Presentiamo la versione italiana dell’articolo su Biorank e Commoncoin, precedentemente pubblicato in inglese. Le criptomonete speculative apriranno la strada alla moneta del comune? Buona lettura

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L’uso delle  tecnologie è l’asse portante della metamorfosi indotta dalla fusione di vita e lavoro caratteristica del capitalismo cognitivo. Una metamorfosi che investe le coppie  innato/acquisito e natura/cultura  dove il secondo termine, nel darwinista nature vs nurture[1], è il “nutrimento”  dell’ambiente, dalla terra madre alla parola.

Per più di un secolo il dibattito speculativo sulla dicotomia del binomio  alimenta filosofia, psicologia, ricerca medica e scienze umane. Il potere politico l’utilizza nell’organizzazione disciplinare della società compresa quella del regime nazista che ne fa il perno della sua ontologia distruttrice.

La società di controllo organizzata dal capitalismo cognitivo si basa invece direttamente su manipolazioni  che sfruttano la progressiva fusione delle due componenti in un continuum. La separazione di natura e cultura infatti si stempera sotto i frangenti dello tsunami tecnologico dove entrano in gioco le tecnoscienze informazionali, l’ingegneria genetica, le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale, la robotica etc.

Secondo il dogma neoliberale, questo continuum diventa il fondamento del capitale umano o, meglio, di un umano che diventando capitale deve guadagnarsi il tempo e lo spazio di vita. Per imporre questa razionalità economica, l’oligarchia finanziaria che detiene il potere globale è quindi ormai alle prese dirette con i processi di misura del bios e d’alterazione comportamentale e genetica. 

Per quanto riguarda la culture/nurture, sono soprattutto le TIC e le loro derivate bioipermediali, associate fra l’altro alle scoperte delle neuroscienze, che intervengono sui modi di sentire, di percepire e di comprendere.  Esse sono utilizzate in modo sempre più fine e articolato nelle strategie d’influenza di framing, di business e di governance.

Le criptomonete speculative apriranno la strada alla moneta del comune?

All’interno delle grandi tendenze del capitalismo, e talvolta in apparente opposizione alla dominante oligarchica, la corrente libertaria prende uno slancio nuovo a Silicon Valley e partecipa comunque in modo attivo a questa strategia, facilitando l’adozione volontaria degli strumenti di controllo in cambio di un’illusione di libertà individuale.

Il caso delle monete digitali, in cui la creazione è basata su software, algoritmi e tecnologie di rete in modo a prima vista autonomo dalle istituzioni finanziare mondiali e dalle banche centrali e private, mette in evidenza certe ambiguità e il miscuglio di generi.

Senza voler entrare in un’analisi dettagliata[2], il progetto bitcoin (BTC) è basato su  una produzione di moneta  “peer to peer” anonima e resa relativamente sicura tramite una crittografia basata su specifici algoritmi pubblici[3], il suo codice è open source e  utilizza il principio di calcolo distribuito in rete (clustering o network computing). Aspetti che lo posizionano nella categoria  dei  grandi progetti di cooperazione e d’innovazione socio-tecnologica  collettiva in provenienza dalla comunità hacker, quale quello di Linux.

Proprio per le sue caratteristiche open il BTC apre la strada ai fork, derivazioni che permettono l’implementazione di altre valute digitali, una quarantina per ora.  E’ probabile che all’origine l’obiettivo principale del BTC fosse di prosperare come strumento di scambio al di fuori del controllo delle istituzioni oligarchiche e liberando le transazioni da commissioni, esazioni e gabelle a patto d’essere estensivamente utilizzato in questo senso.

