Ho avuto un’influenza con la febbre molto alta, oltre 39. Un gran mal di testa, dolori ovunque e brividi, soprattutto.

Poiché i medici di base milanesi possono essere contattati, nella assoluta maggioranza dei casi, solo attraverso una app (Il mio dottore; Doctolib; DoctorApp; Cartella medica eccetera), alle 8.30 del mattino A. si è recato di persona nello studio dove eravamo entrambi registrati come pazienti. Tra l’altro, mi serviva un certificato di malattia. Qui ha scoperto che la dottoressa era a sua volta ammalata e che non c’era sostituto. I due impiegati all’ingresso, che si occupano dei pazienti di sei o sette medici e non rispondono al telefono, bruscamente gli hanno detto che dovevo recarmi sul posto, senza appuntamento. Avrei aspettato e qualcun altro, prima o poi, mi avrebbe visitata. A. fa presente che ho 39 e mezzo di febbre e che, a proposito di contagi, forse non è opportuno. Gli viene suggerito, allora, di portarmi al pronto soccorso. Mi telefona per dirmelo, è molto dispiaciuto, non sa che cosa altro fare per il momento: deve andare al lavoro e perciò deve usare l’automobile.

La febbre alta genera visioni, una specie di torpore che non è sonno e neppure veglia. Tra l’altro continuo a essere scossa da brividi incontenibili. Sono sola a casa, non c’è nessuno, nessun rumore. Non dormo ma forse sogno e sono piccola con il febbrone. Viene la dottoressa, la pediatra della mutua, Elisa Buffier a curarmi a casa. Vedo i suoi mocassini e la sua giacca spigata marrone, sento la sua erre moscia mentre parla con la mamma…

A un certo punto cerco sul cellulare la voce “ambulatori” e digito il codice postale di casa mia. Mi compare una lista di specialisti e di studi. Privati, ovviamente. Il primo che chiamo mi dice che può vedermi se mi reco da lui subito. Gli rispondo che ho la febbre molto alta, non ho l’automobile a disposizione. Un altro mi suggerisce di scrivergli su Whatsapp, mi aggiornerà. Lo faccio. Dopo un po’ mi comunica che potrebbe visitarmi nel tardo pomeriggio, che la visita costa 80 o 100 euro. Se non ho contanti, accetta carte. Replico, sempre via wsp, che va bene.

Il dottore sentenzia che ho un’influenza e una “bronchite interstiziale”. Ho preso antibiotici per sette giorni, ma a casa sono rimasta tre giorni soltanto. Dopo 10-15 di giorni ho avuto una ricaduta, un altro febbrone. Nel frattempo, irritata da tutta la faccenda della app, dell’indicazione di andare al pronto soccorso, dell’assenza di assistenza, avevo deciso di cambiare medico. Ma anche il nuovo dottore può essere contattato solo tramite una app (diversa) che indica che potrei avere un appuntamento tra tre settimane. Sono ammalata, di nuovo, e non posso aspettare tre settimane. Chiamo allora, ancora, il medico privato, quello della prima volta, che arriva subito a domicilio, mi visita, sostiene che si capisce, auscultando i polmoni, che non sono guarita, devo prendere altri antibiotici per cinque giorni e soprattutto devo dargli altri 100 euro.

Il tempo passa veloce, i giorni corrono, arriva il momento di incontrare il nuovo medico di base che, alla prima visita, è gentilissimo. Gli racconto tutta la vicenda e mi dice che la app che usano in questo studio – anche in questo caso è uno studio riunito con sette specialisti in medicina generale – è comodissima e potrò scrivergli messaggi per problemi diversi. Tipo, “farmaci ripetibili”; “rinnovo farmaci continuativi”; “nuove prescrizioni”; “visione esami o referti medici”. Ci vedremo e ci parleremo mai? Ma certo, basta prenotare. Grazie alla app, naturalmente.

