gettarsi davanti agli amici/che neri/e, offrendo i loro corpi come scudo. Decine di migliaia di persone stese sul ponte di Portland, performando la posizione in cui George Floyd è stato codardamente assassinato.

Mentre negli Stati Uniti, i Generali di riserva (e persino il Capo di Stato Maggiore delle forze armate) hanno criticato duramente Trump e riconosciuto che la vita della Costituzione è per le strade, in Brasile i Generali di riserva chinano la testa di fronte agli attacchi miliziani di Bolsonaro e affermano di non essere golpisti “se nessuno tira troppo la corda”. Peggio ancora, in Brasile, la violenza della polizia è vergognosa, razzista e corrotta e riguarda una guerra aperta dello Stato contro i suoi cittadini più vulnerabili. 

È affascinante osservare che un movimento con una potenza simile è fiorito in molte città brasiliane negli ultimi giorni. A Recife (il 05/06), in una protesta per la giustizia e contro il razzismo dopo la morte di Miguel Otávio Santana da Silva (un bambino di 5 anni caduto dal nono piano mentre era sotto la custodia della moglie del sindaco della città di Tamandaré (PE), datrice di lavoro di sua madre, la cameriera Mirtes Renata), i manifestanti hanno ripetuto la scena di Portland e si sono sdraiati sul pavimento, questa volta performando la posizione del piccolo Miguel dopo la caduta, ripetendo le parole d’ordine apparse nelle manifestazioni americane: BLACK LIVES MATTER! In tutto il Brasile dobbiamo esprimere il lutto per i morti, fare delle manifestazioni per la “Democrazia ora” uno spazio di umanità e non violenza.

La non violenza è molto più difficile, ma è molto più potente – ed è di questa potenza che hanno paura…

La lotta contro il razzismo è in prima linea nella mobilitazione sociale contro gli effetti politici ed economici della pandemia e del fascismo perché è una lotta per la vita e per la fraternità. Dobbiamo manifestare, proprio ora, e farlo in modo pacifico, plurale e potente.

(traduzione a cura di Giuseppe Orlandini)

 

Immagine in apertura: murales di Airá Ocrespo

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