Purtroppo non è esattamente quello che sta succedendo in questa fase dove invece la valuta digitale è impiegata soprattutto come strumento di accumulo e speculazione. La convertibilità con le monete classiche (yuan e dollaro in testa) e una produzione algoritmicamente limitata[4] nella quantità e nel tempo riproducono in qualche modo  il ruolo dell’oro come moneta di riserva.  La metafora si estende anche alla terminologia utilizzata e a una certa mitologia del gold rush che si fonde  con quella dei videogiochi. Come nell’estrazione dell’oro in quella delle criptomonete (non a caso definita mining) devono essere messe in gioco grandi quantità di energia elettrica e di calcolo, che vengono rispettivamente consumate e prodotte facendo lavorare a massimo regime dei potenti PC derivati da quelli dedicati ai videogame.

Il criterio chiave del BTC e consimili sta nel principio di un’estrazione di valuta proporzionale a una particolare potenza di calcolo ma senza possedere invece alcuno dei principi che dovrebbero essere iscritti nel codice sociale dell’algoritmo d’una moneta del comune. Proprio per questa ragione l’esperimento non si emancipa da un innato capitalista immutabilmente basato sul ruolo guida del profitto nella distribuzione del lavoro e nell’organizzazione sociale. Ne sposta solo il registro. Facendo leva sulle tecnologie, prende forza all’interno dei movimenti hacker e P2P. Per il momento sembra piuttosto attirarli nel sancta sanctorum della finanza addestrandoli massicciamente al trading, ponendoli in una corsa speculativa tramite una produzione algoritmica di moneta “autonoma” in cui oggi le competenze tecniche hacker costituiscono un elemento di vantaggio ma la potenza di calcolo, e quindi l’investimento diventa vieppiù preponderante. E’ già il caso del BTC che è ormai estraibile solo con computer speciali e dedicati che costano (decine di) migliaia di dollari. Senza contare che nuove o vecchie Corporation digitali o no, possono ormai “ispirarsi” al processo e lanciare le loro monete. 

Se ne può dedurre almeno che la trasformazione attuale delle criptomonete dominanti da strumento di autonomia in fine speculativo mostra esplicitamente l’importanza e la centralità politica degli algoritmi nello sfruttamento della cooperazione moltitudinaria.   

Nonostante ciò l’esperienza ha comunque il merito di aver aperto la strada e il dibattito sulla possibilità di una creazione digitale veramente autonoma del denaro con vocazione a creare una moneta del comune. Assistiamo oggi ai primi tentativi di concepire una criptomoneta che scoraggi la speculazione o più ambiziosamente d’implementare una moneta del comune. Progetti come il Freicoin che includono un principio di demurrage (moneta che svaalutaa nel tempo) che, in teoria dovrebbe assicurare la circolazione e gli investimenti sostenibili.  Altri tentativi, quali l’openUDC o l’ucoin in Francia, cercano di stabilire un legame fra la creazione di criptomoneta e la messa in opera d’un reddito di cittadinanza.

Una moneta del comune dovrebbe avere tre elementi essenziali iscritti nei suoi algoritmi e nella sua implementazione:

1. Essere non accumulabile e non diventare oggetto di speculazione. In conseguenza essa deve perdere una parte del suo valore nel corso del tempo. Si tratta quindi di una moneta che fonde o ” monnaie fondante”.

2. Attenuare la dipendenza dei lavoratori dal vincolo economico alla vendita della loro forza lavoro e quindi al rapporto salariale, riducendo la precarietà.

3. Permettere, su queste basi, di liberare tempo e risorse per sviluppare forme di cooperazione alternative fondate sulla messa in comune dei saperi, dei risultati della produzione e, comunque, su reti di scambio che escludono la logica del profitto.

La partecipazione alla rete in cui circola la moneta del comune implica l’adesione a questi principi, che si tratti d’individui, d’imprese o di soggetti istituzionali come in parte il caso di certi modelli di monete alternative sperimentate su basi locali.