Facendo qualche ricerca, ho visto che su queste app, specialisti e strutture sanitarie possono salvare i dati clinici dei pazienti in un comodo database da consultare “in qualsiasi momento e ovunque ci si trovi”, direttamente dallo smartphone.

Ma, «di buonissimo umore», come Zeno Corsini e il suo amico Tullio, devo tornare a raccontarvi della mia malattia, che si è rifatta viva, con una nuova febbre. Me la sono curata da sola, questa volta, gli antinfiammatori hanno agito meglio degli antibiotici. Febbri fatte in piedi, praticamente, messe in sordina con cocktail di farmaci fai da te: in tutto il periodo mi sono assentata dal lavoro solo quattro giorni. Ma ho pensato che ha ragione Zeno: «La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi e ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati»[1].

Probabilmente non deve mancare la stessa terribile e lucida ironia a Regione Lombardia che sembra non preoccuparsi troppo dell’assenza di quasi 1500 medici di base (monitoraggio Ats 2024). Conseguenza degli sbarramenti alla facoltà di Medicina, ma anche della poca attrattiva di una professione diventata alienante che ammette fino a 1800 pazienti per medico il quale è, ora, un lavoratore autonomo pagato dal Servizio sanitario nazionale (70 euro lordi per i primi 500 pazienti, 35 per i successivi). Pensionamenti, ma anche prepensionamenti, dimissioni, decessi e il ricambio generazionale che non c’è: a Pavia, per esempio, nel 2024 su 25 posti disponibili per iniziare il corso triennale di formazione in medicina generale ne sono stati occupati solo otto e su 74 posizioni per i cosiddetti ambiti carenti di Assistenza Primaria, ne sono state occupate solo sei: oltre il 90% è rimasto scoperto.

In alcune località dell’hinterland di Milano la situazione è emergenziale (o demenziale?). A Rozzano è stato attivato un ambulatorio temporaneo per i pazienti cui, al momento, non è stato ancora assegnato con un medico di famiglia a causa dei trasferimenti o dei pensionamenti. Anche qui, è stato fornito un numero di wsp: basta scrivere nel messaggio nome, cognome e il motivo dell’appuntamento (visita medica, prescrizione di farmaci, visite ed esami specialistici, certificati di malattia e pratiche amministrative). Sto cercando di immaginare un’anziana donna malata che digita tutto questo e rifletto sul fatto che allontanarsi nelle praterie, per i nativi americani, rassomigliasse a uno scomporsi nella natura, pacificante. In questo caso, tra svincoli di tangenziali, nebbie, rogge non sempre limpide e capannoni industriali è tutto solo ingiusto e patetico.

Ovvio che esista una soluzione per chi ha mezzi economici a disposizione: è fiorito un mercato di visite private a domicilio che vale la pena di considerare con un po’ di sense of humor. Quando è indicata la visita di una guardia medica privata? Più di un sito fornisce l’elenco: in caso di sintomi influenzali o parainfluenzali, tosse, forte raffreddore, mal di gola; disturbi gastrointestinali come nausea, vomito, dolori di stomaco, diarrea, stitichezza; lievi reazioni allergiche; piccoli traumi articolari e tagli; dolori persistenti, per esempio mal di schiena e mal di testa; piccole ustioni o ferite superficiali. I servizi, attivi a Milano sette giorni su sette, coprono insomma proprio tutti i casi in cui ti sarebbe servito un semplice appuntamento, a breve termine, dal medico di famiglia. Il costo di una vista privata a domicilio va dai 90 euro in su e, si specifica, viene emessa regolare fattura. Qualche centro offre sconti sulla “quantità” di appuntamenti e forme di abbonamento: “Grazie alla nostra Health Card il Paziente ha a disposizione un listino prezzi con sconti pari al 12%, fino al 20% per determinate prestazioni, e la possibilità di accedere ai servizi del Centro Medico beneficiando della priorità della prenotazione in caso di agenda piena. La Card costa 15 euro l’anno”. Altri contesti specificano che i medici “visitano i pazienti direttamente a casa loro, negli uffici o dove è richiesto il servizio. Questo è particolarmente vantaggioso per pazienti con mobilità ridotta, anziani, o per chi preferisce la privacy e la comodità del proprio ambiente”. Inutile aggiungere che in tutti i casi si può prenotare online, scaricare una app e che si può pagare con ogni tipo di carta di credito ma anche con bonifico.