Hakers, makers: lavoro collaborativo in rete e  spazi di fiducia delle criptomonete

Anche se potessimo trovare il perfetto algoritmo che previene ogni speculazione e ostacola la convertibilità con le monete fiat, le nuove monete del comune, che potremmo chiamare per comodità commoncoin, dovrebbero essere pratiche  da usare e soprattutto trovare un corrispondente  ed ampio spazio di fiducia per avere chances d’essere adottate .

D’altro canto le tecnologie di rete hanno un ruolo essenziale nell’emergere di una nuova generazione di lavoro collaborativo. Spesso tali cooperazioni sono gestite seguendo regole dell’accumulazione capitalista, come per esempio eBay o Airbnb, in altri casi esse sono più autonome e non finalizzate all’accumulazione, come nel caso del free software o di Wikipedia. In ogni modo in entrambi i casi si tratta di beni immateriali come il sapere, i servizi, gli scambi e le condivisioni.

All’inizio del secolo sorgono le prime comunità di “Makers” che combinano le pratiche di cooperazione derivate dalle tecnologie digitali e la tradizione del Do It Yourself (DIY).  Nasce un movimento che preannuncia una possibile trasformazione tecno-sociale e geolocalizzata del modo di produrre beni materiali. Si sviluppa una tendenza verso una collaborazione più “fisica” negli hackerspace/makerspace e fablab dove hackers e makers concepiscono, costruiscono ed usano creativamente macchine basate sull’hardware libero: le stampanti 3D ed ogni tipo di strumento controllato numericamente da computer (CNC)comprese le vecchie macchine per maglieria… [5]

Nel 2005 il progetto RepRap (acronimo per replicating rapid prototyper) nasce a Bath ad iniziativa di Adrian Bowyer per sviluppare una stampante 3D che può produrre  la maggior parte dei suoi propri componenti.

Pur non essendo un marxista A. Bowyer scrive in un documento di presentazione del progetto dal titolo “Wealth without money” [6]

Karl Marx e  Friedrich Engels scrissero nel Manifesto comunista che,

“per  proletariato si intende  la classe di lavoratori salariati moderni, che non possedendo i propri mezzi di produzione, sono costretti a vendere la loro forza lavoro per vivere” Questa diagnosi è essenzialmente corretta … La macchina a replicazione rapida di prototipi (reprap) è una rivoluzione in quanto fornisce al proletariato il possesso dei mezzi di produzione (materiali – nota dell’A.). E lo fa senza tutta questa  confusione di rivoluzioni o di industrie pericolose (sic). Ho deciso quindi di chiamare questo modo di procedere Marxismo Darwiniano…

In realtà in molti hackerspace l’aspetto più rivoluzionario è quello d’una  trasmissione di conoscenza liberata dai canoni istituzionali  e che sottende ad una  produzione autonoma non sottomessa alla proprietà intellettuale ed a altre forme d’accumulazione.

L’hardware libero è un universo in mutazione ed espansione continua. Il suo mattone base è probabilmente Arduino.  Arduino, un semplice micro-controller che costa circa 10 €, concepito inizialmente a Ivrea[7], che usato con sempre nuovi  componenti low cost, permette al General Intellect  di disporre di un’arma essenziale  nella battaglia per il controllo della  mediazione tecnologica.

Gli esperimenti di creazione di nuove monete elettroniche, evocati in precedenza sono senz’altro interessanti ma oggi sembra prioritario scoprire o facilitare la creazione di ambiti dove una moneta non-speculativa, che sia globale o locale, possa ottenere fiducia.

Molti interrogativi si aprono a questo proposito: l’ambito degli hackerspace, come quello delle cooperative integrali e delle sempre più numerose istanze di cooperazione autonome (circuiti di produzione artistica, orti condivisi, atelier di riparazione contro l’obsolescenza programmata o di creazione di paesaggio urbano etc.) non  sono gli spazi naturali di fiducia per i commoncoin ?

 Una volta che questi processi, che tendono ad integrare produzione ed uso di moneta  autonoma, fossero innescati non avremmo compiuto un passo importante verso un esodo più consistente  dal capitalismo finanziario?

Algoritmi proprietari e trasformazione del bios nel capitalismo cognitivo

In modo complementare altri algoritmi, questi non open ma proprietari, segreti e protetti da copyright, giocano già un ruolo di grande influenza producendo conoscenza secondo logiche che utilizzano criteri predeterminati per stabilire cosa si vuole mostrare ed a chi.  

PageRank, il famoso algoritmo di Google che determina il rango e quindi l’importanza di una pagina web, permette di valorizzare la visibilità in rete di un sito. Questa capacità di creare e dominare il mercato della classificazione degli atomi della rete ha fatto di Google la corporation più influente dell’era informazionale.

Essa ha ormai centrato da tempo l’obiettivo finanziario essendo la prima agenzia pubblicitaria mondiale con un consolidato di 55 miliardi di dollari annui, più del doppio del   conglomerato rappresentativo della  pubblicità  pre-internet nato  dal tentativo di  fusione  di  Publicis  e Omnicom ed  in seguito abortito.

La potenza dell’oligopolio e l’accumulo di dati straordinariamente veloce permettono ora a Google di perseguire un obiettivo strategico ben più ambizioso in un’ottica imprenditoriale: essere il leader nel modellare un postumano che diventa funzione sempre più pura del capitalismo cognitivo e della trasformazione della vita in merce.

L’algoritmo PageRank riesce a produrre plusvalore dalla nostra attività in rete e rivela il potenziale di modelli matematici capaci di approssimare i comportamenti umani al punto da plasmarli.

Edgerank segue la strada aperta dal suo predecessore. L’algoritmo di Facebook (FB) interviene più direttamente sulle relazioni creando un ranking in base al quale decide autonomamente cosa deve apparire nelle pagine personalizzate delle notizie (News Feed) di ogni membro del social network.  Edgerank stabilisce un peso relativo di tutti i post degli “amici” usando un certo numero di parametri e criteri destinati a quantificare le relazioni. Le “affinità” sono misurate contando i mi piace, le frequenze e i tipi di contatti con “l’amico-a” che emette il post.  I post stessi sono ponderati secondo la tipologia: per FB lo scritto, che può essere percepito solo tramite attenzione alta e attività cerebrale cosciente è ovviamente il medium che pesa meno, mentre foto e video, che agiscono direttamente su sensi ed emozioni, senza mediazioni d’elaborazione cognitiva hanno valore più alto.

L’algoritmo prende in conto il tempo in un modo lineare: ciò che è recente ha più valore.

Mentre l’algoritmo di Google analizza e sfrutta attenzione, conoscenza e comportamenti in rete, quello di FB cerca di misurare in modo asettico le relazioni peer2peer.

In entrambi i casi, ma forse in modo più evidente nel secondo, le sfaccettature delle nuove soggettività vengono schematizzate e svuotate per permettere misurabilità e classificazione. Questo processo ha qualche similitudine con quanto fatto dal capitalismo industriale che nella fabbrica opera la suddivisione fra il lavoro vivo dell’operaio e quello morto delle macchine. Il capitalismo cognitivo estende una separazione simile allo spazio-tempo della vita grazie a dispositivi immateriali che operano la divisione sterilizzando la ricchezza delle relazioni, orientando compulsivamente il desiderio, saturando artificialmente sensi e livelli emozionali.  A questi fini si crea il mostro bulimico BigData alimentato da dati estrapolati macinando con macchine algoritmiche relazioni umane, vibrazioni sensoriali, sentimenti, gesti e comportamenti.

I tanto desiderati smartphones, tablets ed le decine di miliardi di oggetti connessi sono i sensori bioipermediatici  d’interfaccia che, quando utilizzati nell’ambito della messa in produzione della vita,  da un lato hanno la capacità di captare tanto i parametri biologici dei corpi che i cambiamenti di comportamento e d’umore.  Dall’altro restituiscono e ci investono con flussi capaci d’ingannare gli atomi specchio dell’empatia.