Si risolve così, pagamento bancomat, tutto ciò che da tempo il medico di base non fa più o non è più in grado di fare, ovvero tutte le situazione nelle quali è insensato andare a intasare un pronto soccorso ospedaliero nel quale rischi di vederti assegnato, giustamente, un codice bianco e di restarci 24 ore. Anche se alla fine ci vai, al pronto soccorso, perché non hai alternativa e ti viene addirittura consigliato, come ho spiegato all’inizio di questo racconto. La medicina territoriale resta ignorata e sconosciuta. La lezione del Covid ha peggiorato la situazione, come non era difficile prevedere.

Tornando a me, non sono ancora guarita ma mi comporto come lo fossi: «Poiché la malattia è una convinzione» lo è anche la guarigione, mi ha spiegato, tempo fa, l’amato Svevo.

Sono andata (pagando) dal cardiologo di mia madre per un parere anche su una certa tachicardia che mi assale, a tratti, la notte. In realtà, semplicemente, volevo che ascoltasse anche il mio, di cuore. Mi ha detto che il cuore sta benissimo e che il sistema nervoso centrale ha effetti sulle difese immunitarie.

L’anedonia (suffisso privativo an e hēdonē, “piacere”), sindrome correlata alla gestione biopolitica di questa parte del mondo, l’aria del capoluogo lombardo, risultata la terza più inquinata del pianeta, pesano assai sulla salute dei lombardi, in evidente e voluta contraddizione con l’obbligo al benessere e alla impossibile prevenzione, scaricati sul singolo individuo, come sua responsabilità e colpa. Se non stai bene e non puoi pagare, verrai semplicemente scartato.

Quando mi interrogo sulle condizioni del vivere del presente sento sempre più fortemente lo spregio con cui viene rappresentata e usata la vita umana: «La poca considerazione della salute e dell’incolumità, l’emarginazione dei vecchi, eccetera. Ne restiamo offesi come di una cosa incompleta, mostruosità che ha una spiegazione economica ma non una ragione sufficiente. Non è sentimentalismo: la vita di un essere umano è più che il suo posto nella produzione; lo sappiamo per l’esperienza concreta iscritta in noi dalle ore passate a giocare, a fare all’amore, a ricordare, a dimenticare»[2].

NOTE

[1] Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Dall’Oglio Editore, Milano 1938, p. 479

[2] Luisa Muraro, Le donne invisibili, da “L’erba voglio”, anno III, n.10, marzo-aprile 1973, in Lea Melandri (a cura di), Il desiderio dissidente. Antologia della rivista “L’erba voglio” (1971-1973), DeriveApprodi, Roma 2018, p. 182

Categorie: S come Sanità

INCHIESTA

Le condizioni del vivere

Abbecedario (approssimativo) per un’inchiesta qualitativa online.

Stiamo tentando un esperimento che si è concretizzato in un I° incontro in Cox18 a Milano agli inizi di ottobre, dopo un primo lancio. L’idea è quella di coinvolgere tutt* coloro che ci leggono e/o sono collegati a Effimera.org attraverso la stesura di testimonianze relative ai vari ambiti critici che coinvolgono la nostra esistenza. Non siamo un centro di ricerca né un istituto demoscopico (né vogliamo esserlo) ma abbiamo un mezzo di comunicazione (Effimera.org) che si è affermato negli ultimi anni all’interno del pensiero critico e sovversivo. Abbiamo intelligenze, saperi, esperienze, desideri. We got livePerciò vi proponiamo di partecipare a questa nuova sezione di inchiesta online leggendo le istruzioni qui sotto.

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