I due rank evocati non rappresentano che le primizie di un corso destinato ad attraversare e modificare i mille piani delle soggetività nel tentativo di renderle omogenee al capitalismo così come viene fatto per l’insieme della biosfera.  Quest’ultima rischia d’entrare  in un vortice letale che può essere interrotto solo da un’intelligenza collettiva che sappia deviarne la traiettoria in tempo.

 Più che a un ipotetico Moloch-Grande Fratello il futuro 1984 del capitalismo cognitivo sembra quindi tendere a un Biorank, un meta-algoritmo destinato a classificare il vivente ed a incasellarlo   in scompartimenti di sfruttamento integrale privandolo della sua singolarità. Parallelamente a quanto succede nelle grandi compagnie che hanno come prodotto i giorni/uomo[8] o le ore/uomo dove ogni “consulente” non è che un pacchetto di competenze da piazzare al miglior prezzo, il progetto della governance capitalista  è di poter estendere questo principio all’esistenza dell’umano modificato, del postumano. Per compierlo non basta agire sull’acquisizione, che non garantisce contro imprevedibili capovolgimenti o cambiamenti di tendenza, ma è necessario anche trasformare irreversibilmente l’innato.

Le biotecnologie per il settore del vivente e in particolare l’ingegneria genetica basate sull’uso di molecole di DNA ricombinante hanno la capacità di manipolare le caratteristiche innate e quindi di modificare il corredo genetico ricevuto dagli ascendenti.  Pare logico e coerente che la filosofia neoliberale abbia interesse a privilegiare l’importanza del corredo genetico come  i suoi illustri predecessori facevano col sangue aristocratico. Trovare dei geni che permettano di caratterizzare le cause biologiche di disturbi complessi e dipendenze, dalla schizofrenia alla tossicomania conforta una visione dominata dalla predeterminazione e dalla prevedibilità che è più funzionale alla logica del controllo e rende realizzabile la prospettiva del poter adattare l’homo economicus al sistema. Innanzitutto assicurando un’ottimizzazione del valore del capitale umano accrescendolo e poi perché dal punto di vista individuale le tecniche e le terapie geniche arricchiscono il patrimonio della discendenza curando e prevenendo il rischio di patologie ereditarie.  Nella logica neoliberale gli strumenti tecnici di modificazione genetica che si aggiungono a quelli esistenti di controllo della procreazione diventano il perfetto complemento del Biorank.  Permettono di chiudere il cerchio di un dominio politico, sociale e biologico estraendo valore da qualsiasi attività che sia produttiva, riproduttiva o anche improduttiva. Nel film di fantascienza In time[9]  ci viene mostrata una possibile distopia  di questa integrazione neoliberale d’innato ed acquisito. Una società dove la moneta è il tempo e le persone sono modificate geneticamente per non invecchiare ma possono vivere solo per la durata del capitale tempo che possiedono: i pochi ricchi possono quindi esistere per sempre nei rari luoghi non inquinati, mentre gli altri vivono in una terra ormai degradata battendosi quotidianamente per la sopravvivenza.

Anche se si è lontani dall’aver trovato tali capacità di manipolazione è proprio in un post di critica al bitcoin che si suggerisce di creare una moneta elettronica basata sul tempo[10], il che d’altronde non è un’idea nuova[11] ma risale a Prudhon che l’aveva proposta come moneta del comune ed alla polemica nata con Marx[12]. Ovviamente in questo campo, com’è avvenuto sin dagli albori delle civilizzazioni, il dibattito etico è aperto, ma c’è il dubbio che la “morale” di Wall Street lo sottometta se esso è gestito dai manager della politica e dagli spin doctors dello story telling. Anche senza prefigurare l’avvento di un eugenismo capitalista postumano dichiarato che peraltro fa capolino, si può supporre che già l’accesso discriminato alle terapie geniche ne costituisca già uno de facto.

Nelle mani del capitalismo, tecnologie, algoritmi e ingegneria del vivente diventano le armi  d’una dominazione politica che tenta di ridurre la potenza e la ricchezza della vita a  vita condizionata, riflesso malleabile e permeabile a tutto e su cui si eserciterebbe  un potere indiscriminato.

Siamo quindi a un bivio, quello che è in gioco non è tanto lo sviluppo di scienze e tecnologie sempre più integrate, ma del modo usarle per organizzare la lotta e l’esodo dal modello mortifero in cui la tecnologia prende il posto dell’ontologia. 

Parigi, Giugno 2014

Note

[1]Nature versus nurture sono una frase che apre il dibattito moderno sull’importanza relativa dell’innato rispetto all’esperienza individuale.Frase coniata da Francis Galton  in epoca vittoriana che fu  influenzato dal libro Le Origini delle specie di C. Darwin con cui era imparentato.

[2] Vedi a questo proposito il documento http://www.dyndy.net/2013/04/bitcoin-ends-the-taboo-on-money/  (qui la traduzione italiana) ed inoltre l’articolo di Gianluca Giannelli e di Andrea Fumagalli

[3]  Per esempio lo SHA256 è una funzione crittografica di hash concepita dalla Nsa americana ed utilizzata nel caso del bitcoin. Altre monete elettroniche come il litecoin e il feathercoin utilizzano l’algoritmo Scrypt.

[4] L’algoritmo bitcoin è concepito per una produzione massima e decrescente di ventuno milioni d’unità  di cui il 75% sarà emesso entro il 2017.  Per il litecoin sono previsti ottantaquattro milioni di pezzi.

[5]In una recente visita ad un Hackerspace parigino gli autori hanno notate una macchina casalinga per maglieria  interfacciata  da hacker ad un computer. In tal modo diventa possibile riprodurre su maglia disegni o foto digitalizzati

[6]http://reprap.org/wiki/Wealth_Without_Money

[7]Per coloro che conoscono il ruolo storico e politico d’Olivetti d’Ivrea come leader dell’innovazione e d’un capitalismo “progressista” durante I “trenta gloriosi” del dopoguerra  puo’ essere interessante sapere che Arduino è stato concepito da un gruppo fondato, tra l’altro,  da Olivetti (ed è inoltre il nome del bar dove si incontravano gli iniziatori del progetto)

[8] A questo proposito cf  Biopolitiche, territori e segnali di crisi nelle imprese multinazionali del lavoro in rete Intervento di G. Griziotti al seminario Uninomade Impresa e Soggettività a Torino, il 24 marzo 2012 

[9]In Time è un film del 2011 diretto da Andrew Niccol, cf  http://it.wikipedia.org/wiki/In_Time

[10] Critica la Bitcoin pubblicata nell’articolo  in http://quaderni.sanprecario.info/2014/01/bitcoin-la-fine-del-tabu-della-moneta-di-denis-jaromil-roio/. L’uso da parte di Bitcoin di una soluzione procedurale è la via sbagliata quando tutto ciò che hai bisogno di fare è definire un vincolo attraverso una formula e applicarlo secondo necessità attraverso il tempo, anziché avere ognuno che fa  girare continuamente una funzione hash sprecando elettricità. Manteniamo le transazioni pubbliche, poniamo una  firma crittografica su di esse, verifichiamole con un modello monetario (money model) e saremo in grado di salvare buona parte di ciò che c’è di buono in Bitcoin. E, naturalmente, usiamo un “bene” che le persone possono capire intuitivamente, qualcosa come … il tempo.

[12]Moneta del comune e reddito sociale garantito (2012) articolo  di Laurent Baronian e Carlo Vercellone trad. F. Martinez Tagliavia; 

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